Esimio signor Direttore


Leggendo Pietro davanti alla chiesa, di Don Salvatore Falzone, (numero di aprile) mi sono sentito attratto dalla idea di scriverLe una mia umile riflessione: che Pietro, così come noi lo conosciamo, non meritasse il privilegio di rappresentare la Chiesa. Esattamente come ogni essere umano: perché debole ma anche forte, traditore ma capace anche di riscatto, di pentimento e devota fedeltà.
Pietro e i suoi Successori, rappresentano bene noi esseri umani, incapaci di difendere la Fede nella quotidianità. Sarebbe assurdo pretendere la perfezione: non è di questo mondo. Gesù affidando Sua Madre a Giovanni lo "umanizza" come Se Stesso (in quanto Uomo) e Maria proiettandoLa nei secoli come Divina, dopo l'evento della Croce e della Resurrezione, con tutti gli altri titoli che la Chiesa, popolo di Dio, Le riconosce. Scrive don Salvatore: Accanto a Giovanni c'era Maria: è stato reale e paradigmatico. Ma neanche casuale, mi permetto di aggiungere io.
Allego una poesia per eventuale pubblicazione sul giornale.
Calogero Di Giuseppe
(nato a Mussomeli - www.bernardiweb.it/santeustorgio)

Per Gesù
Ogni notte sulla
cordicella appese
son le mie vergogne.

Giorno dopo giorno
sbiancano le macchie,
prima le più chiare…
infine…quelle nere.

Mi da coraggio.
il Sole della Fede.
Tutte le mattine
mi sveglio e guardo…
le mie colpe stese.

Oh Gesù…quanti chiodi
tutti i giorni per Te.

Calogero Di Giuseppe

Risponde don Salvatore Falzone
Ho apprezzato la breve riflessione di Calogero di Giuseppe riguardo all’articolo mio Pietro davanti la Chiesa, apparso sul numero di Aprile scorso de «La Voce di Campofranco».
A mo’ di uno sviluppo mi sento di aggiungere che in effetti quando la Chiesa cattolica professa il dogma dell’infallibilità del papa, intende riferirsi a ciò che il papa insegna in materia di fede e di morale, qualora voglia esprimere una dottrina per tutta la Chiesa, ex cathedra.
Non diciamo infatti che il papa sia impeccabile, ma che sia in grado di esprimere una verità di fede in modo infallibile, cioè senza commettere errore. Diverso è che noi riflettiamo sulla vita di un papa o sul periodo avignonese del papato, o sulle origini del primato di Pietro, apostolo.
Pietro, già chiamato ad avere un ruolo primaziale durante nella fondazione della Chiesa è stato colui che in seguito ha rinnegato Gesù, cionondimeno, Gesù risorto l’ha ristabilito nella promessa del primato. Vero è che l’uomo è peccatore, ancor più vero che Gesù abbia chiamato proprio Pietro ad essere il primo nella carità e nella verità; in un certo senso Gesù non ha ritirato la sua parola, mentre l’ha fatto Pietro, durante le fasi del processo. È un momento della vita inserito nell’alleanza eterna tra il Figlio di Dio, Gesù riconosciuto come Messia proprio da Pietro sulle rive del lago di Galilea e l’umanità rappresentata in Pietro a titolo personale. In altre parole Pietro risponderà sempre a titolo personale, nel bene e nel male. Pietro non tiene un primato solo a motivo d’onore; Pietro e i successori della sede di Pietro possono vantare questo esercizio supremo del servizio e della verità.
C’è pure un altro aspetto della riflessione di Calogero di Giuseppe che mi pare profonda; riferendoci all’episodio della consegna di Giovanni apostolo a Maria ai piedi del Crocifisso, e viceversa di Maria a Giovanni, avviene una “umanizzazione” più profonda e in un certo senso, considerando l’altra consegna della Madre all’apostolo, qualificato come figlio, avviene una “divinizzazione” più profonda. Se si vuole intendere che Giovanni apostolo raggiunge più profondamente la sua vocazione umana accogliendo la Madre di Dio e divenendone figlio nel senso di una vocazione a vivere come Maria il mistero di essere santificati dall’altissimo Dio, mi trovo d’accordo; Giovanni, certo, su un piano naturale è cresciuto in una famiglia e ha avuto la sua madre particolare; nel momento in cui al vertice della sequela aderisce alla vocazione di diventare figlio secondo la grazia divina tramite la madre di Dio, allora sì che la sua intera vita raggiunge un’espressione più profonda.
Altresì di Maria si può dire che tocca il vertice della sua straordinaria maternità: nel momento in cui perde il Figlio generato per opera dello Spirito Santo in Lei. Se si vuole dire che nell’episodio del Calvario, diviene più divina nel senso che raggiunge l’espressione più profonda del suo vivere secondo la grazia di Dio, mi trovo d’accordo; senza dimenticare che Maria è già Madre di Dio a partire dall’Incarnazione. Lei esperimenta il mistero di Dio che si nasconde nella sofferenza più tragica, nelle fasi della Passione e Morte del Figlio.
Non mi sentirei di dire che Maria diventi “più divina” durante le ultime tappe della vita di Gesù; certamente in Lei la santificazione della natura umana ha avuto inizio con l’Incarnazione del Figlio di Dio e la Chiesa in Lei riconosce la Madre di Dio nel senso che partecipa in modo singolare e speciale di una divinizzazione che è opera di Dio.
Su questi temi si attinga alle fonti più sicure e complete: il catechismo della chiesa cattolica e i testi degli antichi concili della Chiesa.

Sac. Salvatore Falzone


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