Memorie d’Africa - 4
(1.1.1936 – 4.10.1946)
di Giuseppe Scannella
La sentinella di turno, trovandoci in una spedizione bellica, non può far finta di niente e richiama l'attenzione del Capoposto il quale a sua volta è costretto dalle circostanze a fare rapporto ai superiori.
Inevitabilmente quindi ci scappa la punizione. Quando però la comunicazione arriva nella nostra fureria, il Comandante Capuzzo va su tutte le furie, perché, in base al discorso iniziale alle truppe, egli aveva garantito ai suoi soldati piena comprensione, anche per le marachelle se in presenza però di un buon comportamento .
Perciò, infuriato va a trovare l'ufficiale della milizia autore della punizione apostrofandolo così: “Che nessuno si permetta più di punire i miei soldati!” al che il tenente osserva: “ Mi dica lei come facciamo a riconoscere i suoi soldati “.
Il capitano allora incalza dicendo: “ A partire da domani tutti i miei soldati avranno la barba lunga, e voi siete invitati a stare attenti a questo particolare”.
L'indomani, dopo il caffè, l'adunata. Messi tutti in riga il comandante ci ordina che da quel momento in poi tutti devono farsi crescere la barba, spiegandoci il motivo d'una tale decisione e dopo averci raccontato l'accaduto.
Indubbiamente noi siamo lusingati ed orgogliosi di una tale prerogativa che ci differenzia dagli altri soldati, ma per me in verità rappresenta un altro piccolo problema: la mia barba è costituita da pochissimi peli e quindi il mio aspetto è tale da far ridere i miei compagni.
Un altro avvenimento di rilievo si ha il 18/5/1936, quando al mattino, svegliandomi con l'ascella dolorante, mi ritrovo con un grosso foruncolo; marco visita e vengo subito ricoverato all'ospedale di Mogadiscio, dove tale infiammazione risulta più grave di quanto non sembri e si decide per un intervento chirurgico.
Per fortuna l'operazione non risulta particolarmente complicata e quindi dopo pochissimo tempo sono libero di girare per l' ospedale, con la bella soddisfazione di ammirare il paesaggio, visto che esso si trova proprio sulla spiaggia .
Il periodo di degenza inoltre viene allietato dalla presenza di altri due commilitoni appartenenti alla mia stessa compagnia, con i quali ho la possibilità di passare il tempo e con i quali faccio anche delle fotografie per ricordo (vedi foto n° 16) .
Il 26 dello stesso mese di Maggio, vengo dimesso e accompagnato con un'ambulanza al campo, dove, però, mi danno una spiacevole notizia: il nostro vecchio comandante, al quale ci eravamo affezionati, ci ha lasciato ed è stato sostituito dal Tenente Adorno.
CAP. V
LA FORMAZIONE ARMATA
La sera del 5 Giugno 1936, esattamente 10 giorni dopo la mia dimissione dall’ospedale, arriva la notizia che l’indomani si parte per raggiungere Neghelli.
In questa località , distante da Mogadiscio più di 800 km., si deve formare l'armata, la quale intanto ha preso il nome di DIVISIONE LAGHI . Essa ha il compito di occupare tutta la regione etiopica dei Galla e Sidama, con capitale Gimma e avente un territorio più grande della stessa Italia.
La sera stessa ci dividono i viveri al sacco per l' indomani. La mattina successiva all'alba, dopo l'adunata, ci prepariamo alla partenza : saliamo su automezzi Ford fino ad un massimo di 25 unità per ogni camion. Quando tutti siamo saliti, il Capitano da l'ordine di partire per la destinazione.
Foto. I miei cari amici : Scibetta e Di Vita
Si viaggia quasi ininterrottamente dall'alba al tramonto, fermandoci per riposo e rifornimenti presso apposite basi militari realizzate precedentemente.
