Messaggio per la Quaresima 2004
Carissimi fratelli e sorelle
1. Una volta i vescovi usavano pubblicare una lettera pastorale, spesso di una certa ampiezza, all'inizio della quaresima. In molti casi restava l'atto più significativo dell'insegnamento del vescovo durante l'anno. Ora non è più cosi. Il vescovo ha modo di scrivere e, ancor più, di parlare ai presbiteri, ai religiosi e ai fedeli molto più frequentemente e in circostanze diverse, talune solenni e altre, più numerose, semplici e quotidiane. L'ho sperimentato nel mio primo anno di ministero episcopale. Non raramente in uno stesso giorno ho parlato in tre e perfino in quattro posti diversi della diocesi a gruppi numerosi di fedeli. Non si può dire davvero che nel nostro tempo la figura del vescovo sia distante e solitaria.
E, poi, oggi acquistano vasto risalto, anche nelle singole Chiese locali, per la più facile comunicazione derivante dall'uso dei mass media, i documenti del Papa, compreso il suo messaggio per l'inizio della quaresima. Quest'anno esso è dedicato all'attenzione da riservare ai bambini, specialmente a quelli per vari motivi in difficoltà, sull'esempio dello stesso Signore Gesù che mostrò una grande predilezione per i piccoli. Faccio mio per voi l'invito del Papa nel suo messaggio: «La quaresima sia utile occasione per dedicare maggiore cura ai bambini, nel proprio ambiente familiare e sociale: essi sono il futuro dell'umanità».
2. Le lettere pastorali del passato conservano, però, una loro importanza non solo per gli storici, che vi scorgono la testimonianza delle preoccupazioni pastorali dei vescovi dei decenni e dei secoli scorsi e, nello stesso tempo, una documentazione non secondaria della vicenda delle Chiese affidate alle loro cure, ma anche per le comunità ecclesiali di oggi che, leggendole e studiandone il contenuto, possono ricollegarsi alla tradizione particolare della propria Chiesa locale e sentire più vivo il legame con le generazioni cristiane che le hanno precedute.
Scorrevo, nei giorni scorsi, le lettere pastorali dell'arcivescovo Intreccialagli (Montecompatri 1852 - Monreale 1924) che, oltre vent'anni fa, furono pubblicate, con una bella introduzione di don Antonio Giliberto, in un volume delle Edizioni del Seminario di Caltanissetta. Rileggendole, sono stato colpito dall'insistenza di quel mio predecessore, di cui la Chiesa ha riconosciuto l'eroicità delle virtù proclamandolo venerabile, sull'amore del prossimo e, in particolare, sul perdono delle offese ricevute. La lettera per la quaresima del 1913 fu intitolata L'amore del prossimo e quella dell'anno seguente Amare anche i nemici. E nel 1916 il tema fu Ancora sull'amore del prossimo.
C'era indubbiamente, in tale insistenza, una precisa reazione evangelica alle tante parole che dai più svariati pulpiti, in quegli anni della prima guerra mondiale, suggerivano l'odio al nemico della patria. Ma c'era anche il dolore del pastore che osservava in tante comunità paesane e all'interno stesso delle famiglie una scia profonda di radicati rancori e di odi tenaci e determinati perfino all'omicidio. E non era difficile scorgere nel sentimento di astio e nella volontà di vendetta che dividevano i paesi e le famiglie la radice o, comunque, l'alimento di feroci forme di criminalità organizzata, quali il banditismo e la mafia, che allora opprimevano la convivenza civile e che, purtroppo, avrebbero continuato a turbarla in seguito.
Il santo vescovo voleva portare tutti, presbiteri e fedeli, delle due diocesi che allora reggeva contemporaneamente, Monreale e Caltanissetta, ad un sentire più evangelico. Nella lettera del 1914 - esattamente novant'anni fa - lamentava che l'insegnamento del Signore sull'amore anche ai nemici fosse ripetuto con le labbra ma non fosse interiorizzato e, perciò, non guidasse i pensieri e non animasse i comportamenti.
