Sutera, esposizione delle immagini sacre della Sicilia interna
Il percorso della Mostra
(Continuazione dalla pagina 4 del numero precedente)
1) Il luogo di provenienza delle nostre immagini
Le case editrici più famose nell'Ottocento sono in Francia, ma la diffusione è internazionale attraverso la costituzione di depositi anche nelle città straniere ed oltreoceoano e, di conseguenza, occorre imprimere il titolo del quadro nelle principali lingue di esportazione. Anche se poche, alcune stampe sono di provenienza parigina (L. Turgis & Fils Edit. Imp. R. des ecoles, 60) o tedesca della zona di Lipsia e di Limburg (diocesi dell'Assia/Renania Palatinato; una di esse porta anche il nome Seiber), segno di una penetrazione di prodotto internazionale anche nella Sicilia interna. E circolava anche qualche stampa profana con mandolini e figure in atteggiamenti romantici e sognanti, danze di fanciulle tra sottili veli e fiori, paesaggi notturni al chiar di luna.
Molta produzione tuttavia è anonima; a volte contiene solo un numero di identificazione della serie al fine di permettere l'ordinazione di altre copie. E gli autori non disdegnano di copiarsi tra loro o dar vita a riproduzioni diverse solo per l'aggiunta di varianti minime. Esempi di copiatura o di piccole variazioni sono visibili soprattutto nei quadri più richiesti, come le Sacre Famiglie o il Cuore di Gesù, nei quali a volte l'immagine può essere riflessa (segno della copiatura) o dipinta con colori diversi; oppure alla aureola a forma di nimbo si aggiunge anche quella a croce.
Gran parte delle stampe identificabili è di produzione italiana, principalmente del Nord.
Ma dovevano esserci anche degli stampasanti o "pincisanti" siciliani, mestiere ingrato:
pueti, sunatura e stampasanti
campanu tutti poviri e pizzenti.
Il Pitrè, citato anche nel proverbio da Giuseppe Cocchiara (in Immagini Devote del Popolo Siciliano, edito dalla Sellerio), ricorda che a Palermo i più bravi abitavano in via Cartari. Il Cocchiara identifica stampasanti, oltre che in via Cartari, anche in via Calderai e via Cavallara; e ne segnala altri, dal commercio più limitato, a Floridia, Lentini o Noto. La nostra collezione invece ci fa scoprire un tipografo di Avola, Eugenio Piazza, per il quale "Fso Lo Turco fece Catania maggio 1900" un San Sebastiano; e ci riporta, probabilmente, ancora a Palermo, al palazzo detto di Piazza Lattarini e/o in piazza S. Anna, dove può aver operato la litografia di B. Sutera. Immagini si dice giungessero soprattutto da Napoli, ma forse è una situazione precedente alla nostra; o venivano copiate da originali napoletani o milanesi.
2) Venditori ambulanti e compratori
Il Cocchiara pensa che il commercio delle stampe popolari in Sicilia sia stato lasciato libero fino al 1734, quando il vicerè Cristofaro Fernandez de Cordoba ordinò che fossero sottoposte a censura preventiva; che la circolazione di stampe anonime potrebbe essere collegata a questa disposizione, ripetuta anche qualche decennio più tardi; che infine tale fenomeno è di dimensione europea.
In effetti, dopo il concilio di Trento, fin dal 1603 il cardinale vicario di Roma C. Borghese aveva sottoposto per decreto l'opera dei pittori ad approvazione preventiva, ma non sappiamo se era anche un "invito" generalizzato agli altri stati. La preoccupazione che attraverso la pittura si possano introdurre dottrine erronee o pratiche sconvenienti è un atteggiamento costante della gerarchia; e qualche volta, anche se raramente, come nel caso dei vescovi belgi nel 1886, l'intervento ecclesiastico è motivato dal tentativo di elevare la qualità artistica delle stampe religiose.
In generale la circolazione delle stampe era assicurata dai venditori ambulanti, specialmente in occasione di feste e di fiere o da alcuni ordini religiosi, che alimentavano devozioni particolari raccogliendo anche offerte.
Inoltre (tralasciando qualche regalo dei preti o dei falegnami, in occasione del matrimonio) la penetrazione avveniva attraverso la forma di commercio più diffusa: quella delle uova, la merce che ogni massaia era in grado di produrre e che veniva collocata nei mercati delle grandi città, Palermo in primo luogo. Facevano acquisti anche attraverso altri prodotti naturali: lana vecchia, i capelli rimasti tra i pettini. E il grido ricorrente nelle strade non era, come oggi, "cu voli ova?" ma piuttosto "cu avi ova?". E in cambio, a parte i soldi, ricevevano qualcosa che faceva comodo in famiglia: scarpe, lino, o merce che nel trasporto pesava poco.