Al secondo giorno di marcia, verso le 14,30 giungiamo a circa 500 km. da
Mogadiscio dove sulla confluenza del Daua Parma con il Ganàle Doria, la piccola località Dolo costituisce un'importante postazione sui vecchi confini tra la Somalia e l'Etiopia.
Il fiume Ganale Doria, così chiamato dall'esploratore Bòttego in onore del marchese Doria, unendosi in questo punto al Dàua Parma, dà luogo al più grande fiume della Somalia, il Giuba, il quale forma un letto largo qualche centinaio di metri, e presenta acque piuttosto sporche per il trasporto a valle di tanto materiale di qualsiasi genere comprese anche carogne di animali ; il fogliame, il fango, i tronchi di alberi e tutto quanto può trascinare, non arresta però la nostra sete che letteralmente acceca e non va per il sottile.
Trovato infatti un punto in cui è possibile arrivare a toccare l'acqua, mi inginocchio per riempire la borraccia e per lavarmi la faccia alla meglio. Ho sete e per dissetarmi bevo alla borraccia, non prima però di aver preso qualche precauzione: usando il fazzoletto come filtro, lo appoggio sull'orlo della borraccia e comincio a succhiare. L'acqua essendo sporchissima causa continuamente la saturazione di questo rudimentale " filtro" , tanto che prima di poter placare la mia sete devo utilizzare tutte le parti del fazzoletto.
Subito dopo sento forte il bisogno di lavarmi il viso non tanto per rinfrescarmi quanto specialmente per eliminare tutta la polvere che, coprendolo completamente, non permette neanche di riconoscerci l'un con l'altro. Tutti quanti perciò ci comportiamo alla stessa maniera visto che le esigenze sono le stesse.
Intanto i tecnici del Genio Militare in assenza completa di ponti si danno da fare per preparare le zattere, trainate da funi, da adibire al trasferimento delle truppe sull'altra riva .
La sera stessa solo la nostra compagnia effettua l'attraversamento del fiume, mentre sono necessari tre giorni affinché tutte le truppe raggiungano l'altra sponda . Si riparte e una delle tante sere successive dopo aver viaggiato verso ovest arriviamo in un luogo chiamato i pozzi di Bogolmagno situato a circa 700 km. da Mogadiscio, ad un'altitudine di 400 metri; vi troviamo un vasto accampamento italiano che ha il compito di avvistare e rifornire le truppe dirette per l'interno.
Qui il personale idrico del Genio, di stanza sul posto in quanto addetto al prelievo e depurazione delle acque sotterranee, provvede all'approvvigionamento dell'acqua dai pozzi per il fabbisogno di tutto il campo.
Dopo aver ricevuto l'ordine di scendere dagli automezzi, la prima nostra preoccupazione è quella di trovare un pò d'acqua. Mi rivolgo allora ad alcuni soldati arrivati sul posto prima di noi, e loro ci indirizzano direttamente dagli Idrici del Genio.
Percorsi appena cento metri incontro un soldato a cui chiedo maggiori delucidazioni in merito a questi pozzi. Egli però per convincermi a non andare mi racconta due fatti avvenuti le sere precedenti:
- <- Due sere fa invece, mentre un altro soldato si stava apprestando a fare la stessa cosa, un altro elefante, allontanatosi dal branco, incollerito dal fatto che alcuni bracconieri gli hanno sotratto i piccoli, lo scaraventa contro gli alberi. L'urto è stato talmente violento che un ramo si spezza scheggiandosi ed infilzando il corpo del povero soldato. Pertanto, egli conclude, se non vuoi fare la stessa fine, è meglio ritornarci domani alla luce del sole >>.
Detto questo mi invita a tornare all'accampamento con lui, dove incontro un caro amico negro conosciuto lungo questa marcia, un certo ALI', indigeno di mezz'età, alto, esile, dal viso allungato, arricchito da una barba nera a pizzetto, con in testa un turbamte color bianco rigato nero; la divisa come la mia con in più una fascia di lana color arancione che cinge la vita (vedi foto n° 17 ) .
