La fiaba nello sviluppo mentale del bambino - 6
In "Hansel e Gretel" non appena la strega muore bruciata, essi ottengono tesori e felicità. Le sofferenze e i patimenti scompaiono improvvisamente e il bambino ha la sensazione netta di poter autonomamente gestirsi, senza più problemi.
La consolazione è l'elemento più importante perché rida fiducia al bambino, così in "Cenerentola" la gelosia dei fratelli, la stessa gelosia, ma dei genitori in "Hansel e Gretel", la cattiveria di potenze malefiche nella "La bella addormentata nel bosco" ed altre tantissime tribolazioni e prove, rappresentano le forze malefiche. Però il bambino deve avere la certezza che il male non può trionfare e questo vuole sentirselo ripetere più e più volte attraverso narrazioni iterate. Le favole non devono essere modificate o abbellite o, peggio ancora, ripulite da elementi considera-ti violenti. Il modo di concepire la violenza è diametralmente opposto tra noi adulti e i bambini.
Il bambino non vede la violenza che può esserci nelle favole come la vediamo e concepiamo noi adulti. La violenza è per lui la rappresentazione del male e nient'altro. La mente del bambino è strutturata in modo totalmente diverso da noi adulti ed egli vuole che la violenza cioè il male sia punito allo stesso modo come si presenta e si manifesta nella fiaba. A mio parere non esiste violenza nelle fiabe. Tutt' altra cosa è la violenza presente nei cartoni animati o nei film.
Lo stesso episodio violento presente nella fiaba e trasposto poi nella versione cinematografica della fiaba ha un significato del tutto diverso perché la mente del bambino accetta in modo naturale quanto viene narrato anche se spiacevole o quanto il bambino stesso legge.
La violenza presente in una fiaba che il bambino vede al cinema o in televisione può invece avere un significato negativo, secondo la mia personale esperienza. Si attendono delle ricerche più estese in merito, |ma a mio modo di vedere il bambino non riesce col suo cervello ad operare sui dati che percepisce attraverso la vista come se la percezione pura della violenza presente nella fiaba cinematografica per cosi dire, non potesse essere epurata.
La causa di questa enorme differenza di cui bisogna necessariamente tenere conto nella presentazione delle attività ludiche al bambino è, a mio parere, dovuta ad un meccanismo assai semplice e complesso contemporaneamente: per migliaia di anni il cervello del bambino si è abituato ad elaborare i dati che gli forniva esclusivamente una percezione uditiva o visiva solo se legata alla lettura, nel momento della nascita della comunicazione scritta e non una percezione legata all'immagine.
In pratica la fiaba narrata da figure parentali veniva ed è sviluppata dal cervello del bambino anche nei suoi contenuti violenti senza che ciò abbia portato o porti a condizionamenti negativi. Il cervello del bambino nel corso dei millenni ha elaborato il contenuto della fiaba anche negli aspetti violenti, traendone soltanto dei vantaggi e sviluppando dei comportamenti positivi in funzione di una crescita armonica.
Tutto ciò è del tutto diverso nei confronti di un nuovo tipo di percezione della violenza contenuta in una fiaba: la percezione esclusivamente visiva legata allo scorrere delle immagini quali quelle presentate in un film.
Come se il cervello del bambino non fosse in grado di metabolizzare questa nuova percezione e se non riesce ad adeguarsi alla nuova percezione, non può trame alcun beneficio ed anzi ne viene dan-neggiato. L'argomento, a mio parere, è di enorme importanza e va accuratamente studiato.
Dunque non è dannosa la presentazione della violenza nella fiaba, ma la modalità di percezione della stessa. La violenza diventa così una esemplare eradicazione del male senza che ciò voglia dire che la fiaba tralasci di considerare la differenza esistente tra il male e le conseguenze di un modo di fare egoistico e malvagio.
Nella fiaba "Rapunzel" è ampiamente illustrato questo aspetto. Il testo della favola è il seguente: La mamma di Rapunzelmentre la portava in grembo, desiderava ardentemente degli ortaggi chiamati appunto, in tedesco, raperonzoli che crescono in un giardino proibito della maga. II desiderio era così grande che essa costrinse il marito a violare la proprietà della maga per raccogliere i raperonzoli. Ma la maga colse sul fatto il povero uomo e minacciò di punirlo.
Alle sue suppliche la maga addivenne ad un patto: non lo avrebbe punito purché le avesse ceduto la bambina non appena fosse nata. La maga l'avrebbe allevata come se fosse una sua figlia. Così la piccola Rapunzel fu allevata dalla maga che l’amava più degli ingrati genitori. Tutto andò bene finché Rapunzel raggiunse la maturità sessuale. La maga la rinchiuse in una torre altissima per non “perderla”, perché la ragazza voleva uscire con i coetanei e farsi notare essendo divenuta signorinella. Di tanto in tanto la maga madre l'andava a tro-vare arrampicandosi sulle trecce di Rapunzel. La ragazzina però, utilizzando le stesse trecce, iniziò, di nascosto, una relazione con un principe che per caso aveva incontrato.
