Memorie d’Africa
(1.1.1936 – 4.10.1946)
di Giuseppe Scannella


- 11° -
L'indomani mentre prendo l'acqua
vedo arrivar il fante Passalacqua;
“Scannella va' in fureria e vedi intorno
perchè ti vuol parlar il tenente Adorno.”

- 12° -
Parto di corsa, arrivo e chiedo permesso;
lui mi dice: “avanti ! “, all'ingresso;
ed io: “ comandi pure signor tenente ! “
“ Stai sul riposo e non sull'attenti !

- 13° -
Guarda, Scannella, fatti sempre onore;
a quel tenente aggiustagli le ore,
perchè nessuno crede a quel che sai fare
all'infuor di te nessuno sa riparare . “

- 14° -
Giunto fuori, gl'amici mi batton il petto
“ e bravo, hai trovato il tuo prefetto;
ma deve finire per molti di voi !
State facendo i grandi signori . “

- 15° -
La sera del 13 Ottobre sento chiamare
tutta la squadra col mio caporale;
“Domani tenete tutte le cose pronte
perchè alle cinque si parte per il fronte.”

- 16° -
L'indomani mattina c'è la sveglia,
già tutti siam pronti per la veglia,
a Dio ci affidiamo e alla Madonna
mentre in comincia a sfilar la colonna.

- 17° -
Tutte le macchine marcian in filiera;
già le prime raggiungon la frontiera.
“Fermi tutti ! “ grida Zamboni,
“mettete pronti i nostri cannoni ! “

- 18°-
Mentre le macchine si pongono a schiera
ogni soldato si dispone in trincea ;
alle 9 partono i primi colpi di cannoni
gridando tutti: “ecco gl'Abissini mascalzoni. “

-19° -
L'artiglieria spara su Giabassirè;
ogni soldato già pronto è;
tutti pronti per andare avanti,
aspettando gl'ordini dei comandanti .

- 20° -
Alle ore 10 si va avanti
àscari, carri e i nostri fanti;
qui incomincia una grande fucileria
di bombe a mano, mitraglie e artiglieria .

- 21° -
Mi accosto allora alla batteria
per veder dove mira l'artiglieria ;
ad un tratto s'ode una mitraglia,
dietro di noi è l'abissin che sbaglia .

- 22° -
Ogni fante che non spara
si butta a terra per paura;
sempre pronti, noi di sanità,
chè ognun, di essa, bisogno ha .

- 23° -
Viene l'ordine d'andare avanti
per raggiungere i nostri fanti;
giunti sul posto si cerca il fante ,
eccolo, ferito sotto quelle piante .

- 24° -
Iniziamo col poveretto a rientrare
quando su di noi cominciano a sparare;
allora subito per salvar le pelli
usiamo i fucili dei nostri fratelli.

- 25° -
Alle undici circa dico a Parisi:
“ecco il tenente che medica i feriti;
portiamoglieli subito con pronto agire
quest' àscari, chè stanno per morire. “

- 26° -
Alle 13,30 il Tricolor sventola sui monti
al grido dei comandanti e di tutti i fanti;
“Viva l'Italia, il Re e Mussolini,
e Noi che combattiamo contro gl'abissini!”