Egli è un sottoufficiale coloniale italiano portante i gradi di Sciùm Basci ( grado più elevato fra le truppe coloniali al nostro servizio, equivalente a " maresciallo" ma che può essere anche agli ordini perfino di un semplice soldato italiano) ; egli appartiene all'11a compagnia Arabo-Somalo. Dopo esserci salutati dà ordine al suo attendente di servire del tè mentre si discute delle rispettive vicende. Rimango a parlare con lui il tempo giusto di gustare il tè da loro tanto preferito e siccome ormai si è fatto tardi decido di rientrare alla mia compagnia.
L'indomani all'alba si riparte per Neghelli sulla cui strada si incontra un grande fiume, il Daua Pàrma. Di grandi proporzioni ricorda il fiume Giuba, ambedue popolati da ogni forma di vita compresi i temibili coccodrilli ; questi, a tal proposito, sono stati protagonisti di un macabro fatto.
Foto n. 17. Sciùm Basci Alì
Un pomeriggio, infatti, nonostante siano state fatte da parte dei nostri comandanti molte raccomandazioni sulla spedizione intrapresa, sulle ostilità dei luoghi, degli animali e di alcuni indigeni, sul nostro comportamento da adottare nelle varie circostanze, un soldato spinto dal desiderio di farsi il bagno in quelle acque, noncurante dei pericoli, si tuffa nel fiume; immediatamente viene sbranato da questi animali famelici.
D'altra parte, i coccodrilli sono abituati ad avventarsi sui resti di animali che giornalmente i militi della Sussistenza buttano in acqua, in quanto, cento metri più a nord del punto in cui si trova la zattera per attraversare il fiume, si trova la cosidetta "macelleria", dove in pratica vengono macellati i vitelli e le zebre per il sostentamento delle truppe.
I resti non commestibili e le interiora degli animali, vengono poi buttati nel fiume dove i coccodrilli accorrono in gran numero lottando tra loro per avventarsi sul cibo. Dopo alcuni giorni riprendiamo la marcia raggiungendo ben presto la zona di Neghelli e addentrandoci in un grande bosco completamente bruciato (vedi foto n° 18 e 19) .
Foto n. 18 e 19. Autocolonna - Guado difficoltoso
E' questa una località posta al centro dell'altipiano del Libàn fra il Ganàle Dòria e il Dàua Pàrma ad un'altitudine di circa 1500 metri, sede di Residenza del Governo dei Galla e Sidàma .
A sapere che il giorno prima del nostro arrivo, i nostri nemici (Abissini ed Etìopi) hanno sferrato un attacco attraverso il bosco a danno delle truppe del Generale Graziani il quale, non avendo altra scelta, faceva incendiare con i lanciafiamme l' intera selva.
Entriamo nel villaggio di Neghèlli e la vista che ci appare è desolante perchè del villaggio non esiste più nulla .
Foto n. 20. S. Messa nel Campo di Neghelli
Subito dopo esserci accampati, avviene lo scambio di comando tra il Generale Comandante Graziani ed il Gen. Geloso, visto che Graziani viene chiamato ad Addis Abèba con i titoli prestigiosi di Marchese di Neghelli e Maresciallo d'Italia conferitigli dal Supremo Comando Italiano, per essersi distinto nelle varie operazioni militari ( vedi foto n° 20 e 21 ) .
Foto n. 21 - Il Gen. Graziani seguìto da Geloso e dal Comando
Il Generale Geloso (originario della provincia di Palermo), così, diventa il nuovo comandante di un'Armata che, per sua esplicita richiesta è costituita interamente da truppe provenienti dall'Italia Meridionale (Siciliani, Calabresi, Pugliesi, Campani, ecc..) affiancato dal Comandante di Div. Gen. Maletti; inoltre, forte ormai di circa 7.000 uomini, avanza con indomito coraggio verso la conquista di una delle Regioni più accidentate ed insidiose dell'intero continente africano (vedi foto n° 22, 23 e 24 ) .
