Semi di senape
Paolo nel cuore della missione


Viviamo nel tempo liturgico ordinario; è un segmento di tempo «per annum»: va dalla Pentecoste alla Solennità di Cristo Re dell’Universo. Il tempo estivo si estende fra il solstizio d’estate e l’equinozio di autunno; avviene di fatto una inclusione del lavoro e del tempo naturale (i frutti e le messi d’inizio estate e la vendemmia e i frutti all’inizio d’autunno) nel tempo cristiano. E nell’arco del tempo della Liturgia della Chiesa, celebrato l’ultimo Giorno pasquale, la Pentecoste, si ricorda alla vigilia dell’autunno la festa dell’Esaltazione della Croce, - 14 settembre - celebrata nella Chiesa d’Oriente come una festa pasquale. Non c’è dubbio che gloria di Dio e croce del Cristo siano facce dello stesso Mistero: esso si manifesta attraverso i segni del tempo e della natura, del linguaggio e della cultura dell’uomo; per un disegno della Divina Provvidenza si manifesta nella storia.
Missione della Chiesa, che propizia nella Pentecoste i doni dello Spirito, è di evangelizzare le genti; alle origini, più degli altri apostoli, vi ha contribuito Paolo. La sua opera missionaria ha avuto effetti più estesi di quelli degli altri apostoli; ha compiuto 4 grandi viaggi missionari, è morto da martire a Roma, probabilmente nel 67. Quest’uomo è originario di Tarso, in Cilicia, una regione minore nella geografia dell’Impero romano; è cresciuto nella pietà del Giudaismo (cioè nel periodo successivo al 538 a.C. che ha permesso agli Ebrei la ricostruzione del tempio e la restaurazione del culto a Gerusalemme). Paolo ha pure la fortuna di perfezionarsi a Gerusalemme nelle dottrine dei farisei e cimentarsi nelle imprese fanatiche d’Israele, come l’uccisione di santo Stefano. Zelante e dotto, intransigente e spartano. Verso l’anno 36 ha deciso di dedicare la sua vita a Cristo. Uno “scontro” con i primi cristiani, considerati eretici, ha condotto Paolo verso un “mutamento”.
Proviamo a intendere la sua trasformazione come una conversione, in senso religioso, (di idee teologiche, condotta morale e pratiche di pietà); nello stesso tempo, senza mutare l’identità (cittadinanza romana e ascendenza ebraica) e la prospettiva originaria (carriera religiosa e onori civili) tale evoluzione è l’apice matura di un profilo biografico.
La missione di evangelizzare le genti in chiusura al Vangelo di Matteo, (Mt 28,18-20), è consegnata agli Undici, sul monte di Galilea. Nel testo originale si dice: mathetéusate ta éthne, che significa: «rendete discepole le etnie». L’ingiunzione di Cristo maestro di evangelizzare le etnie significa di portare la salvezza a tutti gli uomini, a qualunque tribù, lingua, popolo o nazione appartengano (Ap 5,9). Agli inizi gli Undici hanno limitato la loro missione pressoché nell’ambito geografico di Israele: hanno avuto poche occasioni di contatto con “stranieri” (Filippo che presenta i Greci a Gesù e in seguito evangelizza in Samaria); hanno fatto un’escursione su un monte di Galilea; hanno dato avvio alla loro attività missionaria in Giudea. I primi fedeli sono giudeo-cristiani.
Il popolo di Israele, così segnato dal Giudaismo, si è trovato a vivere una svolta, tra il 67 e il 135 d.C. Gli Ebrei, chiamati ellenisti, (numerosi erano gli ebrei che vivevano ad Alessandria e ad Antiochia, a Roma e altrove) s’erano mantenuti in una linea conforme ai Giudei di Gerusalemme; però erano evidenti le difficoltà di mantenere vive le tradizioni del Giudaismo.
Tra il 70 e il 120 d.C. si è definito l’insieme dei libri (la Bibbia d’Israele) da considerare “canonici”, cioè come sacri per l’ebraismo. Similmente è avvenuto lo stesso processo per il cristianesimo antico: i primi cristiani, giudei o ellenisti, conoscevano come Scritture la Bibbia d’Israele. In forma autonoma, rispetto al Giudaismo, anche la Chiesa delle origini ha definito i libri da considerare sacri, cioè canonici. Tali processi di definizione dei testi canonici non sono andati oltre il II sec. sia per il cristianesimo sia per l’ebraismo. Ebbene, i viaggi missionari e gli scritti di Paolo apostolo si collocano proprio nella generazione fra il 30 e il 70. Egli ha ereditato dal padre la cittadinanza romana e dalla madre il sangue ebraico. È un ebreo che proviene dall’ellenismo; non può essere chiuso alle genti!
Perciò è l’uomo “preso” – cioè requisito, in senso militare – sulla via di Damasco (nell’attuale Siria) e introdotto dal Cristo glorioso, che gli è apparso, nella missione di «fare discepole le etnie». All’indomani della sua opera religiosa, nell’Impero romano – sovranazionale e multietnico - comincia una durissima campagna di repressione del nazionalismo etnico degli Ebrei e perciò la fine del Giudaismo. Tito, imperatore, nel 70 porta a termine un’opera di conquista del padre Vespasiano: la presa e la distruzione di Gerusalemme, compreso il Tempio; il popolo ebraico è disperso; succede ancora una ribellione (114-117) e infine una seconda rivolta giudaica (132- 135) che provoca un più grave sterminio degli Ebrei da parte dei romani.
L’opera di Paolo si colloca nel tempo che precede il tramonto del Giudaismo: alla vigilia di un tempo storico, in cui è cominciata la Diaspora, l’ebraismo s’è rinnovato; intanto, la Chiesa delle origini è uscita dai confini d’Israele e i giudei cristiani sono stati superati dai pagani cristiani.
Mi sembra che meglio degli altri apostoli Paolo abbia vissuto e compreso di essere teologo e missionario per le etnie; una teologia delle etnie, come mistero di un popolo votato interamente a Dio, non può rovinare né verso il nazionalismo etnico, né declinarsi come integralismo socioreligioso. Il cuore dell’annuncio cristiano è solo di offrire pace e salvezza ai popoli. Perciò la Chiesa ha riconosciuto Paolo come Apostolo delle genti e difensore dei pagani, per avere portato il nome di Cristo ai popoli (At 9,15)

Don Salvatore Falzone


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