STORIA - Memorie d’Africa
(1.1.1936 – 4.10.1946)
di Giuseppe Scannella
SECONDA PUNTATA
CAP. I
CHIAMATA ALLE ARMI PER L'A.O. I.
La sera del 13 Settembre 1935 alle ore 19.00 mi trovo a giocare a dama in compagnia di amici nel circolo dell' Azione Cattolica; è, questo, l'unico ambiente ricreativo offerto da un piccolo paese come quello che mi ha dato i natali: Campofranco, in provincia di Caltanissetta; esso ha sede nella sacrestia della chiesa Madonna dell'Itria in piazza Crispi .
Sul più bello si presenta il postino, (il sig. Calogero Restivo il calzolaio), che mi chiama fuori dal locale per consegnarmi la cartolina di richiamo alle armi.
Con essa mi si ordina di presentarmi l'indomani all'Ospedale di Corso Calatafimi a Palermo presso la 12a Compagnia di Sanità, visto che durante il servizio militare svolto a Bari dal 1931 al 1933 ero stato assegnato al reparto Sanità della 9a Compagnia.
Ricevuta la notizia ci salutiamo e rientro per parlarne di nascosto al mio più caro amico, Giuseppe Infanti , con il quale sono in rapporti talmente stretti che a dividerci è solo il sonno della notte.
Mentre gli riferisco la notizia qualcuno ascolta il nostro dialogo ed interviene chiedendo delucidazioni in merito, per cui sono costretto a mostrare a tutti quanti la cartolina.
Gli amici allora chiedono incuriositi se io ho fatto apposita domanda e alla mia risposta negativa si meravigliano del fatto che il richiamo sia pervenuto solo a me.
Io più stupìto di loro rispondo di non saperlo e , dopo esserci salutati , esco con l'amico Giuseppe per andare a salutare la sua mamma (Maria), una seconda madre per me.
Passo quindi a salutare anche i miei parenti, dopo di che rientro a casa mia dove trovo i miei genitori già a letto; mio padre Vincenzo però subito mi domanda : “ Come mai rincasi così tardi ?“ .
Inizialmente non voglio dirgli niente ma dopo ripetute insistenze sono costretto a raccontargli tutto: “ Questa sera il postino mi ha recapitato la cartolina di richiamo alle armi che mi ordina di presentarmi domattina alle 8.00 all'ospedale militare di Palermo. Siccome ho dovuto salutare parenti e amici, ho fatto tardi” .
Avendo udito questo, mia madre si alza di scatto e, dopo le prime espressioni di disappunto e preoccupazione, incomincia a darsi da fare per prepararmi qualche indumento necessario durante la lontananza.
Mentre si effettuano i preparativi, la mezzanotte giunge velocemente e così andiamo tutti a letto.
Passo queste poche ore insonni a meditare su questa improvvisa partenza e prima ancora che me ne accorga giunge l'ora di alzarmi: 03,30. Mi alzo alquanto ansioso, e dopo essermi lavato, vestito, mi appresto a salutare e confortare i miei genitori in pena per me; poi, mentre mi allontano dalla casa, rivolgo indietro un ultimo sguardo di rimpianto per aver lasciato la casa e la famiglia.
Lungo il percorso verso la stazione ferroviaria di Sutera (ancora non esiste alcuna strada di comunicazione per la stazione di Campofranco), mille pensieri si susseguono nella mia mente e non mi accorgo neanche d'aver superato di poco il bivio per Sutera in contrada "Coniglia"; proprio in quel punto, dalla strada rotabile si diparte un sentiero in forte discesa che permette di raggiungere la stazione in breve tempo.
La notte serena ma senza luna mi obbliga a utilizzare la lampada tascabile che ho pensato di portarmi. Prima di cominciare a scendere dirigo il fascio di luce sulla pista per valutare la difficoltà della discesa a causa della presenza di pietre e fango, per cui non notando particolari difficoltà scelgo tale scorciatoia.
