Arte e Storia
E’ del 1519 e non del 1600 il dipinto del Santuario del Monte San Paolino


La piccola e storica città demaniale di Sutera titolata la sottilissima, conserva moltissime testimonianze d’arte a partire dalla preistoria fino ai nostri giorni. Nel caso di questa mia incursione culturale mi occuperò di qualche opera d’arte del secolo XVI.
Sicuramente l’antica città dell’entroterra siciliano già nel cinquecento partecipava al dibattito socio-culturale siciliano con diverse famiglie tra cui la nobile famiglia dei Salamone, come dimostrano alcune opere d’arte presenti nella città: la Madonna del Soccorso del 1503 opera marmorea recentemente assegnata a Bartolomeo Berrettaro, la scultura con piedistallo semiottagonale nella parte alta del basamento riporta la scritta “SANCTA M DE LU SICURSU” e nella parte bassa la data d’esecuzione MDCCCCCIII. Opera questa che merita da sola un accurato studio scientifico. L’artista originario di Carrara fu chiamato in Sicilia come scalpellino dalla famiglia Gagini, in seguito consociatosi con Giuliano Mancino ebbe numerose commissioni nei paesi dell’agrigentino, delle madonie, del ragusano e del trapanese, precisamente ad Alcamo dove dimorò per parecchi anni. Attivo nel territorio palermitano lo troviamo al seguito di Antonello Gagini (1478 - 1536) per l’esecuzione di diversi lavori per la cattedrale di Palermo. Iniziando da un ideale percorso a volo d’uccello, colpisce il piccolo volume architettonico dell’ex convento dei Padri Filippini sec. XVIII e l’antica chiesa dedicata a S. Paolino. Il fabbricato del convento è stato realizzato in parte ex novo e in parte scavando la viva roccia e integrandosi con essa. La chiesa di San Paolino fu costruita con i resti di un vicino fabbricato, tra il 1366 e il 1374 per volontà di Giovanni III Chiaramonte Signore feudale di Sutera investito nel 1366. Sul lato sud la chiesa si apre su un largo piazzale che domina buona parte della Sicilia., mentre sul lato nord è perimetrata da un alto muro intagliato nella roccia alabastrina. La chiesa costruita a tre navate, nei secoli ha subito diverse trasformazioni come dimostrano i recenti restauri (2001), che hanno messo in luce nella navate centrale frammenti dell’antico pavimento in maiolica e una lastra tombale a bassorilievo. All’interno della chiesa nella parete laterale della navata sinistra, è ubicato un prezioso dipinto poco attenzionato dagli studiosi, ma degno di nota per storia e qualità pittorica, la tela dipinta ad olio raffigura la Madonna col bambino, San Paolino, Sant’Onofrio e Sant’Archileone compatroni riconosciuti della Città di Sutera, il cui culto era molto forte nei secoli XV e XVI ancor prima dell’ipotetico atto pubblico del 1634 stilato dal notaio Paolino Mazzocchio che ne acclama a compatroni gli ultimi due.
Il dipinto di cui si ignora la provenienza e la data di collocazione originaria nell’attuale sito, è stato restaurato maldestramente nel 1994 e firmato Serena in basso a sinistra, pittore attualmente sconosciuto nel panorama della pittura siciliana e nella storia delle vicende suteresi. Il quadro è datato 1519 e non 1600 come racconta la recente didascalia apposta sulla nuova cornice del quadro. L’opera, a causa dell’errata datazione riportata anche dalla recente storiografia locale, sicuramente non è stata attenzionata per alcuni eventi d’arte, come la mostra La pittura nel nisseno dal XVI al XVIII secolo, a cura di Elvira D’Amico tenutasi a Caltanissetta nel 1998; purtroppo è stata anche totalmente esclusa dalla pubblicazione editoriale prodotta per l’evento suddetto, dove non risulta nemmeno tra le citazioni dei dipinti realizzati nel nisseno nei primi decenni del Cinquecento. Tra l’altro anche recenti pubblicazioni editoriali, (Sutera, Ed. Krea, Palermo 1994 e La Valle del Platani, Gruppo Editoriale Kalos, Palermo 1994), stampate a cura del comune come guida alla Città di Sutera non menzionano la presenza del dipinto tra le pregevoli opere del Santuario. Nel 1519 Sutera apparteneva alla diocesi di Agrigento, diretta dal vescovo Mons. Giuliano Cybo (1506-1537) di origine genovese, consacrato vescovo da Giulio II, di cui era parente.
La Sicilia nel 1519 era amministrata dal vicerè Ettore Pignatelli duca di Monteleone e sotto il dominio di Carlo V imperatore del S.R.I., che a distanza di pochi anni nel 1535 ribalta le promesse reali fatte da re Martino nel 1398 nella riunione del Parlamento di Siracusa, vendendo Sutera a Girolamo di Bologna, barone di Capaci.
Chiaramente la recente scoperta della data d’esecuzione individuata dallo scrivente nella zona sinistra del dipinto, al disotto del ginocchio sinistro di Sant’Onofrio anticipa l’esecuzione del quadro di quasi ottant’anni. Appaiono chiari i riferimenti iconografici e le assonanze stilistiche vicine a pittori coevi come Cesare da Sesto (1477-1523), Vincenzo degli Azani (not. 1519-1557) detto da Pavia, alias Romano, artista che compare nei documenti siciliani a partire proprio dal 1519 anno d’esecuzione del dipinto firmato dal Serena a Sutera. O a Girolamo Alibrandi (1470-1524) e Antonello Crescenzio (1464-1542), noti pittori tra i più dotati e operanti a largo raggio nel territorio siciliano.