Foto n. 22 – Mezzi di trasporto e di attacco della nostra Armata
Foto n. 23 – I nostri autoblindi (sotto)
Dopo tre giorni di sosta, il 18 Giugno 1936, si riparte alla volta di due importanti località di confine col Kenia, prima Mega e sucessivamente Moiale.
A metà percorso, però si deve attraversare con i soliti sistemi il Daua Parma, ricordando che per far transitare un'intera armata sull'altra sponda del fiume, insidioso come gli altri, s'impiega tutta una giornata ed una nottata ( vedi foto n° 25 ) .
Verso le ore 10.00 del 24 Giugno giungiamo nei pressi di Mega , località sita a circa 2.000 metri di altitudine, a 260 km. da Neghelli e ad oltre 720 km. da Mogadiscio; quì si hanno i primi contatti col nemico.
Foto n.24 – Ancora un altro guado
Foto n. 25 – Armata in difficoltà
CAP. VI
INIZIO DELLE OSTILITA' CON L'ESERCITO ABISSINO
Il 25 Giugno 1936 l’artiglieria comincia a sparare; sopraggiungono anche gli aerei decollati da Mogadiscio e Neghelli che bombardano le postazioni nemiche; le truppe divise in tre battaglioni sono schierate: a destra il 10° Arabo-Somalo, al centro la 13a Compagnia di Fanteria Italiana comandata dal Col. ZAMBONI e a sinistra il 9° e l'11° battaglione Eritreo-Tripolino .
Dopo che i carri armati e autoblindi si dispongono su tutto il fronte, iniziamo l'avanzata .
Lo scontro prosegue per tutto il giorno; la nostra superiorità nell'addestramento e nelle armi costringe il nemico a retrocedere, tanto che intorno alle ore 16.00 occupiamo le principali alture circostanti le montagne di Mega.
Avendo combattuto alle spalle del villaggio, da questo lato non esiste più alcun ingresso, perciò per trasportare le truppe , senza alcun indugio, il Genio dà inizio alla realizzazione di una strada che porta in cima alla montagna, fino a tre chilometri circa da Mega.
Prima del tramonto la strada è già accessibile ai mezzi più leggeri mentre per quelli pesanti, non muniti di cingoli, si è costretti ad usare traini con funi.
La nostra compagnia è la prima a cominciare a salire in quanto i feriti hanno urgente bisogno di cure. Quando giungiamo al centro abitato è ormai mezzanotte e incontriamo una nebbia fittissima ; inoltre è troppo tardi per mettersi a curare i feriti .
L'indomani al risveglio ci si presenta uno spettacolo eccezionale : l'accampamento è immerso nella vegetazione più fitta che io abbia mai vista e solo ora capisco il perchè di tutta quella nebbia la notte precedente.
Svolte le normali mansioni, io ed il mio amico Ferdinando Di Vita chiediamo il permesso di svolgere qualche faccenda personale, come ad esempio lavarsi e pulire gli indumenti sporchi. Visto che è una zona nebbiosa e anche rigogliosa dal punto di vista della vegetazione, intuiamo che nei pressi dev'esserci una sorgente.
Perciò c'incamminiamo per un sentiero che porta a valle verso Est, e dopo circa cinquecento metri di discesa rapidissima, giungiamo sul fondo valle dove ad appena duecento metri di distanza troviamo le sorgive. L'acqua risulta essere talmente cristallina e fredda che oltre per lavare, decidiamo di utilizzarla anche per bere.
Il tempo passa ma non ce ne rendiamo conto a causa della nebbia fitta che oscura la luce del giorno e così dopo aver consultato l'ora sul mio argenteo orologio da tasca mi rendo conto che è già tardi per il rientro, per cui sollecito anche Ferdinando. Rassettati gli indumenti ci incamminiamo verso l'accampamento.