Infatti alcuni degli ambulanti venivano da Palermo e non sempre il percorso dalla stazione ai nostri paesi poteva essere fatto a dorso di mulo e quasi certamente il ritorno alla stazione con il carico di uova era rifatto a piedi. Tra questi masciu Turiddu o masciu Caliddu, suocero di don Peppe Gambino, che imparò a conoscere i nostri paesi insieme ad altri; e qui alcuni tornarono da sfollati negli anni duri della guerra, proseguendo nel mestiere usato anche dopo. (Qualche altro veniva da Grotte; ed alcuni erano paesani).
Masciu Caliddu vendeva nel 1936 un quadro di normali dimensioni per 6 lire e chi non aveva soldi poteva pagarlo "a rate" anche in natura, fino alla copertura della spesa.
Ma a sua volta, come abbiamo visto, la merce arrivava a Palermo da lontano, principalmente Milano e, talvolta, anche dall'estero. Uno di questi passaggi è ricostruito dal retro di un quadro su cui è rimasta incollata la bolletta di spedizione della merce religiosa che il kunstanstalt B. Grosz di Lipsia spediva, via Svizzera, a Palermo ai fratelli Ceruti in via Francesco Ger… e da cui, direttamente o indirettamente, si riforniva uno degli anonimi venditori-compratori viaggianti per la Sicilia interna.
Le immagini devote non hanno il compito di essere artisticamente belle e, di solito, non lo sono: solo qualche volta riproducono pitture o sculture famose. Hanno lo scopo di trasmettere un messaggio al popolo e quindi usano un linguaggio di segni che la gente capisce fin dalla infanzia perché è inalterato dai tempi del Tre-Quattrocento: e cioè l'atteggiamento delle figure, la posizione del collo, delle mani o delle braccia, gli oggetti o i simboli presenti, anche i colori e il paesaggio.
3) Con l'emigrazione finisce un mondo ed uno stile. Nuove forme di devozione.
L'emigrazione e l'ingresso del Meridione nella civiltà industriale, anche se non in modo pieno, ha provocato benessere ma anche la fine della civiltà contadina e di tante forme di religiosità ad essa legate. Non vuol dire che non siamo più religiosi, forse lo siamo in un modo diverso, anche più interiore e individuale. Negli anni Sessanta e successivi si rivoluzionano le case (il boom è stato anche edilizio) e certi culti o devozioni spariscono per forza di cose (Sant'Antonio Abate, santo dell'agricoltura), si tolgono molti quadri dalle pareti (a volte umidi o anneriti) e, quando vengono sostituiti, si preferisce una riproduzione in silver o porcellana (Crocifisso, Volto Santo, Sacra Famiglia, la Vergine col Bambino). O anche niente.
I negozi religiosi hanno ridotto l'offerta delle stampe tradizionali valorizzando innanzitutto i Sacri Cuori di Gesù e di Maria e molte stampe di icone bizantine, una novità che prova a stimolare la devozione con mezzi non legati alla nostra tradizione.
Del resto anche la Chiesa, con il concilio, è cambiata: nella liturgia, nell'edilizia religiosa, nella riduzione della quantità di immagini nelle chiese e, soprattutto, fornendo attraverso le immagini una netta gerarchia del culto, che vede su tutto la divinità (il Cristo, il Crocifisso), poi la Madonna e, di seguito, i santi, compreso il santo titolare della chiesa.
Dalle nostre parti, passato l'effetto della emigrazione di massa, si assiste ad un ritorno e valorizzazione del passato, un bisogno di afferrare le proprie radici, anche religiose, e ristabilire il contatto con i nostri antenati. Ma in altre parti (le grandi città e principalmente le città del Nord, dove ancora arrivano nuove forze di lavoro) l'identità con il proprio territorio è più debole. E parlare di radici vuol dire spesso parlare di tradizioni familiari e di come assorbire tante storie personali nella tradizione collettiva del territorio di accoglienza.
4) I nomi degli stampatori
Le immagini della nostra collezione, di Otto e Novecento, portano i nomi di Cav. G. Canedi Milano, Ed. G. Mi., A. Zuchegna di Genova, A. Bertarelli & C. di Milano, un non meglio identificato Saepi, le Arti Grafiche del cav. Ambrogio Longone o quelle dei fratelli Bonetti di Milano (i fratelli, nel ventennio tra le due guerre mondiali), un certo "Dep. Immagini Antiblasfema Canicatti", il marchio IDGI (attraversato da una A maiuscola) oppure un rombo con dentro le iniziali F.Q.M. o un piccolo fregio rotondo con dentro qualcosa che somiglia a un duomo di Milano stilizzato e le iniziali "C. G". Poi c'è una imprecisata sigla ACB e la milanese Alma.
Mario Tona
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