Sutera, presentato l’ultimo romanzo di Matteo Collura
Qualcuno ha ucciso il Generale
Nell’Auditorium Comunale, il 3 agosto, è stato presentato dal Sindaco Gero Difrancesco e dai proff. Mario Gaziano e Marcello Sajia l’ultima opera di Matteo Collura, lo scrittore agrigentino sessantunenne che vive a Milano collaborando con il Corriere della sera. Il prof. Graziano ha parlato del romanzo individuando nel paesaggio uno dei principali protagonisti, attribuendogli anche un registro linguistico ora epico ora lirico. Lo scopo era chiaro: quello di arrivare alla pagina in cui, sul filo della memoria, il generale Giovanni Corrao rievoca Sutera. Il prof. Sajia si è preoccupato di controllare il romanzo sul piano della aderenza storica, giudicandolo attendibile negli aspetti presi in esame, mostrandosi perplesso solo in un caso, quello della partecipazione emotiva, molto accentuata, del generale verso gli ideali di libertà e giustizia dei picciotti siciliani. L’autore ha accettato il giudizio con vero far play anche perché, trattandosi di un romanzo, aveva tutto il diritto di modellare al suo eroe la personalità per lui più convincente.
Nella seconda parte di quel pomeriggio è diventato protagonista Nonò Salamone che insieme ad altri due musicisti ha cantato molti dei canti popolari che accompagnarono e seguirono l’epopea garibaldina, di cui il generale Corrao fu insieme all’amico Rosolino Pilo uno dei più ferventi sostenitori, seguendo poi Garibaldi anche sull’Aspromonte. Sono stati canti che hanno rivelato gli entusiasmi di allora, ma anche la delusione per le tasse e la leva militare obbligatoria, la confusione tra quanto prometteva Garibaldi e quello che il re aveva in animo di dare.
Si può considerare una specie di romanzo saggio, sulle orme di Leonardo Sciascia, con cui lo scrittore divide quella voglia di discutere lucidamente le circostanze, scartare le piste false e identificare una verità scomoda per i politici e l’ordine sociale dominante nella Sicilia postunitaria, alternando scene di massa veramente epiche (in cui tanti popolani sembrano parlare “senza parlare”, attraverso un discorso indiretto libero) a tante altre in cui lo scrittore indaga e riflette sulle relazioni e le imboscate ad un personaggio scomodo e pertanto eliminato anche dalla memoria. Si vede subito che nel sostrato del romanzo, accanto ad altre letture di scrittori occidentali, è presente tutta la tradizione letteraria siciliana significativa, da Verga a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, al Pirandello de I Vecchi e I Giovani.
Quanto alle brevi pagine dedicate a Sutera, siamo nel momento che segue la delusione dell’Aspromonte, quando Garibaldi viene ferito dall’esercito piemontese e si evita a stento una carneficina fratricida di ampie proporzioni. Giovanni Corrao sconfortato e braccato si inoltra tra le montagne calabresi dove non giunge l’eco del mondo e della storia, incontra pastori che nulla sanno della cronaca e della politica, vivono una vita immobile e uguale a quella dei secoli passati, dove i cambiamenti e le speranze non sono neanche immaginati. E in questo mondo senza storia e senza tempo, gli vengono in mente altri luoghi sospesi fuori dal tempo e dalla storia, presepi felici, come Sutera che l’autore immagina visitata dal generale.
E’ l’omaggio sincero di Matteo Collura a questo paese.
Infine, preso dal luogo dalla serata e probabilmente anche dalle canzoni di Nonò Salamone, ci racconta il modo in cui ha scelto il titolo del suo romanzo.
Mario Tona
(Segue la pagina del romanzo)
Con sorpresa il generale riconobbe il paesaggio che sentiva di avere nel sangue; ed esso gli apparve simile a quello dove un tempo erano stati concepiti i Vangeli. Fu l'aspetto rupestre a suggerirgli la visione: come nel Sinai, anche tra quelle rocce dove adesso si trovava Dio avrebbe potuto parlare agli uomini.
Aveva imparato ad amare la pietra, il generale; non soltanto quella battuta dal frangersi delle onde nelle scogliere, ma anche quella che, ostinata e lunare, spuntava dai valloni interni.
Nell'osservare la tortuosa e ballonzolante processione dei pellegrini gli tornò in mente un arcaico presepe di Sicilia in cui un giorno lontano si era imbattuto, sulla strada che da Palermo lo portava nella ventosa Girgenti. Si chiamava Sutera quel paesino attaccato a un dente di roccia come a un dito femminile un anello di non preziosa sostanza ma d'ineffabile fulgore. Lo aveva visto da lontano e ne era stato misteriosamente attratto come un esploratore può esserlo da una cima impervia e fuori rotta. Raggiungere quel nido di aquile avrebbe comportato una non piccola deviazione, lo avevano avvertito i suoi accompagnatori pratici della zona; tuttavia, ne valeva la pena, avevano poi ammesso, perché in quel negletto grumo di abituri, avevano svelato, era venuto al mondo uno dei tredici eroi della Disfida di Barletta. C'era ancora la sua casa tra quelle grotte scavate nella roccia, e si raccontava che Ettore Fieramosca (sì, il campione delle armi italiano così tanto ammirato dal generale) l'aveva visitata in incognito, una notte di buia tempesta...
Gli era rimasto nel cuore, quell'angolo di Sicilia, per questo gli tornava alla mente ogni qual volta si trovava immerso in un luogo rupestre. E da quel ricordo la visione presto si ampliava a dar forma alla terra per cui aveva tanto lottato e per cui forse sarebbe finito ucciso. Ne rivedeva uno dopo l'altro i dirupati presepi. Così gli avvenne anche in quel bosco di Calabria. E mentre la voce d'acqua nascosta nei fossi gli conciliava visioni lontane, pronunciò mentalmente i nomi dei presepi in cui - condottiero ormai stanco di guerra - gli era capitato imbattersi. Erano quelli di Marineo, sulla strada per Corleone; di Sperlinga, nel cuore incognito dell'isola, e di Caltabellotta, protesa sul mare di Sciacca; e di Castroreale, dalle parti di Milazzo, dov'era caduto ferito; dell'antica Galaria cui era stato dato il nome di Gagliano Castelferrato; di Calascibetta, e Leonforte, e Agira, in faccia a Castrogiovanni; e di Modica, laggiù, nella remota contea...
Quanto erano lontani, ora, quei paesi. (pp.114-115)
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