Semi di senape
Il male vissuto da Gesù
Nel tempo che va dalla festa del battesimo di Gesù alla Quaresima e alla Pasqua, i testi biblici che la Chiesa propone nella Liturgia inducono ad una riflessione: qual è il senso della sofferenza assunta da Gesù?
Già la sua nascita è accompagnata da una strage di bambini innocenti (Mt 2,16); Erode, temendo di essere detronizzato, secondo le informazioni ricevute dai Magi sapienti, ordina un’efferata vendetta: uccidere i neonati in Giudea dov’egli è Re. Ci possiamo chiedere: se i Magi sapienti avessero fornito notizie a Erode per localizzare Gesù bambino, sarebbe stata evitata la strage degli innocenti màrtiri? Di certo è che il cuore di Erode già indurito dall’orgoglio e dall’idolatria è la radice dell’infanticidio.
Mi sembra più grave nella figura del monarca dispotico il peccato di idolatria, giacché stima se stesso più alto di ogni evento religioso. Non è per caso poi che nelle tentazioni ordite nel deserto dal Demonio contro Gesù, sia inserito il peccato di idolatria. «Non tentare il Signore Dio tuo» e «ama il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto» replica Gesù, citando i passi della Scrittura (Dt 8,3 e 6,16).
Se rileggiamo l’evento del battesimo di Gesù con occhi di fede rileviamo il mistero della giustizia del Padre (Mt 3,15) e si può asserire che sia il cosmo sia l’umanità siano inseriti manifestamente nel processo della glorificazione. Come infatti guarendo i malati e gli indemoniati, afflitti e tormentati nella sofferenza, Gesù esprime che così accade per la Gloria del Padre, così culminando il mistero globale della redenzione dell’universo e dell’uomo, Cristo Gesù è elevato verso il Padre dalla croce. Questa è la teologia della Gloria sostenuta in particolare nel Vangelo di Giovanni.
Gesù non va al battesimo di Giovanni il Battista perché sia manchevole di qualcosa o perché abbia peccato, ma per manifestare al mondo la sua missione; quando poi Gesù va a Gerusalemme, per portare a termine la missione ricevuta da Dio Padre, manifesta così l’amore di riscatto per tutti i peccati degli uomini: è un equilibrio delle cose della natura che raggiungono una quiete e delle vicende morali dell’uomo che sono giustificate da Dio nella pace – così nella radice ebraica i vocaboli “giustizia” (sedaqàh) e “pace” (shalòm). È pure più di una riconciliazione, nel senso che l’uomo riceve il di più in benevolenza e misericordia, seppure non meriti.
Anche ciò che è più oscuro e fragile nella natura e nell’uomo è sussunto da Dio; a cominciare dalla sofferenza e dal dolore, individuale e sociale, morale e cosmico – come il recente cataclisma che ha colpito le popolazioni del sudest asiatico. È proprio dell’ebraismo far conoscere Dio che si rivela compassionevole e soffre con tutto se stesso; è proprio del cristianesimo manifestare che Dio stesso, nel mistero dell’Incarnazione, Dio si è fatto carne; ha preso con sé e su di sé ogni aspetto della natura umana, e quindi la sofferenza degli innocenti, Egli che era Giusto e Salvatore,innocente e senza macchia.
Mi sembra che sia un cammino solo: dalla povera dimora di Bethlemme al luogo desolato del Golghota; un cammino in cui s’incrociano più volte la via della regalità di Gesù e la Via crucis, la via del Regno dei cieli e la via della Passione del Messia.
Si può raccordare infatti l’atto dei Magi, capi religiosi persiani, di adorare Gesù, vero Dio e vero uomo, pur nella povertà del luogo e nella sobria gioia che caratterizza i testimoni (Maria e Giuseppe, i pastori e gli angeli), con l’atto di tentare Gesù compiuto a Gerusalemme dai capi politici (Pilato, Erode, i maggiorenti ebrei…) all’interno dei palazzi del potere e sotto forma di un processo di interesse nazionale.
L’adorazione dei Magi, che nella colletta dell’Epifania sono qualificati santi, è bilanciata dall’innalzamento di Gesù in croce; colui che è abbassato è elevato nella gloria secondo Giovanni apostolo. Anche nella teologia paolina l’atto di “umiliare” in croce si lega come significato teologico a “esaltare”, (vedi l’inno cristologico Fil 2,6-11).
Don Salvatore Falzone
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