SUTERA, SECONDA FESTA DELLA DEMANIALITA’


Sabato 20 febbraio si è celebrata la festa della demanialità voluta dal sindaco Difrancesco che già l’anno scorso aveva indicato la data del 21 febbraio, giorno del ritorno di Sutera tra le libere del re nel 1398, diffondendo anche il testo latino originale che si era fatto estrarre in copia a Palermo già l’anno scorso. E il tema della conferenza scelto dal Comune è stato proprio il libro rosso dei privilegi della nostra antica città demaniale. Il pomeriggio si è poi concluso con un concerto per pianoforte e clarinetto dei maestri Fagone Licalsi, entrambi docenti dell’Istituto Musicale Bellini di Mazzarino. Essi hanno eseguito pezzi di R. Schumann, Verdi, E. Chausson e F. Poulec. All’organizzazione della manifestazione ha collaborato anche l’associazione culturale e musicale G. Diliberto.
Ha introdotto i lavori il Sindaco che, dopo aver ricordato alcune fasi dell’antica storia suterese e l’origine dell’appellativo di cui la città si fregia, ha presentato gli ospiti: il prof. Marcello Sapia e la dott.ssa Luigia Furnari, che ha consultato quasi tutti i libri dei privilegi delle città demaniali di Sicilia (gliene mancano ancora quattro, ma si è già fatta una idea di massima sui contenuti e le motivazioni che hanno portato alla loro compilazione) ed infine l’architetto Luigi Maria Gattuso della Sovrintendenza di Caltanissetta, il cui ufficio ha curato il restauro del libro: restauro definito non particolarmente arduo, ma comunque necessario.
Gli oratori ci hanno riportato all’inizio del regno di Sicilia, quando i normanni divisero le terre ai baroni ed altre invece ne assegnarono ad alcune città demaniali, dette anche reali, che permettevano una rendita diretta al sovrano ma anche un controllo del territorio e delle vicine terre dei baroni. Le città demaniali avevano un seggio anche al parlamento, insieme al braccio baronale e quello ecclesiastico.
Le città demaniali, è stato detto, avevano una vita interna particolare fino ai tempi di Martino il giovane che nel 1398 volle per loro un sistema di competenze e di autogoverno omogeneo. E mentre da un lato il re era rappresentato dal capitano di giustizia che decideva su questioni che non superavano una certa gravità, dall’altro c’era la corte giuratoria composta da quattro o sei membri di cittadini onorati e “sufficienti”. Il loro sistema di elezione era misto, nel senso che un consiglio ristretto di cittadini proponeva al re una rosa di nomi, all’interno della quale egli sceglieva i membri della corte. Un certo tasso di conflitto tra i due organismi era fisiologico.
La normativa regia, che arrivava sotto forma di capitula, lettere e prammatiche, veniva filtrata dalla corte giuratoria che ne raccoglieva le disposizioni più importanti in apposita cassa. La formazione ufficiale della normativa non era tuttavia a senso unico, nel senso che non procedeva soltanto dal sovrano alle città che ne accoglievano passivamente le disposizioni, ma spesso erano “supplicate” dal basso, con vere e proprie contrattazioni ed esborsi in denaro.
Ma perché le città demaniali sentirono il bisogno di raccogliere gli atti più importanti in un corpo unico, quasi un libro, e qual era il criterio di selezione dei documenti da conservare? La dott.ssa Furnari ha ricordato che la risposta viene dal tipo di documenti selezionati, permettendo di delineare cinque scenari fondamentali di raccolta degli atti:
1) atti tesi a difendere la demanialità della cittadina. Poiché i re, per fare cassa e sostenere guerre o spese di corte, avevano preso l’abitudine di vendere ai baroni le città reali per incassare quattrini, le città da un lato ricompravano la loro libertà in moneta sonante e pesante e dall’altro tendevano ad accumulare tutta la documentazione che potesse in futuro dimostrare la perpetuità dell’istituto demaniale. Altra sottile lotta era di dimostrare al re che non era conveniente vendere la città, perché essa forniva all’erario, nel tempo, una entrata superiore a quella che il re poteva ricavare cedendola ai baroni. Le prime compilazioni di libri che raccoglievano i fogli dei privilegi demaniali risalgono agli anni ‘40/50 del Cinquecento.
2) Atti tesi a difendere il privilegio del mero e misto imperio;
3) Le gabelle di competenza della città (per Sutera erano essenzialmente quella della estrazione del frumento e lo jus pascendi et lignandi;
4) Pertinenze da vantare sui paesi confinanti;
5) Difesa delle competenze della corte giuratoria.
Il cartolario dei privilegi di Sutera risulta messo insieme per la prima volta poco prima della metà del Settecento, accresciuto intorno agli anni Ottanta del Settecento ed infine nella seconda metà dell’Ottocento. Dopo il 1743 (data dell’ultimo documento inserito in questa prima fase) c’è la causa tra la città di Sutera ed i baroni confinanti per una disputa sullo jus lignandi e l’estrazione del frumento (foro competente il tribunale del real patrimonio). Dopo il 1788 il libro viene scucito in occasione della lite con l’università di Acquaviva che pretendeva di non pagare l’estrazione del frumento ma di esigerla a sua volta da altri) ed infine una terza volta alla fine dell’Ottocento con l’inserimento di un paio di documenti riguardanti lo scioglimento delle promiscuità.
Infine l’architetto Gattuso ci ha fatto vedere le foto del libro prima e dopo il restauro, illustrando anche la politica di valorizzazione del territorio provinciale che la Sovrintendenza intende seguire nel breve periodo.
E’ stato un pomeriggio interessante, concluso con il concerto. Così ognuno ha scelto quello che più preferiva. Qualcuno, anche, tutti e due.

Mario Tona


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