I suddetti versi rappresentano alcuni particolari di questi momenti difficili che la truppa deve affrontare dal momento in cui è arrivato l'ordine di raggiungere il Gen. Maletti per fornirgli una man forte nell'ardua operazione di conquista di Giabassirè . In particolare, come ho precisato, il compito più difficile certamente è quello della squadra portaferiti, costituita da un Caporale e 9 soldati di sanità, distribuiti in coppie portabarella . Io vengo abbinato a Giuseppe Parisi, col quale divido questi momenti drammatici specialmente quando bisogna salvare qualche ferito sotto il tiro incrociato d
ei proiettili che fischiano da tutte le parti .
La battaglia cruenta che porta alla conquista del M.Giabassirè è certamente una delle più pesanti e tremende di questa Campagna d'Etiopia, in quanto si spara incessantemente dappertutto per un'intera giornata ed ogni coppia di barellieri è costretta dalle necessità a salire e scendere dalla montagna portando ben tre feriti alla volta: il più grave sulla barella e altri due sulle spalle di ciascuno di noi. E questo andirivieni, ininterrottamente senza toccare cibo nè acqua dalla sera precedente .
In questa circostanza, ancora, ricordo che nel salire sulle aspre pendici della montagna alla ricerca dei feriti, siamo costretti a cercare subito un riparo dal fuoco impressionante che ci circonda visto che la strada davanti a noi è sbarrata dal nemico; troviamo un fossato e ci buttiamo a capofitto dentro.
Qui abbiamo la ventura di trovarvi il Col. Zamboni con il suo aiutante che si stringono per farci un po' di posto. Da questa postazione notiamo due nostri carri armati : uno, colpito ai cingoli, e quindi bloccato a valle mentre sta per risalire ; l'altro vicino alla sommità del monte come se fronteggiasse il primo.
Tale situazione ben presto viene complicata dalla presenza sulla zona di un nostro aereo in perlustrazione, il quale interpreta uno dei due carri armati come nemico sul quale lancia due bombe ; per fortuna finiscono sul ciglio della strada coprendoci di pietre e terriccio .
A questo punto il Colonnello infuriato esce dal nascondiglio e ci ordina di tendere per i quattro vertici il telone di segnalazione; subito dopo ordina al suo aiutante di fare un fonogramma al quartier generale per far rientrare immediatamente il n°35 alla base .
Prima di concludere l'intera operazione, il Col. Zamboni si congratula con noi per il coraggio, il sacrificio e l'eroismo mostrati e ci chiede le generalità forse per proporci per qualche encomio .
Eseguito il rastrellamento, verso le 16,30 circa il grosso dell'esercito rientra all'accampamento mentre una parte insegue il nemico fino alla Pianura di Sammalò.
Giunti nell'accampamento, sfiniti ma soddisfatti, ci ristoriamo concludendo così questa grande giornata del 14 Ottobre 1936.

CAP. IX

ASPRI COMBATTIMENTI

NELLA ZONA DEI LAGHI GALLA
L’indomani 15 Ottobre 1936, sveglia alle 5,30; subito dopo, colazione e preparativi celeri per la partenza verso le zone limitrofe ai grandi laghi della regione .
Saranno le gesta coraggiose, i combattimenti aspri, il gran numero di eroi superstiti o morti in questa Terra di laghi, a dare il nome alla Divisione del Gen. Geloso: la gloriosa" Divisione Laghi".
L'autocolonna inizia così la salita verso il M. Giabassire' con maggiore speditezza del giorno prima, in quanto la strada già interrotta dagli Abissini prima dei combattimenti, è stata rimessa nel frattempo a posto dai nostri operatori del Genio in tempo record
Raggiunta la zona in cui sono ancor freschi i ricordi di quanto accaduto appena 24 ore prima, la lunga fila di camion incomincia una ripida interminabile discesa che finisce dopo parecchie ore, verso le 13, solo quando si arriva nella pianura di Sammalò.
Scesi dagli automezzi, impiantiamo subito le tende accanto a quelle già sistemate durante la notte dalle Compagnie staccatesi dal resto dell'esercito per inseguire il nemico.
Subito dopo mi aggiro per il campo alla ricerca di un po' d'acqua da bere e per pulirmi alla meglio; incontro un fante appartenente ad una di quelle compagnie, il quale mi indica delle postazioni d'impianti idrici piazzati ad un paio di centinaia di metri giù a valle da un loro reparto durante la mattinata.
Con la circostanza non può trattenersi dal riferirmi quanto è accaduto proprio a questo reparto poco prima del nostro arrivo. In particolare, egli racconta, mentre erano in attesa dell'aereo della posta, il pilota credendo che questi militari fossero Abissini, sgancia su di essi una grossa bomba di 4 tonnellate, facendo un vero massacro tra morti e feriti.
Il racconto mi colpisce a tal punto che rientrando nella tenda stilo subito le solite righe poetiche di ricordo:

- 27° -

Giunti siamo a Sammalo'
dove l'apparecchio bombardò
gl'ascari che si stan riunendo:
tra morti e feriti, son più di cento .

