Semi di Senape
Diventare sapienti


Quando si avvicina il tempo della Passione la Liturgia della Chiesa ci invita a riflettere sulle tentazioni subite da Gesù nei giorni di deserto ad opera del Demonio.
Nella lotta contro il Maligno, menzognero e omicida, Gesù si attiene fermamente alla verità; è questo mistero che dà sostegno alla sua oblazione cruenta in Croce. Egli ha così ascoltato la voce che viene dal Padre, secondo verità. Colui che inganna è respinto indietro da Colui che si mantiene
nella verità.
Vero è che Gesù ha digiunato; ma questo non costituisce motivo per diventare testimoni di verità (altresì vale per l’austero Giovanni Battista, uomo giusto). Gesù si rivela testimone della verità perché si tiene umilmente sotto la protezione della “Parola rivelata” ch’egli stesso conosce, ma non fa valere come diritto d’autorità o credenziale di potenza.
Nella settimana santa ci è proposto nella lettura del Passio il colloquio di Gesù interrogato da Ponzio Pilato; non a caso per l’evangelista Giovanni, che dà risalto al mistero del Verbo, (Logos pieno di grazia e di verità) incarnato, è decisiva la rivelazione della verità. Il verbo rivelato è Cristo sapienza di Dio. «Per questo io sono nato e per questo io sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce.» (Gv 18,37)
La Sapienza è secondo la Bibbia forma della Rivelazione di Dio; perciò la Sapienza è riferita negli scritti del Nuovo Testamento a Gesù maestro, Figlio di Dio. Gesù Cristo infatti si è rivelato come via, verità e vita. Nella mentalità ebraica conoscere implica una relazione esistenziale tale che fare il cammino di sequela dietro Gesù, il rabbi che insegna con autorità, significa giungere a condividere con lui e per lui la vita e la potenza che gli appartiene. Camminare secondo verità significa diventare sapienti. Ora, sapienza si dice sophia che si può tradurre pure come solerzia. La sophia è conoscenza accurata e intrepida su Dio e in ragione di Dio. La sapienza è accordata ai piccoli – coloro che diventano piccoli a motivo del Regno di Dio. E figli del Regno sono coloro che infatti vivendo nel mondo rendono giustizia della sapienza divina. (Cfr. Luca 7,35 e Matteo 11,25)
Fra i diversi tèrmini impiegati da san Paolo nelle sue Lettere ve n’è uno che esprime il lato ascetico della conoscenza. Paolo scrive sopfrosyne, che significa sapienza, ma pure sobrietà. Nella Lettera ai Romani (12,16) invita i fedeli ad accettare occupazioni umili e a rifiutare di avere un concetto smisurato di se stessi; piegarsi umilmente nell’intimità della coscienza significa appunto avere di sé un’immagine nitida, anzi sobria. Dinanzi a Dio vale un cuore umile ed una coscienza acuta; in tal modo la sophia diviene zelo.
Stabilito il concetto di sobrietà, la conoscenza di se stessi procede insieme all’esercizio della verità; piegarsi verso di sé, in senso cristiano, significa chiudere la porta dello spirito e raccogliere la mente nella camera dell’umiltà. Là il Signore esorta a pregare Dio Padre.
È un atteggiamento distante dal ripiegarsi verso una forma di depressione psicologica; è un riconoscere la propria bassezza. La miseria personale, fisica o morale, è motivo per lodare Dio. Di fronte alla verità riconosciuta nella camera della coscienza l’uomo diviene sapiente per umiltà; diversamente si ribella per orgoglio.
Anche Maria, la Madonna, dice all’inizio del Magnificat: «Dio ha guardato all’umiltà della sua serva». Questo significa che Dio ha preso in considerazione proprio la bassa condizione e la miseria di Maria. Nell’originale greco tapeinosis significa sia l’estrema condizione di vita in cui vive Maria (e la donna di Nazareth ne è ben cosciente), sia la povertà di mezzi e virtù che ritiene di avere (e questa è la base su cui Dio si appoggia). Nella sua profonda esperienza mistica san Francesco d’Assisi ha declinato l’umiltà come l’atteggiamento cosciente che tiene un uomo che si reputa “vile”. Nei Fioretti, al cap X si legge che alla domanda di frate Masseo: «perché Dio ha ricercato Francesco e perché gli uomini gli corrano dietro», il santo di Assisi abbia risposto «perché l’Altissimo Iddio non ha veduto tra i peccatori nessuno più vile, né più insufficiente, né più grande peccatore di lui».
Con “debole potenza” Dio ha manifestato l’avvento del Figlio eterno; a partire dall’umiltà di Maria si spiega l’insegnamento di Gesù che ha rivelato le cose del Padre ai piccoli. Dio infatti volge il suo sguardo a chi tiene un cuore contrito e umile e agli uomini sinceramente pentiti insegna la sapienza che viene dall’intima bassezza. (È l’insegnamento del salmo 50 attribuito a Davide pentito dei suoi peccati. In parallelo a questo si può meditare il II libro, capp. 2-3, del manuale ascetico medievale L’imitazione di Cristo)
Il Rabbi di Galilea ha chiamato vicino a sé reietti ed emarginati, perché divenissero strumento della sua potenza e sapienza. È il caso dell’evangelista Matteo, pubblicano, scelto per seguire Gesù; l’esattore di tasse, donando tutto a vantaggio della sequela, ha trovato infine nello studio delle Scritture la sapienza di Dio. San Bonaventura, teologo medievale, ha fatto della sapienza la via cristiana dell’umiltà; egli, riprendendo il pensiero di sant’Agostino, ha elaborato l’itinerario della conoscenza come illuminazione interiore che Dio concede alle anime umili e sapienti. Il lumen mentis è il dono per contemplare la Sapienza, conoscere lo splendore della Verità divina e infervorarsi di carità fraterna. Alla corretta conoscenza si unisce la lucidità della mente, la sobrietà dell’intelligenza e il rigore logico degli argomenti.
Ancor di più: conoscere è ars divina: vale a dire il modo corretto di comprendere la verità e, una volta conosciuto il bene, agire in piena carità. Il saper fare si rende compiuto e visibile nell’amore e nello zelo.
Bonaventura, maestro di teologia e di governo nell’ordine francescano, ha così compreso con la sua intelligenza e vissuto nella sua vita il mistero della Sapienza, la sofrosyne, come conoscenza umile e sobria, e la sophia come intelligenza acuta e solerte. Difatti sotto la sua guida illuminata (è stato generale dei Minori dal 1257 al 1274, anno della sua morte) l’Ordine di san Francesco ha trovato equilibrio disciplinare fra le opposte tendenze dei frati rilassati e lassisti e quelle dei frati intransigenti e radicali.

Sac. Salvatore Falzone


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