E aggiungeva: «Si giunge anzi spesso a quasi persuadersi essere debolezza e pusillanimità il perdono delle ingiurie e delle offese ricevute, disonore e vergogna il non saperle vendicare prontamente». Il vescovo non riusciva a comprendere e, tanto meno, a giustificare una tale antievangelica «persuasione» che egli coglieva negli atteggiamenti e nelle parole di tanti cristiani che pure rivendicavano la propria appartenenza alla Chiesa e un loro legame con il Signore. Il suo insegnamento si faceva esortazione accorata: «Figli carissimi, non è il risentimento, non è l'odio, non è la vendetta che rendono l'uomo nobile, forte e grande; è tale colui che sa dominare e vincere se stesso, che sa essere magnanimo, che sa rendere bene per male». E non esitava a mettere sull'avviso con toni molto forti: nessuno si illuda di trovare misericordia presso Dio se non usa misericordia verso il parente o l'amico o il vicino che l'ha offeso e nessuno pensi di pregare effettivamente, cioè di comunicare veramente con Dio, se non perdona di vero cuore le offese ricevute.
3. Fratelli e sorelle, c'è da chiederci, a novant'anni dalla lettera pastorale di mons. Intrecciai agli sull'amore anche ai nemici, se un sentire più cristiano sia stato interiorizzato, da allora, nelle nostre comunità paesane.
Mi impressionò che l'arciprete di un comune della diocesi, accogliendomi per la mia prima visita da vescovo, affermasse davanti a tutto il popolo radunato in chiesa che il problema pastorale più grave che egli registrava nella parrocchia era la difficoltà dei fedeli a perdonarsi vicendevolmente e a rinunziare alla vendetta. E, comunque, da quel che ho avuto modo di notare nel primo anno del mio ministero episcopale e da tanti incontri che ho avuto con moltissime persone, mi sono formato la convinzione che l'invito del venerabile mons. Intreccialagli a un pensare e a un agire secondo il vangelo, proprio sul punto del perdono cristiano, conservi per noi una viva attualità ed anzi una grande urgenza.
E per questo, con semplicità e fiducia, ripropongo per la quaresima 2004 nella nostra Chiesa diocesana, accanto al messaggio di Giovanni Paolo II, quel medesimo invito del santo mio predecessore, pregandolo che interceda per noi tutti una più generosa docilità allo Spirito d'amore che ci è stato donato dal Signore risorto per mezzo dei sacramenti della Chiesa.
4. Carissimi, solo lo Spirito del Signore può renderci capaci di un amore che non tiene conto delle offese ricevute. Solo facendolo agire nel nostro cuore senza opporre resistenze potremo liberarci da ogni risentimento e gustare la gioia del perdono cristiano. E solo se ci facciamo condurre dallo Spirito Santo potremo vincere le suggestioni di ciò che, secondo l'insegnamento della Scrittura, si oppone a Dio più o meno radicalmente: lo spirito del male, lo spirito della carne e lo spirito del mondo.
Proprio all'inizio della quaresima la liturgia, nell'orazione colletta del mercoledì delle ceneri, ci dice che dobbiamo intraprendere «un cammino di vera conversione per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male». Non sono parole retoriche e, certo, non veicolano una mentalità religiosa sorpassata. Sono parole di grande verità e di effettiva importanza. La vita cristiana è un combattimento: lo stesso combattimento di satana contro Cristo di cui ci parlano i vangeli. Nel cuore dei cristiani ed anzi di ogni uomo continua la battaglia dello spirito del male contro il Figlio di Dio fattosi uomo per la nostra salvezza.
Dobbiamo essere consapevoli che il terreno di questo scontro drammatico sono i nostri pensieri, i nostro affetti, i nostri desideri, i nostri comportamenti. Dobbiamo perciò vigilare su di essi perché siano condotti dallo Spirito di Dio e non dallo spirito del male o dallo spirito della carne o dallo spirito del mondo, ricordandoci che non possiamo difenderci dallo spirito del male con le sue stesse armi ma solo con quelle dello Spirito di Dio. In altri termini, non possiamo opporre astio all'astio, offesa all'offesa, maldicenza alla maldicenza, ma dobbiamo rispondere al male col bene, all'odio con il perdono, al rancore con la mitezza, all'invidia con la magnanimità, alla calunnia con la pazienza.
La vita cristiana consiste precisamente nella docilità allo Spirito di Cristo, che è amore, pace, umiltà. Sia la nostra quaresima caratterizzata da un desiderio sincero di farci guidare veramente dallo Spirito del Signore, tutti e ciascuno, nella vita personale e in quella familiare, nei vari ambiti dell'impegno sociale e del servizio ecclesiale.
Con questo augurio e tornando ad affidare me e voi tutti all'intercessione del venerabile mons. Intreccialagli, invoco su ciascuno la benedizione del Signore.
Monreale, 25 febbraio 2004. Mercoledì delle Ceneri
Mons. Cataldo Naro
Arcivescovo di Monreale
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