L'incauta Rapunzel angosciata dal senso di colpa per i suoi incontri clandestini col principe, si lasciò scappare il segreto del suo amoreggiare e lo racconto alla maga-madre. La collera della maga fu talmente grande che volle vendicarsi del principe che le aveva rubato l'amore della sua "piccola" Rapunzel e così lo fece precipitare dalla torre. Cadendo su dei rovi il principe accecò.
La maga sarà successivamente sconfitta non in modo punitivo, perché il suo comportamento è stato determinato e motivato dall'amore eccessivo per Rapunzel. La fiaba termina a lieto fine perché Rapunzel con le sue stesse lacrime salva gli occhi del principe amante e lo sposa. Come si vede molto chiaramente il corpo di Rapunzel che è causa di grave disagio, essendo stato la miccia che ha acceso tante avversità, alla fine è anche la fonte di salvezza per mezzo delle lacrime che salvano il principe.
Dunque la sessualità è contemporaneamente fonte di malessere, ma è anche essenziale elemento di tranquillità ed equilibrio. L'egoismo della madre naturale di Rapunzel, che spinge il marito a raccogliere gli ortaggi proibiti, corrisponde all'egoismo della maga, madre adottiva di Rapunzel, a lei profondamente attaccata. Il potere insito nel corpo è rappresentato sia dalla smisurata lunghezza delle trecce della maga che vengono usate per scalare la torre altissima, sia dalla capacità guaritrice delle lacrime di Rapunzel che salvano gli occhi del principe.
Solo dopo avere superato un lungo periodo di prove e tribolazioni, indice di una crescita interiore lenta, graduale e sofferta, Rapunzel e il principe, raggiungono la piena felicità. Ovviamente il bambino non può avere coscienza dei suoi processi interiori che vengono esteriorizzati nella fiaba e simbolicamente rappresentati da eroi. Sia il principe che Rapunzel perdono la fiducia nel futuro e simbolicamente questa grande immaturità è rappresentata dai loro lamenti e pianti.
SAPPIAMO NARRARE LE FIABE?
La fiaba è latrice di innumerevoli messaggi interpersonali, simbolici e consolatori e va narrata con grande cura e partecipazione.
In tal modo è possibile un maggiore rapporto di comunicazione col bambino.
Nessuna parte della fiaba tradizionale va omessa, ma tutt’alpiù può essere plasmata nelle parti secondarie.
Va tenuto presente che il bambino può elaborare a modo suo, e spesso erroneamente, degli elemento principali della fiaba che il narratore ha tralasciato per pigrizia o per superficialità o per errate ed ingiustificate considerazioni.
Invece un bambino cui viene narrata in modo completo l'intera fiaba, può trame delle personali elaborazioni che lo aiutano in quel preciso momento della sua esistenza.
Sappiamo tutti che il bambino vuole ripetuta la fiaba tante e tante volte e già ho affrontato questo aspetto.
Qui desidero sottolineare ancora una volta che il bambino ha una situazione emotiva in continuo divenire e quindi chiede alle fiabe dei chiarimenti sempre nuovi in relazione allo stato emozionale di quel preciso momento. D'altra parte ogni fiaba è così ricca di elementi e di significati da costituire una vera miniera di dati per il bambino. Egli vi attinge con avidità, affamato com'è di spiegazioni ai suoi dubbi incalzanti. Ecco perché le intenzioni didattiche che spesso noi adulti vogliamo dare alle fiabe sono profondamente errate. Io direi che sono delle forzature intellettualoidi non confacenti.
I nostri antenati assai remoti quando inventarono le fiabe che poi si tramandavano oralmente di generazione in generazione, avevano un solo scopo: godere insieme al bambino. Dunque la molla principale che ha fatto scattare l'invenzione della fiaba è stato il piacere di raccontare, lo stare insieme a godere, grandi e piccoli. La fiaba non è nata come monito o come esperienza didattica o morale.
Desidero mettere in rilievo che il merito più grande della letteratura fabulatoria è il raggiungere direttamente i processi inconsci del bambino.
Con questo spirito va raccontata la fiaba. Nessun altro mezzo esiste per arrivare immediatamente e direttamente al complicato e ricchissimo mondo inconscio del bambino.
Il bambino ascolta la fiaba e man mano che la vicenda si delinea, avverte la comprensione dei suoi sentimenti più profondi e dei suoi desideri più impellenti e trova conforto alle sue angosce, ma soprattutto sente accrescere in se stesso la fiducia e la speranza. Il suo mondo oscuro, minaccioso ed irrazionale viene superato ed il bambino ritrova sicurezza e desiderio di proiettarsi nel futuro accettando anche le prove più ardue e pericolose della sua vita.
La fiaba è il tramite fra il mondo esterno e le esperienze interiori del bambino.
Ci chiediamo come faccia il bambino a comunicare con il suo mondo interiore, utilizzando la fiaba.
La risposta è nella struttura stessa della fiaba che utilizza essenzialmente immagini visive di grande effetto plastico senza ricorrere a fraseologie complicate. L'impatto è immediato.
Per capire ciò dobbiamo andare un momento indietro nel tempo.
Dott. Antonio Cumella –Pediatra
(Continua – 6)
Le precedenti puntate sono state pubblicate sui numeri di: agosto-settembre e dicembre 2004; gennaio, febbraio-marzo, aprile 2005.
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