I Santi della montagna
Il culto di san Paolino e sant'Onofrio a Sutera - 1
È difficile stabilire con esattezza le origini di Sutera, piccola località dell'entroterra siciliano, per le frammentarie ed esigue notizie giunte sino a noi; tuttavia diversi indizi c'inducono a propendere per una datazione altomedievale e precisamente d'età araba. Le articolate e complesse vicende storiche di questa bella cittadina d'impianto medievale, arroccata sulle pendici del monte San Paolino (819 m. sopra il livello del mare), assumono per il circondario importanza piuttosto rilevante, che molto ha influito e influisce ancora sui rapporti socio-economici stretti da Sutera con alcuni altri vicini agglomerati abitativi.
Per le epoche più antiche dobbiamo affidarci ad alcuni resti umani e alle tracce di cultura materiale che si possono ritrovare nelle necropoli a grotticelle e a tholos, e a resti d'animali. Purtroppo tali rinvenimenti fortuiti non hanno indotto le autorità competenti ad intraprendere delle sistematiche campagne di scavo, necessarie per disporre di studi in grado di leggere la ricca presenza di segni preistorici sul monte San Paolino, nelle contrade Piccirillo, Caccione e San Marco, sino a giungere agli affreschi basiliani custoditi in quel che resta di un oratorio nei pressi del paese.
Altri documenti ci forniscono dati inerenti alla tradizione orale raccolta tardivamente da alcuni studiosi locali (Vaccaro, Nicastro e Ferlisi), che hanno rivolto i loro interessi alle leggende di fondazione. Tuttavia, gli elementi narrativi vanno attentamente vagliati secondo un'indagine morfologica che ci potrebbe aiutare a contestualizzare i racconti popolari e a cogliere le indicazioni utili per contribuire a far luce sulle origini.
Le prime testimonianze scritte si riallacciano al periodo della conquista normanna, ma non mancano riferimenti peculiari dell'ambiente culturale arabo, come nel caso del geografo Edrisi che intorno alla metà del XII secolo riporta nella sua opera, Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo, il nome di Sutîr.
Altre informazioni si rintracciano all'interno del perimetro cittadino: la toponomastica, i pochi resti della moschea incorporata all'interno della chiesa madre, l'impianto arabo del quartiere del Rabato, il più antico del paese, denotano una stratificazione storico-cultturale d'estremo interesse per l'identità della comunità suterese e del proprio territorio.
A livello sociale l'ambiente suterese andava gradualmente arricchendosi sotto il profilo demografico di presenze legate al mondo arabo, latino e per un breve periodo è testimoniata l'esistenza di un esiguo gruppo d'ebrei. Nel XIII secolo le prime due comunità coabitavano pacificamente, sino a quando l'azione repressiva federiciana non si abbatté sul nucleo arabo. Nonostante il processo di cristianizzazione fosse stato inarrestabile, in quest'area, anche dopo la morte di Federico II, rimanevano sacche di popolazione di provenienza islamica. Infatti, conosciamo alcuni proprietari terrieri di cultura musulmana, tra cui un certo qàyd abd al-Rahman che possedeva ben tre feudi (cf. H. Bresc, La feudalizzazione in Sicilia. Dal vassallaggio al potere baronale, in Storia della Sicilia, vol. III, Società Editrice Storia di Napoli e della Sicilia, Napoli 1980, p. 505).
La località visse un periodo di forte crescita sotto i Chiaramonte, potente famiglia dell'aristocrazia siciliana che s'impegnò a dotare di servizi l'ambiente urbano fondando la chiesa di San Paolino e la chiesa madre intitolata in antico a Santa Maria, e poi dedicata, in una data imprecisata, all'Assunta. Appare chiara la natura politica del programma architettonico volto a sottolineare la potenza e il prestigio che acquistava il casato nel panorama aristocratico siciliano.
Non possiamo spingerci oltre nell'assegnare alla committenza chiaramontana altre strutture per insufficienti testimonianze documentarie, che non ci danno la possibilità di attribuire alla nobile famiglia siculo-catalana i due insediamenti regolari dei carmelitani e delle benedettine, rilevate da Rocco Pirri nella sua Sicilia Sacra tra le istituzioni di antica fondazione.
Siamo meglio informati invece sulla vita religiosa della prima metà del Cinquecento, allorquando il vescovo d'Agrigento, mons. Pietro d'Aragona e Tagliavia, include negli atti della prima visita pastorale le chiese di Sant'Agata, all'epoca già parrocchiale, Santa Maria del Monte, San Leonardo e San Giacomo (cf. L. Bontà, Titolature dei luoghi di culto dell'area nissena nel Cinquecento, in Notiziario del Centro Studi Cammarata, n. 37/2000, pp. 5-20).
La fioritura dei luoghi di culto nasceva dalla diretta conseguenza dell'andamento demografico; difatti, la popolazione nel 1376 contava 170 fuochi che sommandoli ai 12 esistenti a Milocca, villaggio di là del fiume Gallo d'Oro, costituivano gli unici aggregati abitativi ricadenti in quel territorio. In seguito, nel 1505, gli abitanti furono stimati in 676 fuochi, per poi ridiscendere a 2.500 anime nel 1669, per ragioni ancora da investigare; ma certamente non risulta estraneo il fenomeno dell'immigrazione interna che permise di incrementare i paesi di nuova fondazione a discapito delle antiche università. La cittadina capo-comarca vide così diminuire la propria popolazione che si spostò in altri agglomerati rurali di recente costruzione (Cattolica Eraclea, Serradifalco, San Cataldo, Campofranco, Casteltermini); la migrazione di popolazione si protrasse ancora per qualche tempo, tanto che ancora nel XVII secolo Pietro Propono nella sua opera sulla vita di sant'Onofrio lamentava la tendenza della popolazione a trasferirsi in altri luoghi (Vita e miracoli del glorioso S. Onofrio, per Carlo Adamo, Palermo 1681, p. 135).
