La fiaba nello sviluppo mentale del bambino - 7


Gli uomini cosiddetti primitivi amavano raccogliersi attorno al focolare, cioè ad un fuoco che generalmente veniva attivato nel centro di una capanna o di una grotta e poi di una stanza grande come il noto Megaron Miceneo. Ne ho già fatto cenno nella prima parte di questo mio scritto. Era un modo per trovarsi insieme a parlare e fare il punto della loro vita quotidiana, chiedendosi l'un l'altro come agire in una certa situazione, e via dicendo.
Il focolare era un punto di riunione estremamente importante nella vita della singola famiglia di circa cinque millenni or sono.
Ci siamo chiesti perché e come è nata la fiaba o il Mito tabulato?
Ed un'altra domanda bisogna porsi: il nostro patrimonio genetico non è certo cambiato dal 3000 a.c. ad oggi e dunque tutto ciò che costituisce il mondo affettivo ed emotivo dell'uomo di quel tempo è anche in noi oggi, alle soglie del 21° secolo.
Allora perché la fiaba e il mito? Qual era la motivazione che ha spinto i nostri progenitori ad inventare questi racconti e poi a tramandarli?
Ritengo che alla luce degli studi condotti in tal senso, il perché è insito nell'aspetto fantastico della natura umana che oggi è stato prevaricato dal razionalismo e dallo stile di vita innaturale che conduciamo.
Era necessario travalicare e superare i confini del proprio piccolo mondo e proiettarsi al di là della ristretta cerchia in cui si era costretti a vivere. Ma la fantasia è fortemente legata al monto interiore.
Ecco dunque che l'invenzione di storie consentiva di dare delle risposte, sia pure parziali ed incomplete, ma necessarie ed indispensabili, alle sollecitazioni che venivano dall'inconscio ed insieme dalla vita reale.
In pratica ritengo che gli stimoli esterni o per meglio dire, le percezioni sensoriali si integrano con gli stimoli del mondo interiore ed insieme concorrono a determinare una reazione. A far nascere le favole però non erano i processi inconsci comuni a tutti gli uomini come vogliono i seguaci della psicanalisi e nemmeno la paura degli eventi naturali come vorrebbero altri o le epopee della caccia o i riti come dicono gli strutturalisti. Tutti questi elementi hanno contribuito alla nascita delle fiabe e dei miti. Su questo punto non v'è alcun dubbio, ma non ne sono stati la fonte primaria e direi la causa prima. Ho motivo di pensare che la fonte primaria che ha fatto nascere fiaba e miti sia stata la necessità di proiettare nel mondo della vita reale di ogni giorno il proprio imperioso, e direi irrefrenabile, desiderio del gioco.
A mio parere è "il piacere di giocare" che ha spinto i nostri progenitori ad inventare le fiabe ed anche il mito.
Il gioco è qualcosa di profondamente connesso alla natura umana.
L'adulto non è vero che non gioca più perché al gioco infantile ha sostituito altri giochi come i tornei cavaliereschi del Medioevo, le partite di caccia del periodo dal 700 all'800, i giochi del circo del periodo romano, i giochi olimpici dei greci, i giochi sportivi della nostra era ed infine uno dei giochi su cui Tolstoy e Doiosteski potrebbero sviscerarci i vari aspetti: il gioco delle carte. E che dire dei tanti giochi di società che noi adulti pratichiamo con serietà ed impegno. È il desiderio di giocare, che è fondamentale nel bambino, ma che l'adulto non perderà mai, che ha mosso la fantasia degli "inventori" delle fiabe. Esse consentivano agli uomini delle "caverne" di divertirsi utilizzando il mezzo di comunicazione esclusivamente umano: la parola.
Il divertimento è dunque, a mio parere, la vera motivazione della nascita della fiaba e del mito e la risposta che si da al perché i racconti di fate e i miti si rassomigliano in ogni parte del mondo.
Il perché, il come e il quando sono nate le fiabe è da spiegare in un solo modo: col gioco. La voglia irrefrenabile di giocare il dominio della fantasia sulle altre sfere, come quella cognitiva e quella sensoriale hanno fatto nascere le fiabe e, aggiungerei, anche il mito. L'Homo sapiens era dunque Homo ludens, direi con Huizinga.
Mi pare che dall'equilibrio tra queste due componenti fondamentali della Natura umana, attività ludica ed attività cognitiva, ne derivi il comportamento umano.
Questa mia ipotesi poggia su alcuni dati che cercherò di chiarire e su situazioni sperimentali che illustrerò successivamente. Desidero prima di tutto mettere in risalto come, a mio parere, la patologia del comportamento umano ed in genere ogni forma di alterazione del sistema nervoso del bambino è causata da un'alterazione dell'equilibrio tra attività ludica ed attività cognitiva. È possibile comprendere e successivamente porre le basi di una terapia solo se si parte da quest'assioma fondamentale. La fiaba è la modalità d'estrinsecazione più fine ed esclusivamente umana del gioco ed è la sola prerogativa che contraddistingue il gioco umano da quello animale.
La fiaba è dunque la chiave di lettura di buona parte della patologia del sistema nervoso centrale del bambino e, se usata in un determinato modo, può essere un potente strumento terapeutico.