Terminata la discesa riprendo con passo veloce la strada principale lasciata in cima e dopo circa cinque minuti di cammino giungo alla stazione. Qui mentre, ansimante per la corsa fatta per arrivare in tempo, sto facendo il biglietto, si sente il fischio del treno che arriva; lo prendo quasi al volo e non faccio nemmeno in tempo a prendere posto in terza classe che il treno riparte alle ore 4,05, sbuffando ed emettendo fumi come fosse un grosso bisonte.
Mi accomodo dunque su quegli scomodissimi sedili di legno, ho appena il tempo di guardarmi intorno che passa il controllore; questi verifica che tutto sia in regola e mi avvisa che il treno sarebbe arrivato a Palermo verso le 8.00 .
Il viaggio risulta più veloce di quanto non pensassi in quanto mi addormento ; giunto a Palermo, non appena scendo dal treno incontro un sergente che suppongo appartenga alla Sanità per il fatto che la tipica fascia con la croce rossa cinge il suo braccio destro.
Lo saluto e gli domando se appartiene alla Sanità e più precisamente alla 12a compagnia. Alla sua risposta affermativa, io gli mostro la mia cartolina di richiamo; egli la controlla e subito mi fa accompagnare da un soldato fuori dalla stazione dove mi attende un camion con altri soldati. A camion completo, partiamo per l' ospedale militare della città.
La struttura Sanitaria, ubicata in fondo al Corso Calatafimi, è costituita da un grande complesso quadrangolare di cui una parte forma la caserma dell' esercito e l'altra l'Ospedale Militare , con un ampio spiazzale interno. Dopo che una guardia apre il portone d' ingresso, entriamo.
Il camion si ferma, proprio in mezzo allo spiazzale, ci ordinano di scendere e di attendere ordini.
Poco dopo giunge un sottufficiale che, dopo averci condotto ai magazzini per prelevare gli indumenti coloniali, ci porta in un grande salone al secondo piano della caserma dove altri coscritti ci attendono. L'ambiente è una sorta di alloggio costituito da giacigli di paglia sui quali dormire.
Rimango stupito alla vista di quanto mi si presenta : chi seduto sui davanzali delle finestre e chi per terra, chi sdraiato a dormire e chi ancora in piedi alla ricerca di un posto. Finalmente, dopo essermi accomodato vicino ad una finestra, inizio a conversare col mio vicino di posto, un certo DI VITA FERDINANDO , proveniente da Vallo della Lucania (SA).
Dopo esserci presentati, a causa della stanchezza dovuta alla mancanza di sonno, ci assopiamo subito ma dopo appena un paio di ore il sonno viene bruscamente interrotto dal suono della tromba che invita all' adunata. Alle 14.00 in punto tutti quanti veniamo schierati sullo spiazzale ed un capitano medico fa l'appello dei richiamati alle armi: 350 in tutto, tra soldati semplici, sottufficiali e ufficiali.
Al termine, il colonnello comandante della compagnia comunica con tono solenne: .
A questo annuncio ci facciamo avanti in circa 180, ma siccome il numero massimo di prescelti è 95, inizia la selezione. Dopo ripetute cernite si forma il gruppo di cui faccio parte anch'io.
Nell' attesa della partenza della prima spedizione, prevista tra quattro mesi, le mattinate vengono impiegate per fare esercitazioni relative al nostro prossimo compito in guerra, mentre al pomeriggio siamo liberi di entrare e uscire dalla caserma, con l'obbligo di non allontanarci troppo in quanto la chiamata potrebbe arrivare da un momento all'altro.
CAP. II
AVVENIMENTI NEI QUATTRO MESI DI ATTESA
Una sera di quell'Ottobre 1935 (cioè dopo circa un mese dal richiamo), io ed un gruppo di dodici amici decidiamo di tornare a casa a salutare le nostre famiglie, a qualsiasi costo, interrogandoci però su come fare.