Rimando al giorno dopo il ricorso all'acqua per le pulizie, ed intanto mi godo quel paesaggio veramente unico e stupendo che offre la posizione dell'accampamento; da quì infatti si domina la vista del gran lago Margherita pari a circa 4 volte il lago di Garda (1256 Kmq. ), tappezzato di isole e solcato da caratteristiche imbarcazioni locali. Scoperto sul finire del secolo scorso dalla famosa spedizione Bòttego, è stato da questo esploratore battezzato col nome della prima Regina d'Italia . Incassato com'è in un'ampia conca vulcanica, attorniato da monti fertili, lussureggianti e densamente popolati da genti Sidàma, rappresenta senza dubbio una delle maggiori bellezze dell'Impero .
L'indomani, 16 Ottobre, siamo in tanti a voler scendere a valle per fare delle pulizie con l'abbondante acqua di cui ci è stato riferito .
La strada stretta, impervia, incassata nella montagna, con sulla destra burroni impressionanti di centinaia di metri, ci obbliga ad andare molto lentamente e con grande attenzione . Giunti poi sul posto ci ristoriamo e facciamo quelle pulizie personali e dei pochi panni che da tempo desideriamo fare, dopo di che rientriamo all'accampamento .
Dopo questa giornata che si può definire di relax, il 17 Ottobre all'alba, una modesta autocolonna esploratrice si prepara per affrontare un territorio nuovo da conquistare ; 4 automezzi con 60 ascari , un Tenente , due camicie nere scelte e due autoblindi lasciano quindi il campo alle 5 del mattino in punto .