L’iconografia dei tre santi in vista frontale rappresentati con i tipici attributi ed emblemi individuali è peculiare di certa produzione dell’arte siciliana dei primi del Cinquecento. La composizione è impostata su una struttura piramidale ben equilibrata. Nella parte alta la madonna col bambino è posta su una grande nuvola dall’effetto sfumato quasi metallico che sovrasta le figure sottostanti. Nella parte bassa le figure dei santi sono immersi in un paesaggio mediterraneo con un orizzonte medio rispetto allo spazio pittorico, dove sono riconoscibili diverse tipologie di piante. I tre santi sono collocati armonicamente nello spazio del paesaggio, a sinistra Sant’Onofrio anacoreta del IV secolo, è raffigurato come homo selvaticus, nudo e ricoperto da capelli lunghissimi e dalla barba lunga e morbida, in posa classica ponderata e leggermente girato verso destra, la testa leggermente inclinata a destra con lo sguardo rivolto verso l’alto nell’atto di pregare con le mani giunte dalle quali pende una corona del rosario a grani grossi. La figura mette in bella mostra ricercatezze anatomiche di buon livello come si evince dalle lunghe gambe ben risolte pittoricamente con una muscolatura morbida ed efficace. Ulteriore elemento che conferisce profondità e movimento alla figura è il lungo bastone di Asclepio appoggiato alla spalla, simbolo del potere taumaturgico di colui che è in grado di portare armonia in un organismo malato. Accanto al piede destro è poggiata la corona reale di Persia a cui il santo rinunziò, a fianco il cartellino identificativo con il nome del santo. Al centro in vista frontale San Paolino vescovo di Nola con in testa la mitria gemmata a due corni a forma cuspidata, simbolo della conoscenza dell’ Antico e del Nuovo testamento. Il Santo ha lo sguardo rivolto a destra, indossa paramenti vescovili dipinti magistralmente, particolarmente interessanti risultano l’ornato dorato dato sul rosso del manto e i guanti color azzurro-grigio che rivestono le mani. La mano destra è adornata con tre anelli, nell’anulare fa bella mostra l’anello con una paffuta testina di angioletto dipinto con grande perizia. La stessa mano leggermente piegata regge il pastorale. La mano sinistra anch’essa è adornata con altri tre anelli in oro, di cui uno portato nell’indice evidenzia una testa leonina. La medesima mano sostiene un grosso libro aperto dove in una pagina si scorge una stampa della città di Sutera con il suo monte, nell’altra si legge una scritta in latino: SI VIS ESSE PERFECTUS VENDE OMNIA QUE HABES ET DA PAUPERIESU - RELINQUE O MNU…. VENIES OMNA. Nella parte bassa resiste ancora l’ornato della veste che scandisce i piani del volume del panneggio. I piedi sono posizionati su piani diversi per movimentarne la posa, ma nell’ultimo restauro sono stati goffamente ridipinti. Sul lato sinistro vicino ai piedi è apposto il cartellino poco leggibile con la didascalia riferita al santo. Il terzo santo e compatrono della città suterese rappresentato nel dipinto è Sant’Archileone eremita o Archirione come riportano alcuni documenti. Dopo l’iniziale culto da parte del popolo suterese durato un paio di secoli il santo è caduto nell’oblio. Questo santo totalmente dimenticato dal popolo suterese è diventato un Santo invisibile. Nel nostro caso la memoria dell’antico culto, persiste nella memoria attraverso i segni di alcune immagini presenti nelle opere d’arte che si conservano nel Santuario dedicato a San Paolino. Basta ricordare l’immagine argentea sbalzata e cesellata di Sant’Archileone, raffigurata in una delle pareti dell’urna fatta eseguire a spese della famiglia Pugiades nel 1498, indiscusso capolavoro dell’oreficeria siciliana.
La figura di Sant’Archileone è collocata a destra del dipinto in simmetria con Sant’Onofrio, in posa a tre-quarti vestito classicamente con una veste verde intenso e mantello color violetto intenso, cangiante nelle parti più luminose. La testa con lo sguardo rivolto verso l’alto riecheggia modelli stilistici d’influenza di scuola romana. La mano destra abilmente dipinta regge un libro simbolo della predicazione del vangelo e una palmetta simbolo del martirio. La mano sinistra é appoggiata al panneggio del manto quasi a sostenerlo. Poco rimane dell’ornato delle vesti, quasi del tutto abraso da drastiche puliture e cadute di colore, così pure di buona parte del cartellino con il nome del Santo.

Calogero Barba

Bibliografia
A. Vaccaro, Cenni storici sulla Città di Sutera, Napoli 1881.
G. Nicastro, Sulla vita e sulla festa di S. Paolino vescovo di Nola, Caltanissetta 1922.
V. Regina, Antonello Gagini e sculture cinquecentesche in Alcamo, Palermo 1969.
AA, VV. Momenti del cinquecento Meridionale, Palermo 1985.
G. Carrubba, Le opera d’arte delle chiese di Sutera, Caltanissetta 1987.
C. Ferlisi, Sutera il mito e la storia, Caltanissetta 1998.
G. Di Marzo, Antonello Gaggini e la sua scuola, rist. anastatica Palermo 2001.


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