La costruzione della chiesa dedicata a San Paolino da Nola in cima al monte, che da allora ne assunse il nome, rappresentò per la comunità un avvenimento religioso di particolare importanza per lo scopo cui era destinata. Nell'edificio sacro, eretto intorno al 1370 dal barone Giovanni III Chiaramonte, infatti trovarono degna sistemazione le reliquie dei santi Paolino da Noia, Onofrio eremita, Pietro martire, Archileone e Damiano, che giunsero a Sutera in un periodo in cui era ancora ammesso il commercio delle reliquie. II merito di averle portate nella nostra località spetta a Matteo Chiaramonte, cugino di Giovanni. I Chiaramonte scelsero accuratamente il luogo dove esporre le spoglie dei santi e lo individuarono in una posizione strategica, accanto al castello già eretto nell'XI secolo al tempo della conquista normanna. Una stampa inserita nel testo del Propono documenta l'esistenza dell'antico maniero in cima al monte e del santuario nelle sue vicinanze.
L'esigenza popolare di difendersi dai mali terreni e spirituali portava a ricercare protezione soprannaturale presso santi potenti. L'ausilio di più santi, poi, aumentava ancor di più la possibilità di essere sotto un mantello protettivo impenetrabile alle forze del male. A maggior ragione la presenza delle reliquie produceva uno straordinario effetto rassicurante e il luogo, dove esse erano custodite, diveniva centro della manifestazione della potenza taumaturgica dei santi protettori. Ben presto dunque si sviluppò il pellegrinaggio dalla stessa cittadina e dalle località vicine. In particolar modo la cultualizzazione si coagulò intorno ai santi Paolino e Onofrio che dal 1634, assieme ad Archileone, si dividono il compito di proteggere il paese; lasciando nominalmente all'Assunta il titolo di antica patrona. Le reliquie furono conservate nella straordinaria urna rinascimentale di san Paolino commissionata nel 1498 dalla famiglia Pujades di origine barcellonese e collocate dietro l'altare maggiore, come si evince dagli atti della visita pastorale del 1585 in cui si ricorda «uno scrignetto di tavole foderato d'argento con suoi personaggi d'argento massiccio dentro del quale vi stanno li reliquii de li corpi di santi Paolino, Honofrio e Archilion et parte delli reliquie di San Damiano et di San Pietro martire [...]. Quale scrignetto si conserva in un tabernacolo di tavole dentro la trebona seu cappella dentro l'altare maggiore di detta chiesa formati con sette chiavi, quattro a detto tabernacolo li tre li tenino li magnifici giurati et una lo procuratore» (Archivio Storico Curia Vescovile di Agrigento = ASCVA, Reg. Visitationum 1585, c. 317r).
Attualmente le reliquie si custodiscono all'interno di due urne cesellate e sbalzate in argento, poste nella cappella di sinistra in una custodia di legno recante la data 1896. Tale disposizione risale all'epoca della realizzazione dell'urna di sant'Onofrio, fabbricata a Palermo nel 1649 dall'artista Francesco Rivelo su committenza della città di Sutera.
La devozione al titolare della chiesa sul monte è profonda, diffusa e radicata, com'è mostrato nel testo letterario di un certo Cola Cipolletta che nel 1552 compose ('Historia della vita e morti di San Paulinu; lo scritto riscosse grande successo e ne apparvero diverse edizioni nel corso del tempo.
Il culto della coppia dei santi considerati terapeuti per le loro virtù taumaturgiche doveva attirare numerosi devoti che, secondo le richieste, ricorrevano a volte all'uno o all'altro intercessore. Ma avveniva anche che, in momenti di particolare crisi "collettiva", essi erano implorati entrambi, come nella domanda di liberazione dai terremoti, dalle epidemie e dalle calamità naturali, prerogative tipiche dei patroni delle città. Se sulle qualità miracolose di sant'Onorio abbiamo diverse informazioni provenienti dal Propono - il quale illustra ben venti prodigi - e dalla tradizione orale (protegge dalle malattie della gola, del naso e delle orecchie e dai rischi della gravidanza), poco si sa invece sugli interventi taumaturgici del vescovo di Nola a favore dei devoti suteresi, dai quali egli era comunque considerato come particolarmente potente nel difendere dai pericoli della guerra.
La vita del santuario, amministrata nell'Ottocento dalla Congregazione della Carità, era assicurata dalle rendite e dai benefici lasciati generosamente da zelanti devoti, e dall'introito delle offerte devolute dai pellegrini.
La sua costruzione, approntata con materiali del posto e progettata a tre navate, ha avuto diversi interventi; ne sono prova, circoscrivendo l'ambito cronologico soltanto al secolo scorso, i numerosi lavori svoltisi nel 1900 allorché si intervenne sulle navate, e le altre operazioni di recupero di varia natura e di diversa entità effettuate nel 1931, 1957 e nel 1977. Infine, si è provveduto solo di recente, nel 2001, al restauro globale del complesso architettonico.
Luigi Bontà
Luigi Bontà si è laureato in storia all'Università di Bologna e insegna presso l'Istituto d'Arte Statale di San Cataldo e a Caltanissetta presso la sede decentrata della LUMSA. II testo qui pubblicato è frutto delle sue ricerche di storia locale nel Nisseno ed è proposto per il contributo che dà alla conoscenza delle identità civiche dei paesi della provincia e della diocesi di Caltanissetta.
Centro Studi Cammarata, n. 60/2004).
(Continua – 1)
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