Dopo appena un'ora partiamo noi con 60 automezzi , 2 carri armati, 2 autoblindi e 4 autoambulanze .
La marcia però dura solo un paio d'ore, perchè ci arrestiamo davanti ai miseri resti della spedizione che ci ha preceduti ,decimata da un agguato nemico . Noi della Sanità immediatamente ci diamo da fare per intervenire laddove è possibile, anche se non c'è molto da fare.
Tuttavia, però, mi si presenta un ascaro scampato al massacro per avere curate le numerose ferite; e mentre provvedo a curarle e fasciarle, egli con l'espressione tipica di questa gente orientale mi dice che neanche gli autoblindi sono sfuggiti al disastro e che solo lui è scampato alla morte. Immediatamente, allora, parte per il comando generale un fonogramma che senza mezzi termini esprime la drammaticità del momento e sottolinea la necessità di rinforzi in quanto ci si ritiene in pieno combattimento. Passa qualche ora e vediamo arrivare verso le ore 10 il grosso dell'esercito che ingaggia subito un asprissimo combattimento con il nemico. La battaglia infuria per tutta la giornata senza alcuna interruzione, e nel contempo i 5 addetti della Sanità (il Sottotenente Medico napoletano Lanna, io ed altri tre soldati) siamo costretti a faticare in modo stressante. Non c'è neanche il tempo di soffermarsi minimamente a guardare le piaghe o a fare le domande di circostanza perchè i feriti arrivano incessantemente e tutti hanno urgentissimo bisogno di noi. Tutti e quattro quindi medichiamo, fasciamo, operiamo alla meglio con i mezzi ed i tempi che si hanno a disposizione, in una struttura provvisoria d'emergenza creata per l'occasione. I soldati ad un certo punto mi portano un ferito in condizioni pietose e, a dir poco, raccapriccianti: la gamba destra pende dal ginocchio per un sottile lembo di pelle che la trattiene a mala pena .
Senza pensarci due volte, impugno il bisturi, taglio quel sottile legamento, tampono l'emorragia, disinfetto e fascio ; mentre viene caricato sull'ambulanza sempre pronta a far la spola per l'Ospedale da Campo, per me è raccapricciante dover buttare tra i cespugli, come fosse dell'immondizia, quella povera gamba ancora avvolta dal pantalone insanguinato e con lo scarpone calzato .
In prossimità della struttura sanitaria, intanto, per tutto il giorno sentiamo in modo quasi cadenzato uno strano doppio colpo di fucile: ta…pum. Questo è il tipico rumore di un fucile di fabbricazione belga, che spara pallottole esplodenti, nel senso che quando arriva al bersaglio crea una piccola esplosione sufficiente comunque a dilaniare una persona; noi ci siamo abituati a chiamarlo: dum-dum.
La cosa strana è che dopo pochi minuti dal mesto suono di questo fucile arriva sempre qualche nostro soldato dilaniato. Perciò uno Sciùm-basci (maresciallo abissino al nostro servizio), approfittando ormai del calar della sera, in modo furtivo cerca di scoprire il punto di provenienza di questi spari.
Lo individua proprio su un alto ramo di uno dei tanti alberi di cui siamo circondati, prende quindi la mira e spara a sua volta; si vede subito un corpo inerte precipitare al suolo e immediatamente dopo avvicinarsi ad esso un ragazzo che sicuramente dev'essere il figlio.
Questo ragazzo è uscito precipitosamente dall'interno dell'albero, dal tronco praticamente vuoto, da dove fino a quel momento ha preparato e porto le munizioni al padre posto in una posizione strategica indubbiamente originale.
Essendo stata eliminata la causa di tanti feriti, finalmente possiamo stare un pò più tranquilli e consentirci così un po' di pausa di riposo necessaria dopo tanto pietoso, stressante ed ininterrotto lavoro.
Trascorsa circa un'oretta, vista la calma che ormai aleggia su tutto, decido di andare a vedere di persona cosa è accaduto al reparto trucidato prima del nostro arrivo, per cui mi incammino sulla strada maestra. Dopo alcuni metri incontro due dubat (agenti somali addetti all'ordine pubblico al servizio delle nostre truppe), i quali spingono in avanti a suon di calci di fucile sulle spalle, un prigioniero abissino; essi lo colpiscono incessantemente ed in modo cruento accusandolo di avere ucciso il loro " fratello". In effetti in queste regioni tutti gl'indigeni si chiamano tra loro fratelli .
A questa vista, compassionevole anche per me, intervengo sollecitandoli a smettere di trattarlo in questo modo, anche perchè sostengo che il prigioniero è più utile da vivo per le informazioni preziose che può fornire anzicchè da morto .