Lungo la strada incotriamo un autista alla ricerca di un posto dove poter lavare gli indumenti e noi glielo indichiamo.
Dopo esserci salutati riprendiamo la salita ma ecco che per terra troviamo una maglietta (forse dell'autista incontrato) dal colorito vicino all'avorio per l'eccessiva sporcizia. Fin qui nulla di strano se non fosse per il fatto che si muove da sola. All'inizio penso che ci possa essere sotto qualche animale, ad esempio un serpente, ma dopo un'accurato controllo con nostra grande sorpresa notiamo che è piena di pidocchi grossi ognuno quanto un chicco di riso.
Giunti a destinazione facciamo appena in tempo per il rancio, dopo il quale decido di fare un giretto. Mentre cammino noto uno scorcio di panorama che sembra un piccolo paradiso terrestre: una Natura incontaminata e stupenda sia per varietà di vegetali che per i colori; piante millenarie di tutte le specie, dimensioni e forme si alzano da un prato foltemente erboso e pieno di cespugli d'ogni genere. Sembra d'essere caduti in un mondo di fiaba ed immaginario.
L' indomani mattina, un piccolo distaccamento di soldati viene mandato a Moiàle, a circa 140 km. da Mega, per impiantare la Residenza definitiva del Governo Italiano.
Intanto la presenza del nemico associata agli inevitabili guasti delle macchine, interrompe l'approvvigionamento dei viveri e di quant'altro serve alle truppe in operazioni belliche, solitamente effettuato con interminabili autocolonne di potenti Caterpillar trainanti ognuno un grosso rimorchio ed un altro più modesto con una capacità di portata di ben 140 fusti di benzina ( vedi foto n° 26 ) .
Pertanto, non potendo ancora raggiungerci, siamo costretti a nutrirci esclusivamente della solita carne di zebre e buoi macellata sul posto .
Una volta conquistata la zona, il grosso dell'armata quindi è costretto a non spostarsi dal posto in attesa dei rifornimenti e degli sviluppi della Campagna in atto.
Foto n.26 - Rifornimenti con Caterpillar
La vita quindi nell'accampamento scorre normalmente ma con maggiore prudenza ed attenzione verso il nemico sempre in agguato, intensificando i turni di guardia e con la severa consegna di stare molto attenti specialmente durante i turni di notte.
Ed è proprio in una di queste notti, durante il turno di sentinella tra le ore 24 e le 2, che mi sento come nel bel mezzo di una grande orchestra di animali : suoni emessi da decine e decine di esseri viventi tipici della zona, alcuni a me noti, altri in verità del tutto nuovi che attirano la mia attenzione e m'incantano.
Ad un tratto, però, sento vibrare la terra sotto i piedi e d'incanto si fa il silenzio assoluto: è il ruggito di un leone al di là del recinto, appostato a circa un migliaio di metri dalla mia postazione.
Una tale esperienza, confesso, lascia in me un ricordo indelebile e mi fa veramente capire perchè il leone viene a ragione definito " re della foresta " .
Intanto la tensione cui si è sottoposti durante il turno di guardia, quest'emozione provata e l'aria tipica del posto, mi fan venire un forte appetito, per cui, finito il mio turno, mi reco subito presso il locale del forno, dove mi aspetta un mio caro amico.
Egli prepara il pane per la mensa ufficiali e per l'ospedale, per cui vive notte e giorno in questo locale; appena giungo da lui, mi dà 2 belle pagnotte che io quasi furtivamente porto con me nella tenda dove vivo con altri 24 commilitoni tutti affiatati tra di noi.
Divido quindi le pagnotte in 25 parti uguali e sveglio gli amici per offrire loro quel boccone particolare; nonostante siano insonnoliti, essi divorano con molto piacere quel ben di Dio e si rimettono a dormire.