Tra le tante proposte la più praticabile sembra: " andare in gruppi di quattro per volta", e così, dopo lungo discutere, uno di noi indica anche il modo di come uscire dall'Ospedale: trovare in pratica un punto del muro nascosto dagl' alberi dove non si possa essere visti; due potrebbero aiutare quelli che devono per così dire " evadere" e una volta giunti sulla strada in gruppo raggiungere la stazione ferroviaria; inoltre quelli che rimangono a questo punto provvederebbero a rispondere all'appello mattutino per gli assenti; in tal modo, a turno ci sarebbe la possibilità di andare tutti a casa per salutare i propri cari.
Tutti d'accordo allora decidiamo di cominciare già dal giorno successivo.
La notte seguente concretizziamo il nostro piano d'azione e tra quelli che devono andare per la prima volta ci sono anch'io. Detto fatto, scavalchiamo il muro e ci avviamo alla stazione dove ognuno prende il treno per raggiungere la propria destinazione.
Purtroppo devo aspettare in sala d'aspetto per circa tre ore perchè il treno per Agrigento, che fa scalo anche alla stazione di Campofranco, parte alle 4.00. L'estenuante attesa cessa finalmente quando il treno viene immesso nel binario di partenza per cui mi affretto a salirvi e prendere posto.
Stanco per la lunga strada fatta a piedi ed assonnato per la notte persa, mi sdraio sul sedile per potermi finalmente rilassare quando ad un tratto sussulto nel sentire al di fuori una voce conosciuta. Incuriosito mi sporgo dal finestrino e con mio grande stupore e trepidazione vedo il Sergente Papa con altri soldati.
Per paura allora mi nascondo nella ritirata credendo che cercassero me, mentre in realtà stanno solamente salendo sul treno per andare a prendere le tende da campo a Cefalù.
Giunti a Termini Imerese, per mia fortuna, le carrozze per Cefalù vengono staccate dal resto del treno consentendomi di uscire dal nascondiglio e finalmente sdraiarmi con serenità. Immediatamente il sonno ha il sopravvento e dormo fino alla stazione di Campofranco, dove, una volta sceso dal treno, mi avvio con calma verso il paese percorrendo una mulattiera.
A quest'ora del mattino, il paese incomincia a vivere la sua solita giornata, ma per i concittadini che vedono passare questo strano militare, è una vera sorpresa. Infatti mentre attraverso il centro abitato per raggiungere casa, tutti quelli che incontro mi guardano stupiti a causa dell' abito che indosso, l' uniforme coloniale.
E', questa, senz'altro una novità per il paese, in quanto è costituita da un completo in color kaki di pantaloni, giacca, camicia, cravatta e calzini, completati dal tipico casco adatto ai Paesi caldi e da una fascia bianca su cui spicca una CROCE ROSSA, simbolo dei reparti di Sanità. Al tutto si aggiunga una vistosa bandoliera in cuoio per le cartucce e relativa pistola. Insomma un'uniforme veramente attraente.
Vedendomi arrivare, i miei genitori e le mie sorelle mi corrono incontro per salutarmi, e tra baci e abbracci mi interrogano sul motivo del mio ritorno.
La risposta è sempre la stessa: “Tra qualche giorno dovrò partire per l'Africa Orientale e non sapendo quando ritornerò, sono venuto per stare in vostra compagnia per quest'oggi”.
La giornata, pertanto, trascorre velocemente e verso le sedici , lasciata la mia famiglia, mi appresto a salutare parenti e amici.
Un saluto particolare tuttavia voglio rivolgere alla famiglia di Pietro Termini, che abita a pochi metri da casa mia, per la cui figlia Anna (Nannina), da tempo nutro un tenero sentimento.
Perciò busso alla sua porta e, una volta entrato, esprimo il desiderio di salutarli prima di partire per la lontana Africa Orientale. Dopo aver discusso del più e del meno chiedo alla madre di poterle parlare in privato cosicché ad un suo cenno i figli presenti si trasferiscono nella camera attigua.
Rimasti soli manifesto i miei sentimenti per sua figlia Nannina, al che lei orgogliosa risponde: “Sono molto onorata ma vorrei decidere con mio marito che in questo momento si trova al lavoro; stai tranquillo che quando tornerai si vedrà“. Dovendo andarmene, richiama i figli per fare in modo che li saluti.