Uno di loro allora mi risponde per le rime : “no signore, noi dare lui mangierìa, e noi non più combattere per fare guardìa” e continuano per la loro strada; per cui ritengo ormai opportuno desistere da ulteriori tentativi di convincimento e procedo oltre .
Giungo così ad una curva strettissima a gomito, in ripida discesa, al di là della quale una scena terrificante mostra in tutta la sua cruda realtà cosa è accaduto ai due autoblindi, interamente carbonizzati con dentro i corpi degli addetti, ed ai 4 camion Ford con tutti i soldati ancora sopra, tutti trucidati .
Subito dopo la prima impressione di orrore che mi lascia letteralmente di stucco, resto quasi impalato ad osservare attentamente il tutto nella speranza di notare ancora qualcuno in vita cui dare soccorso .
Purtroppo la scena è troppo muta nel suo silenzio di morte e devo riconoscermi fortunato per non essere attaccato da qualche abissino armato, visto che sono solo in un ambiente di terrore .
Riavutomi dallo choc, riprendo la strada del ritorno, sul cui ciglio trovo col cranio fracassato dai colpi inferti col calcio del fucile quel prigioniero incontrato poco prima .
Giunto al campo ormai verso il tramonto, racconto le mie esperienze al dottore e agli aiutanti, dopo di che si conclude quest'altra importante giornata di battaglia (17 Ottobre 1936) .
La giornata successiva trascorre tutta a rimuovere le macerie, a radunare e seppellire i morti ed a permettere agli uomini del genio la ricostruzione del ponte sul fiume che scorre a valle, distrutto dagli abissini prima della ritirata .
Prima però di concludere i ricordi molto amari che caratterizzano anche questa apparentemente tranquilla giornata, non posso fare a meno di ricordare assieme ai corpi dei nostri connazionali dilaniati dai colpi di arma da fuoco, la vista raccapricciante e dolorosa del tenente comandante l’avanguardia decimata : ingatti lo troviamo legato ad un albero, come un antico martire cristiano dell'epoca imperiale romama, con gli occhi cavati di netto e scorticato vivo come S. Bartolomeo .
L'indomani, 19 Ottobre, all'alba la nostra lunga autocolonna si rimette ancora una volta in marcia per attraversare il vallone; prima quindi una ripida discesa, poi si passa sul ponte, e dopo si fa un'altrettanto erta salita .
Dopo appena un centinaio di metri ci fermiamo per un qualche motivo, e guarda caso, vengo a trovarmi in prossimità di un cannoncino della contraerea abbandonato dal nemico in fuga; accanto, semicoperto dai cespugli intravedo un proiettile ancora inesploso dal diametro di circa 45 mm. e lungo un 30 cm.. Lo prendo con avida soddisfazione e lo conservo nello zaino per portarmelo come ricordo di questi avvenimenti indimenticabili. Al mio rimpatrio in Italia questo proiettile dovrò regalarlo al Dott. Scifo che me lo chiederà con insistenza. Quindi si riparte, e dopo i soliti tornanti, si arriva sulle alture dove si apre davanti ai nostri occhi un altro spettacolo, questa volta però suggestivo e meraviglioso ,invitante alla speranza ed alla serenità .
Un altro altipiano lussureggiante, di vaste proporzioni, tutto coltivato a caffè, con tecniche decisamente avanzate e quindi indicanti l'influenza di qualche nazione europea.
Viaggiamo in mezzo a tale paradiso per molte ore finchè, verso le ore 14 arriviamo al piccolo centro di Dilla, sito a circa 1.600 metri sul livello del mare, dove ci accampiamo.
Questa è una località a cavallo di terre alquanto varie sia dal punto di vista geografico che etnico; se da una parte abbondano vasti pascoli con genti dedite alla pastorizia più o meno nomadi (Galla), da un'altra invece si estendono zone malariche o con ricche sorgenti termali di tipo solforose in cui l'insediamento umano è raro; da un'altra parte ancora vaste vegetazioni selvagge in cui a zone dove si annida e vive in pieno equilibrio una fauna ricca di felini selvaggi, fanno contrasto campi coltivati da agricoltori Sidàma .
Le acque inoltre sono abbondantissime, e tra queste scegliamo un torrente al quale ci rechiamo fin dal primo giorno per rinfrescarci e fare le solite pulizie personali e degli indumenti (vedi foto n° 31). Foto n. 31 - Ristoro e pulizie con acque di sorgente termale
Intanto circola voce nel campo che resteremo quì accampati non meno di 15 giorni, sia per attendere l’arrivo dei rifornimenti d’ogni genere, sia per rimettere in sesto le vie di comunicazione e qualche ponte distrutti dal nemico in fuga.