Chiarito questo concetto è bene esaminare l'attività ludica allo scopo di avvalorare la nostra ipotesi.
Il gioco è stato donato da madre natura sia a noi uomini che agli animali. Ma a che fine si gioca?
Qual è la differenza fra il gioco degli animali e dell'uomo? Come spiegare la stessa intensità nello spettatore di una partita di calcio e in un bambino che strilla di gioia?
Il gioco fa parte integrante della natura umana ed è simile negli uomini abitanti in regioni lontanissime. Perché hanno gli stessi giochi, sia pure con piccole varianti, gli Esquimesi e i Brasiliani, gli Africani e i Cinesi? Perché giochi uguali in popoli che mai avevano avuto ed hanno scambi fra di loro?
L'esistenza del gioco non dipende dallo sviluppo di un dato popolo, ne è qualcosa di astratto o viceversa di materiale.
Il gioco non è ne spirituale ne materiale ne istintuale, ma è un'attività pura come il camminare, il correre, il gesticolare. L'animale che gioca non è consapevole del suo gioco come invece accade all'uomo.
La consapevolezza è ciò che contraddistingue il gioco umano da quello animale.
L'uomo primitivo crea la fiaba ed il mito fabulato per giocare con ciò che lo circonda e per superare i limiti della sua collocazione sociale e tempero-spaziale.
Facendo ciò l'uomo non manca di serietà perché il gioco non è mancanza di serietà tant'è vero che il giocatore di carte, o di scacchi o di pallone si applica seriamente al gioco. Il gioco ha poi un'altra caratteristica: la libertà. Il bambino gioca liberamente infatti. Il disinteresse e la limitazione spazio-temporale non sono una nota caratteristica del gioco.
In ciò dissento dal parere di alcuni. Il gioco è interessato e non ha limitazioni spazio-temporali. La tensione, cioè l'aspirazione a riuscire, e l'ansia insita nell'incertezza della riuscita, sono spinte dall'interesse per quel gioco. Il bambino supera ogni condizionamento, spaziale e temporale nel gioco ed infatti fa volare gli oggetti e non ha limiti di tempo, e soprattutto ha uno specifico interesse per quel particolare gioco. Altro che disinteresse. E ce ne accorgiamo nella fiaba che è appunto l'espressione più alta del gioco. Il gioco è musica e colore insieme cioè è armonia e ritmo, rappresentazione e vigore plastico, ma è anche movimento, tensione, ordine, ed assoluta osservanza di regole molto serie.
II gusto ed il piacere che vengono dalla rappresentazione sono tipici della fiaba. Gli stessi elementi caratteristici del gioco li ritroviamo nella fiaba, proprio a sottolinearne la strettissima correlazione. Naturalmente la fiaba è comparsa in seno ai nostri progenitori solo nel momento in cui è iniziato il processo di acculturazione con l'uso del linguaggio per comunicare insieme.
Ma il gioco esisteva assai prima della cultura, tant'è vero che ogni bambino inizia a giocare molto tempo prima di utilizzare il linguaggio. È da sottolineare un altro punto nella relazione; gioco-fiaba, relativo all'ipotesi dell'origine della fiaba dal rito ed in particolare dai riti iniziatici degli uomini primitivi cioè da quei rituali magico-religiosi in cui gli iniziandi che erano soprattutto adolescenti, entravano nella società dagli adulti. I riti sacri d'iniziazione e i riti del culto che contraddistinguono le civiltà primitive, secondo alcuni studiosi, come già si è detto, fra cui Mircea Eliade e Vladimir Propp sono all'origine della nascita delle favole.
Dice Propp che "da molto tempo è stato notato che il racconto di fate presenta un certo nesso con la sfera dei culti, con la religione; il racconto di fate ha conservato le tracce di numerosissimi riti ed usanze e soltanto raffrontandoli con i riti, molti motivi si possono spiegare; Occorre confrontare il racconto di fate con i riti e con le usanze per determinare quali motivi risalgono a questo o a quel rito e in quali relazioni si trovano con esso. La fiaba è così ricca e multiforme che è impossibile studiarne tutto il fenomeno per intero. Avviene che, quantunque la fiaba risalga al rito, il rito riesce assolutamente astruso, mentre il racconto di fate ha conservato il passato così compiutamente, fedelmente e nitidamente che soltanto attraverso di essa il rito od un altro fenomeno del passato viene ad essere esattamente illuminato...; La fiaba si trasforma cosi da fenomeno che richiede una spiegazione in fenomeno che spiega, tanto da essere una fonte per lo studio del rito".
Ho voluto riportare alcuni passi dello studio di V. Propp per l'enorme valore che ha e per l'imponente mole di deduzioni che se ne traggono.
Mi si perdoni il sillogismo: pur ammettendo che la fiaba derivi dai riti, considerato che i riti derivano dal gioco la fiaba è un gioco ! ! !

Dott. Antonio Cumella -Pediatra
(Continua – 7)
Le precedenti puntate sono state pubblicate sui numeri di: agosto-settembre e dicembre 2004; gennaio, febbraio-marzo, aprile e maggio 2005.


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