Uscito, non riesco a salutare gli altri amici che il tempo a mia disposizione giunge al termine, ma prima di partire definitivamente sento il bisogno di tornare a salutare ancora una volta i miei genitori e passare ancora qualche minuto in loro compagnia.
Verso le diciassette, dopo gli ultimi saluti, mi incammino verso la stazione di Campofranco, per raggiungere la quale, bisogna attraversare il fiume Platani essendo privo di alcun ponte in quel tratto: l'unico passaggio purtroppo è costituito da qualche masso trascinato e deposto dalla corrente, che viene utilizzato da chi vuol passare sull'altra riva.
Giunto in stazione, dopo aver fatto il biglietto, attendo in sala d'attesa l' arrivo del treno che arriva verso le diciotto. Salgo, prendo posto e, dopo pochi minuti dalla vidimazione del biglietto da parte del controllore, mi prende un sonno ristoratore che viene disturbato solo dal tramestìo dovuto all'arrivo nella stazione di Palermo.
Da qualche ora ormai è scesa la sera, visto che è tardi ed io già mi preoccupo di come raggiungere la mia Compagnia; ma nello scendere dal treno la fortuna mi viene incontro facendomi notare dei cosiddetti "colleghi" che con un'autoambulanza della Croce Rossa stanno rientrando in Ospedale.
Mi faccio notare e con gran piacere il personale mi invita ad usufruire del passaggio provvidenziale, in quanto la mia uniforme dimostra ormai l'appartenenza al loro stesso Corpo.
Arrivati nel cortile della 12a compagnia, scendo guardingo dall'automezzo e quasi furtivamente mi dirigo al dormitorio dove trovo alcuni compagni che aspettano: sono proprio quelli che domani andranno dai loro famigliari, così come ho fatto io .
A loro subito chiedo come è andata la mia evasione e loro mi rassicurano che tutto è filato liscio come l'olio. Terminata la conversazione, ci buttiamo sui pagliericci a dormire. E così si conclude questa giornata ricca di emozioni e di ricordi per il futuro.
L'indomani alle sei in punto suona la sveglia per tutti, dando inizio alle operazioni fondamentali tipiche di tutte le caserme: pulizia personale, colazione a base di caffè, adunata nel cortile e appello nominale per il controllo di ogni singolo militare.
Essendo in trecentocinquanta, prima che si rompano le righe passa parecchio tempo, rientrando alla fine ognuno al proprio posto assegnatogli fin dal primo giorno. La mattinata scorre veloce, in quanto le ore passano in compagnia a parlare di tutto con i commilitoni, a scherzare e raccontarci le proprie vicende, per cui la chiamata per il rancio interrompe i nostri discorsi abbastanza animati.
Consumato il pasto, si mette ogni cosa a posto e, per facilitare la digestione, preferisco fare una passeggiata nel vasto cortile; quindi rientro in camerata per riposare un po' , ma trovo i compagni che a mezzanotte devono evadere che da un pezzo stanno aspettando proprio me, l'unico ritardatario. Essendo perciò al completo, possiamo discutere della strategia da adottare per l'evasione senza che ci siano orecchie indiscrete pronte ad accusarci ai superiori.
Le giornate passano velocemente anche se la vita è sempre la stessa: sveglia, adunata, appello, ecc.; meno male che la ripetitività delle giornate è rotta da qualche aneddoto.
Una sera, ad esempio, decido di uscire in quanto generalmente devo tener d'occhio gli zaini dei compagni che sono andati a casa; arrivato in piazza Indipendenza, dove è allestito una sorta di Luna Park, vedo dei soldati della 12a compagnia di artiglieria che stanno giocando a tiro a segno. Il loro compito è quello di fare centro con una carabina ad aria compressa che spara piombini di gomma in un foro di circa un centimetro e mezzo di diametro; in premio ci sono venti caramelle. Dopo aver osservato che nessuno di loro riesce a fare centro, consapevole della difficoltà ch'essi incontrano, mi avvicino e sentenzio: .