La vita intanto quì trascorre così, restando in questa località per circa un mese, finchè giunge l'ordine di ripartire per una nuova destinazione : IAVELLO.
La lunga autocolonna percorre così i circa 100 km. che separano le due località in leggera discesa, giungendo a destinazione verso le ore 8 del mattino .
Iavello si presenta come un centro abitato molto più grosso dei precedenti, con i caratteristici tucùl, posta su un altopiano a circa 1800 metri sul livello del mare.
E' immersa in una foresta interminabile di qualche decina di chilometri, tutta costituita da altissime e lussureggianti conifere (Podocarpi), abitata da popolazioni Boràna dedite alla pastorizia , pagane, divise in caste tribali, alcune delle quali, pur adorando il dio dei Galla (Uàca), hanno venerazione per i defunti, per il bestiame e anche per qualche particolare specie di pianta.
Essi inoltre hanno un aspetto più simile agli Indiani o ai Mòngoli che al resto degli africani; infatti la loro pelle è piuttosto chiara, hanno occhi obliqui, barba, baffi e turbanti all'indiana.
Oltre però agli indigeni, dai nostri informatori, sappiamo che questa zona è abitata da una grande varietà di gente : greci, armeni, indiani, e qualche europeo, attratti forse o da una maggiore affinità con la propria razza ovvero dalla facilità di commerci.
Intanto, mentre ci approssimiamo a Iavello, uno spettacolo più unico che raro si presenta dinnanzi al mio sguardo, con un effetto impressionante di rara grandiosità: vediamo pascolare una sterminata mandria di buoi, con migliaia di capi, al di sopra dei quali troneggia una portentosa testa di toro con delle corna di almeno un metro ciascuno di lunghezza. Attratto da una simile circostanza, mi avvicino subito per fare una foto-ricordo, ma il sergente maggiore m'interrompe l'operazione sollecitandomi a risalire sul camion.
Rimettendoci ancora in marcia, proseguiamo per la nostra spedizione di conquista di questo immenso territorio accidentato, tutto solcato da torrenti e fiumi, in cui si alternano continuamente altipiani e montagne, con strade molto rudimentali e spesso anche pericolose, che si snodano ora su fondi valle, ora a mezza costa incassate nelle montagne a ridosso di profondi burroni, ora infine anche su crinali dai quali si possono ammirare paesaggi mai visti e suggestivi.
La cartina geografica delle pagine seguenti indica in modo più chiaro tutti questi spostamenti e le località citate in queste Memorie.
Intanto, mentre stiamo percorrendo queste strade-mulattiera, in posizione eretta sui camion, scorgo sul lato sinistro ad una certa distanza da noi un branco di una diecina di leoni che, lentamente in fila, stanno salendo dal fondo valle sulle alture di fronte a noi.
Per evitare gesti inconsulti, un colonnello ci avverte di non sparare, perchè può essere molto pericoloso; così i leoni indisturbati continuano nel loro cammino. Dopo circa un'ora giungiamo ad Iavello, dove la popolazione ha già abbandonato le abitazioni fuggendo altrove consapevoli del nostro arrivo.
L'autocolonna di camion quindi si arresta proprio al limite di una grande piantaggione di granturco; io subito ne approfitto per balzare giù dall'automezzo e tuffarmi a raccogliere pannocchie di mais. A nulla servono i richiami del sergente Papa, perchè io faccio finta di non sentirlo e, tra un boccone e l'altro, provvedo a riempire lo zaino di quel prezioso alimento.
Prima però di risalire sul camion, offro una pannocchia all'autista, un'altra al sergente e, secondo ormai le mie abitudini, una ad ogni mio compagno di viaggio .
Il camion subito dopo si rimette in moto per posizionarsi all'interno dello accampamento, e altrettanto fanno tutti gli automezzi dell'intera armata; per cui passano delle ore prima che tutto l'accampamento sia organizzato secondo gli ordini superiori .