CAP. X

LA DIVISIONE << LAGHI >> AFFRONTA LA BATTAGLIA PIU' CRUENTA

Tra gli ultimi di Ottobre ed i primi di Novembre, i nostri informatori avvertono il comandante della Divisione che poco distante da Dilla, attorno alla vallata boscosa di Adiccio sono asserragliati molte migliaia di Abissini, forse 15.000, al comando di ben 5 Ras in assetto di guerra pronti ad affrontarci .
Il comando allora trasmette l'informazione alle nostre centrali aeree di Mogadiscio-Neghelli-Addis Abeba, allertandoli ed invitandoli ad intervenire non appena arriverà l'ordine di partenza .
Il 5 Novembre 1936, alle ore 6 circa incomincia a partire il mio reparto che funge d'avanguardia di tutta la Divisione, a bordo di ben 60 camion Ford, 4 autoblindi e 4 carri armati leggeri .
Dopo 8 ore di marcia, verso le ore 14, l'autocolonna si arresta perchè gl'informatori ci dicono che ad appena 2 km. circa da noi sono trincerati gl'Abissini; perciò immediatamente, mentre gli uomini ed i mezzi da combattimento prendono posizione, i telegrafisti fanno partire un fonogramma per il comando generale informandolo dell'intercettazione del nemico .
Il resto della divisione, nel frattempo in marcia dietro di noi, ci raggiunge verso il tramonto.
La zona dove ci accampiamo è costituita da un'ampia radura molto arida e aperta, tutta attorniata però da colline e montagne come in fondo ad un'ampia e profonda conca di press'appoco 3-4 km. di raggio, del tutto pervasa dalla solita fitta e lussureggiante vegetazione .
La sera stessa il Comandante chiama a rapporto tutti gli Ufficiali per decidere la strategia da adottare nell'imminente conflitto che, già fin d'ora, in base alle informazioni che giungono da ogni dove, si prospetta duro, difficile e cruento . Alle ore 23 il nostro diretto superiore, Sottotenente Medico Lanna, ci informa che noi dell'avanguardia siamo aggregati all'11° Battaglione Arabo-Somalo.
L' indomani, 6 Novembre 1936, verso le 4 ancor prima dell'alba, con la massima attenzione a ridurre al minimo ogni qualsiasi rumore, i vari reparti della Divisione prendono posizione secondo gli ordini superiori : l'11° Battaglione sulla sinistra, il 13° Fanteria (costituito tutto da truppe nazionali) sulla strada al centro, il 9° assieme al 10° Eritreo-Tripolini sulla destra, sì da formare un ventaglio .
Ultimato lo schieramento inizia l'avanzata a piedi, cercando di evitare o comunque abbassare qualsiasi rumore, nonchè eliminare qualsiasi atteggiamento che possa essere un segnale per il nemico (come ad esempio accendere sigarette) .
In attesa del passaggio del Battaglione cui siamo stati aggregati, nel buio pesto che avvolge ancora la zona, non ci accorgiamo affatto del passaggio già avvenuto, per cui il nostro Tenente esprime il rammarico per quanto accaduto al primo Colonnello che gli passa vicino. Tale Ufficiale, il Col. Martini, lo rassicura consigliandogli di aggregarsi ai suoi Battaglioni, i già citati 9° e 10°.
Questo per noi sarà purtroppo l' inizio di una vera e propria Via Crucis , in quanto ciò che accadrà in seguito in massima parte è da attribuire a tale disguido .
C' incamminiamo perciò in coda ai due battaglioni per ben 4 ore in mezzo alla fitta boscaglia, senza poter scambiare tra noi alcuna parola, frenando qualsiasi sintomo di tosse o starnuto, evitando comunque ogni genere di rumore .
Verso le ore 8 giungiamo su un ampio spiazzo alle falde della montagna più bassa, sulla cui sommità è appostata una parte del nemico .Una grossa pianta millenaria posta al centro proietta una grande ombra su tutto lo spiazzale, da cui si dipartono tre strade .
Quì ci fermiamo, ed il Colonnello Martini ordina al nostro Tenente di restare in questo luogo ad attendere l'arrivo dei feriti non appena si arriverà agli scontri col nemico .
Egli inoltre, prima di ripartire, lascia una scorta armata di 11 Ascari compreso il loro Sciùm Basci, a difesa di noi 11 addetti alla Sanità .
Per assicurare i primi interventi ai feriti, il loro eventuale trasporto al campo e la sicurezza fisica di noi tutti, abbiamo in dotazione : 4 barelle, una certa quantità di materiale sanitario di pronto intervento, due bombe a mano ed una grossa pistola a tamburo per ciascun infermiere e l'ufficiale, un moschetto 91 per ciascun ascaro, una mitragliatrice leggera e infine una buona dose di munizioni; purtroppo, però, non abbiamo con noi nessuna scorta di viveri nè d'acqua .
Non appena il Colonnello si allontana da noi, avventurandosi sulle insidiose pendici della montagna, al di là della quale sono ben piazzati ad attenderlo gli Abissini, lo Sciùm Basci dispone in cerchio 6 dei suoi uomini a guardia del nostro piccolo improvvisato campo .
Passa all'incirca un paio d'ore, e sentiamo gli spari causati dal primo scontro tra il reparto del Colonnello ed il nemico; subito dopo lo scontro assume proporzioni certamente drammatiche in quanto gli spari si intensificano sempre più, mentre noi trepidiamo per la sorte delle nostre truppe.
Tuttavia però, col passare delle ore incominciamo tutti a preoccuparci per il fatto stesso che nessun ferito ancora ci viene portato, e nel contempo incominciano a farsi sentire gli stimoli della sete e della fame .