Essi, incuranti di quanto affermato, continuano a tentare, così che io mi allontano facendo un lungo giro ad osservare altre attrazioni.
Dopo circa mezz'ora faccio ritorno al tiro a segno dove, non essendoci più nessuno, spronato dalle difficoltà incontrate dai miei amici, mi faccio avanti per provare anch'io. Chiedo alla signorina il fucile con sei colpi; mi apposto bene, miro al foro e sparo.
Con mia meraviglia faccio centro ed ecco le prime venti caramelle; ricarico, miro e altro centro: altre venti caramelle. Stessa storia per il terzo colpo, al che la signorina nel consegnarmi le altre venti caramelle mi implora dicendo: .
Perciò, consegno i piombini rimanenti e rientro in caserma con sessanta caramelle in tasca che distribuisco volentieri agli amici, dopo aver raccontato il fatto.
CAP. III
PARTENZA E VIAGGIO PER L'AFRICA
La mattina dell’8 Dicembre 1935 durante l'adunata ci avvertono che domani si parte per Napoli diretti al Comando Base Territoriale per l'Africa Italiana, per cui nessuno si può allontanare dall'ospedale.
L'indomani, la giornata sta iniziando nell'attesa più frenetica del momento della partenza tanto desiderato, quando durante l'adunata vengono distribuiti i viveri al sacco; successivamente torniamo in camerata a sistemare gli zaini prima del rancio speciale consumato verso le 11.00; un pò di riposo e poi alle 14.00 finalmente la partenza che vede tutti quanti con i propri zaini sulle spalle avviarci verso l'uscita.
All'apertura del portone ci si presenta uno spettacolo davvero insolito: tutte le autorità della città di Palermo, la banda del Carabinieri ed una folla di curiosi ci attendono fuori sul corso per salutarci, accompagnando ogni manifestazione con inni patriottici, sbandieramenti di gagliardetti, làbari, fazzoletti e tant'altro.
Inizia quindi la sfilata, accompagnata da un corteo interminabile con grande tripudio, inni, suoni e canti adatti alla circostanza in segno di festa, per tutto il percorso fino alla stazione: per Palermo, infatti, è grande festa perchè è la prima volta che un'intera compagnia dell'esercito parte per una spedizione Africana.
Giunti alla stazione, prima di salire sul treno, iniziano i comizi tenuti prima dal Podestà, poi dal Prefetto ed infine dal nostro Colonello Comandante della Compagnia.
Al termine un caloroso applauso da parte della popolazione accompagna la nostra partenza che avviene verso le 17.00, assieme ad un festoso e fantasmagorico sventolìo di fazzoletti e gagliardetti.
Dopo pochi minuti il treno scompare lentamente all'orizzonte lasciando dietro una fosca e cupa nube di fumo che invita la folla a disperdersi e a ritornare lentamente alle proprie attività.
La scomodità dei treni è risaputa, ma quando un viaggiatore vi prende posto sopraffatto dalla stanchezza, dall'ansia, dalla trepidazione, dalla tensione o comunque da tutto ciò che si può immaginare alla vigilia di uno strappo così forte dalla propria Terra con un futuro colmo di incognite , il legno più duro diventa quanto di più soffice si possa immaginare; perciò tutti quanti piombiamo subito in un sonno ristoratore.
All'alba del 10 Dicembre ci svegliamo già dinnanzi alle coste Napoletane e all'ora della colazione arriviamo alla stazione di Napoli. Veniamo prelevati con camion militari e subito trasferiti alla Base Territoriale A.O.I.
Appena giunti ci assegnano gli alloggi; posiamo i nostri zaini, suona la tromba per la colazione, ci ristoriamo con latte e caffè dopo di che si passa al controllo dei presenti mediante appello nominale. Per tre giorni siamo sottoposti a tale routine con controlli giornalieri dei coscritti al fine di evitare la possibilità di defezioni all'ultimo momento.
La sera dell'undici Dicembre, ci avvisano che l'indomani mattina bisogna tenersi pronti per l'imbarco previsto per le ore 8 circa. (Continua 2)
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