Successivamente con molta rapidità vengono impiantate le tende, e distribuita la solita carne, visto che i rifornimenti ancora non arrivano. Rifocillati, stendiamo una coperta per terra, vi ci adagiamo sopra e subito ci assopiamo vinti dalla stanchezza .
L'indomani, ogni soldato ha l'opportunità di fare una rapida ricognizione per il villagio interamente costituito da tucùl . L' unica baracca in legno, abitata precedentemente da indiani, viene subito preparata per ospitare lo spaccio della truppa .
Infatti, una volta giunti i rifornimenti, acquisto due dentifrici Gibbs in lattine (come quelle delle creme per scarpe) per portarle alle mie sorelle Maria e Giovanna alle quali sono particolarmente affezionato.
Anche la vita religiosa prende il suo normale ritmo per opera del Cappellano militare P. Gaudisardi, Missionario della Consolata; egli celebra ogni mattina la S. Messa nella sua tenda ed io sono contento di accudire al servizio, coprendo puntualmente i circa 500 metri che mi separano da tale luogo.
La Domenica invece, la Messa viene celebrata in forma un po' più solenne al centro dell'accampamento realizzando un altare di fortuna su uno dei camion opportunamente preparato per la circostanza ( vedi foto n° 27 ) .
Durante i 15 giorni di permanenza a Iavello, la mia tenda diviene mèta di tanti soldati, sottufficiali ed ufficiali che desiderano aver riparati i loro orologi guasti, in seguito alla fama di orologiaio che nel fattempo mi sono fatto in tutto l'accampamento.
In verità il mio laboratorio è di una semplicità spartana, dovuta alle circostanze di avventura e improvvisazione; il tavolo è praticamente costituito dalla valigia di legno contenente gli attrezzi di lavoro posta sulla branda, ed io a cavalcioni su questa.
Orbene, un mattino mentre sono intento alla riparazione di un orologio, vedo entrare un Capitano di Artiglieria proveniente da una fortificazione posta su una delle alture circostanti .
Egli appena entrato nella mia tenda, subito mi porge un pugno di polvere gialla su un pezzo di carta per sapere cosa sia; io, dopo un attento esame della stessa, suppongo sia oro, oro puro, al che egli aspettandosi una tale risposta, visibilmente soddisfatto estrae repentinamente dalla tasca una pepita grossa come una noce, me la regala e va via.
L'emozione e la gioia di ricevere un così bel dono non mi rende edotto della situazione che mi attornia, al punto tale che i commilitoni presenti al fatto, in un baleno, passandosela per curiosità di mano in mano, me la fanno sparire .
Per evitare inimicizie, preferisco non deferire la cosa ai superiori, ed il tutto finisce lì con il solo ricordo di un tale avvenimento. Tuttavia, però, dopo alcuni giorni approfitto di una lettera inviata ai miei in Sicilia per inviare loro un pizzico di questa polvere.
Foto n.27 - S. Messa su altare di emergenza
Data la posizione particolarmente favorevole sia per i venti che per la sufficiente superficie piana a disposizione, il Comando decide di realizzare un aeroporto, onde consentire ai nostri aerei non solo i rifornimenti ma anche le escursioni di controllo ed attacco delle postazioni nemiche .
Intanto si avvicina il momento di rimetterci in marcia per proseguire nella nostra avventura di conquista all’interno della Regione del Galla e Sidàma, una zona sempre più impervia, cosparsa di laghi di grandi dimensioni e di alte montagne, dove i pericoli provenienti dalla natura e dal nemico diventano sempre più elevati e frequenti.
Pochi giorni prima di questo momento, però, avviene un episodio che dimostra come la fede in Dio ed il coraggio derivante dalla consapevolezza di portare aiuto al prossimo, abbiano il sopravvennto anche sui mali più gravi dell'Umanità.