Verso le ore 14, allontanandomi un po' per soddisfare gli stimoli urinari, noto un tucùl attorniato da un campetto coltivato a cavoli; spinto dalla fame, mi avvicino e ne raccolgo alcuni per distribuirli ai miei compagni. Nel frattempo però la sentinella mi avverte della presenza di un abissino, che viene subito catturato, in quanto disarmato .
Diamo subito sfogo alla fame, divorando letteralmente questa verdura, e subito insisto nel consigliare al Sottotenente di andarcene da quel posto perchè è troppo strano che non arrivi ancora alcun ferito. L'ufficiale però rifiuta categoricamente una tale soluzione in quanto sostiene che essa rappresenta un "abbandono di posto" e quindi perseguibile seriamente dalla Legge militare .
Dopo alcuni minuti sentiamo sulle teste un nostro aereo 34 da bombardamento che sorvola la zona e poi si allontana ; dopo un po' lo sentiamo ritornare su di noi a bassa quota intenzionato forse a sganciare bombe su di noi .
Immediatamente stendiamo sullo spiazzale i teli di segnalazione mostrando contemporaneamente le fasce della Croce Rossa strette al braccio, al fine di evitare in tempo un analogo tragico sbaglio simile a quello commesso giorni prima a Sammalò .
Per fortuna lo vediamo allontanarsi senza più fare ritorno, contenti di essere scampati al bombardamento di un nostro stesso aereo.
In seguito, al rientro da questa triste avventura, sapremo dalla nostra fureria che questo aereo una prima volta aveva lanciato sul nostro accampamento un messaggio di chiarimento sull'identità del nostro gruppo ricevendo in risposta che eravamo dei nemici, per cui era venuto a bombardarci ; dopo le nostre segnalazioni, il pilota era ritornato al campo per avvertire che il gruppo di uomini apparteneva alle nostre truppe, per cui se ne poteva ritornare al suo reparto di provenienza .
Subito dopo, della situazione veniva avvertito anche il Colonnello Martini, il quale rispondeva che era stato lui a disporre in tal modo per il nostro gruppo ma che ormai non si poteva più far niente per noi in quanto eravamo accerchiati da migliaia di Abissini armati .
Intanto le ore passano in uno stato d'ansia-trepidazione-paura senza che ci sia alcuna possibilità di prendere una decisione valida per toglierci da questa dannata situazione .
Verso le ore 16 viene catturato un altro abissino armato di lancia, il quale però con molta furbizia ottiene la possibilità di appartarsi per poter soddisfare i suoi bisogni; l'ascaro di guardia si distrae un attimo, ed io mi accorgo che quello ne approfitta per scappare come una gazzella. A nulla serve un paio di colpi di fucile sparati subito contro di lui perchè in mezzo alla fitta vegetazione il prigioniero scompare come nel nulla .
A questo punto torno ad insistere presso il Tenente per andarcene immediatamente da questo posto, in quanto il nemico ora è certamente a conoscenza sia della nostra posizione che dell'esiguo reparto che rappresentiamo; e questa volta finalmente il Dottore si convince e prende la decisione di partire.
Visto poi che per tutto il giorno abbiamo sentito un incessante rumore di camions provenire da una certa direzione, immaginando che lì debba esserci la strada maestra battuta dai nostri, dopo esserci consultati, decidiamo di muoverci in tal senso .
Ora quella intrapresa, come la maggior parte delle strade africane, è una strada sterrata che per le piogge torrenziali che vi si abbattono quasi giornalmente e per il passaggio di grossi animali ed uomini, si presenta solcata profondamente come una trincea; muovendoci dentro tale solco, emergiamo sulla strada dalla cintola in su .
In questo mare di guai, questi solchi rappresentano per noi un'insperata fortuna, visto che dopo aver percorso appena un paio di centinaia di metri, veniamo attaccati da una fittissima gragnuola di colpi proveniente dalla nostra destra .
Immediatamente facciamo dietro-font, i miei compagni si fanno dare i fucili dagli ascari, ed avanziamo sullo stesso percorso di prima pronti a far fuoco per vendere cara la nostra pelle .
Giunti però allo spiazzo da cui siamo partiti vi troviamo una massa di circa 200 negri armati di lancia e bastoni, i quali non appena vedono spianata su di loro la mitragliatrice buttano queste armi rudimentali ed alzano le braccia in segno di resa .
A questa vista, pur essendosi congelato il sangue nelle nostre vene, il Tenente decide di prendere la stessa strada del mattino, ma veniamo subito dissuasi da uno di questi negri che, sbarrandoci il passaggio, incomincia ad urlare frasi a noi del tutto incomprensibili .
L'intervento di un àscaro interprete ci permette di sapere che su tale strada sono appostati moltissimi abissini in attesa di trucidarci tutti. Allora, mentre da un lato l'atteggiamento di questo negro ci fa capire che questi indigeni in fondo non sono nostri nemici veri e propri, dall'altro però ci rende purtroppo perfettamente consapevoli di trovarci ormai immersi fino al collo in una trappola mortale dalla quale solo un gran miracolo può salvarci .
Il Dottore, anch'egli conscio della drammaticità del momento e della difficoltà d'una decisione giusta, chiede a tutti un parere sul da farsi .