In base ad un ordinamento che stabilisce di dare soccorso a qualsiasi indigeno che ne abbia bisogno, un mattino verso le 10 si presenta un donna avvolta in miseri panni per essere medicata. Il Tenente medico Adorno non appena alza quei cenci, inorridito, si tira indietro rifiutandosi di fare qualsiasi tipo d'intervento: si tratta purtroppo della temutissima lebbra.
Dopo un breve dibattito, allora decido di eseguire io la medicazione nonostante le severe osservazioni del superiore. Prelevo quindi la garza necessaria, del cotone ed il flacone dell'alcool per la disinfettazione, ma con sorpresa lo trovo vuoto. Alla mia richiesta di come si possa risolvere tale problema, il tenente mi suggerisce l'uso della benzina, che, da questo momento in poi diverrà per me il miglior disinfettante che esista grazie ai risultati che fin da questa circostanza ho avuto.
Prelevo dunque della benzina da una tanica posta lì accanto, e con spirito di carità e tanto coraggio, inizio a togliere quei miseri stracci dal corpo della donna. Tutti i presenti indietreggiano inorriditi nel vedere quel misero corpo cosparso interamente di piaghe, dal collo all'inguine, ed emanante un fetore incredibile .
Armato di pazienza, inizio con la disinfettazione, passo alla medicazione ed infine la fascio quasi interamente come fosse una mummia. Prima di salutarla, suggerisco ad un indigeno interprete di riferire alla donna che finchè noi staremo a Iavello lei dovrà venire ogni mattina per ripetere le suddette operazioni (vedi foto n° 28 ) .
Foto n.28 – La lebbrosa di Iavello
La donna segue fedelmente il consiglio, e già al 2° giorno noto che quasi un terzo delle piaghe è in via di cicatrizzazione; purtroppo, però, l'ordine di ripartire arriva dopo soli tre giorni, per cui non è più possibile continuare in quest'opera pia ed insostituibile.
Intanto già fin dai primi scontri con il nemico si sono avute delle perdite umane, dei feriti e qualche disperso, e per difendere le postazioni occupate nonchè per curare in modo dignitoso i feriti, il Comando provvede a lasciare nelle principali località conquistate delle guarnigioni di soldati, creando dei veri e propri Presìdi militari con Ufficiali - armi - viveri - medicinali .
Il numero degli uomini ovviamente varia da zona a zona a seconda dell'importanza strategica della località, ma è compreso comunque tra le 100 e le 200 unità.
Territorio occupato dalla Divisione Laghi
I Presìdi più importanti creati in questa particolare campagna cui sto partecipando io, sono :
NEGHELLI; AGHEREMARIAM; MOIALE; DAUA PARMA; MEGA; IAVELLO; SAMMALO'; DILLA; GIABASSIRE'; ADICCIO; UONDO; IRGALEM; SCIASCIAMANNA.
Da questo momento visto che l'Armata s'impoverisce di uomini sempre più riducendosi a 2.000/3.000 unità, diventa poco più che una Divisione e prende il nome di DIVISIONE LAGHI, al cui comando resta fino alla fine il Gen. Geloso e che diverrà famosa per il coraggio con cui ha affrontato la parte più insidiosa e difficile della conquista dell' Etiopia .
Durante tale avventura comunque, non è da sottovalutare l’aiuto trovato negli “ àscari “ che si sono distinti per coraggio e fatica, pur consapevoli di combattere contro i propri fratelli .
Essi tuttavia mantengono inalterate le loro credenze e costumi pur vivendo a contatto di noi; la foto n° 29, infatti, mostra l’uccisione di un animale mediante profonda incisione del collo con una daga , dal quale il sangue che sgorga viene bevuto direttamente dagli astanti . Essi tra l’altro non mangiano carni di animali uccisi da altri .
Foto n.29 – Negro che beve sangue
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