Lo Sciùm Basci, esperiente della vita e del modo di pensare della gente locale, suggerisce una delle seguenti proposte : o si mandano via tutti questi negri per riprenderci la nostra primitiva postazione dalla quale poter approfittare delle armi degli eventuali nemici abbattuti, ovvero tornare ancora una volta sullo stesso percorso dove siamo stati assaliti, visto che ormai il nemico si sarà sicuramente spostato altrove .
Il Dottore, dopo aver fatto notare che, nelle condizioni in cui ci troviamo, senza viveri e senza equipaggiamento notturno, saremmo liquidati o dal nemico o dal freddo umido della notte imminente, decide per la seconda proposta . Riprendiamo il cammino con il cuore più piccolo d'un granellino ed ognuno di noi, credente o no, incomincia a chiamare tutti i Santi del Paradiso in aiuto ; io subito ingrano il Rosario ed incomincio la recita del 1° Mistero Doloroso .
Il cuore di ognuno adesso si sente battere quasi quasi a distanza, i passi diventano sempre più felpati, e non mi accorgo che al 2° Mistero arriviamo allo stesso punto in cui prima ci hanno attaccati; quì non so spiegare cosa passa dentro ognuno di noi, solo che tra un'Ave Maria ed un pensiero atroce arriviamo molto più avanti senza che succeda niente .
Al 3° Mistero, alle ombre tenebrose dei pensieri si associano anche quelle del tramonto, che, per il fatto stesso di trovarci all'interno di una grande conca, dà luogo ad un buio repentino e tetro .
Per fortuna dinnanzi a noi s'intravedono due negri che vengono chiamati dall'interprete per sapere da loro dov'è la strada maestra, e dopo avercela indicata vengono congedati .
E mentre ancora una volta siamo smarriti sul cosa fare e su dove andare, ecco che uno di noi nel guardare per terra intravede dei cavi telefonici stesi dai nostri genieri e delle impronte tipiche delle gomme dei nostri automezzi. Perciò con un pizzico di speranza in più ci avviamo in direzione tale da lasciare alle spalle la zona da cui proveniamo .
Intanto cala la sera e se non fossimo in prossimità dell'Equatore a quest'ora non saremmo più in grado di fare un sol passo; invece, quì le stelle, in un cielo limpido e terso, sono così luccicanti da diffondere una luce molto simile a quella della luna piena, per cui si riesce a veder così bene da distinguere perfino un piccolo oggetto sul suolo .
Perciò continuiamo fiduciosi nel nostro cammino senza però desistere dalle preghiere e dai pensieri più drammatici ; io continuo col Rosario, passando dai Dolorosi ai Gaudiosi e via discorrendo, visto che non ricordo se li ho recitati tutti o no .
Ad un certo punto sentiamo un rumor di automezzi che si va facendo sempre più consistente, per cui il Tenente (da non dimenticare ch' è un napoletano) , quasi sicuro d'aver raggiunto i nostri reparti, mi dice: “ Scannella, è la Madonna di Pompei che ci ha salvati!“ Al che rispondo: “Certamente, è proprio Lei che ci ha liberati da questa brutta trappola! “
Man mano che avanziamo, perciò, ci manifestiamo reciprocamente la gioia d'essere scampati più volte alla morte, ringraziando Dio e la Madonna anche a voce alta e con tono sempre più allegro .
Ad un certo punto vediamo netta dinnanzi a noi la sagoma di un autoblindo colla sua mitragliatrice puntata sulla strada, e la cosa ci rallegra perchè ci sentiamo ormai tra i nostri .
Giunti infatti all'altezza dell'autoblindo, vediamo uscire dal suo interno il Maresciallo che lo comanda, il quale precipitosamente si rivolge al Tenente con queste testuali parole: “ poggi la sua mano sul mio petto e veda come batte il mio cuore; ecco quì l'ordine scritto del mio superiore col quale ho avuto l'obbligo severo di sparare a chiunque si profilasse sulla strada, in quanto nessuno dei nostri può ormai venire da quelle parti. Quando vi ho intravisti, ho subito puntato l'arma contro di voi deciso a spararvi, ma non appena ho sentito le vostre voci alte nel buio ho pensato che il nemico mai si sognerebbe di scoprirsi così stupidamente; poi ho visto le fasce della Croce Rossa al braccio, ed ho capito allora che siete dei nostri. Ben tornati ! Son contento di rivedervi.” E così dicendo ci abbraccia calorosamente uno per uno, tutti quanti .
Dopo che ognuno esprime le sue impressioni, racconta le proprie paure e ricorda i momenti più salienti della paurosa avventura vissuta, ringraziamo tutti il sottufficiale per averci risparmiata la vita e lo salutiamo avviandoci alla ricerca della nostra Compagnia .
Percorsi circa 500 metri senza averla trovata, incominciamo a chiedere ad ogni soldato che incontriamo dove possa essere accampata la nostra Compagnia, e solo così finalmente la rintracciamo .
Non è facilmente esprimibile quello che accade quando i nostri ci vedono spuntare come dall'Oltretomba, visto che per tutti loro noi siamo stati belli e spacciati: abbracci commoventi, lunghe e fortissime strette di mano, parole e accenti veramente familiari .
Subito dopo, veniamo decentemente rifocillati e, per la lunga tensione cui siamo stati sottoposti nonchè per l'estenuante stanchezza, ci mettiamo a dormire in un sonno profondo .
L'indomani 8 Novembre 1936, tanto per " cambiare " , ancor prima dell'alba si sente sparare a tutto spiano sia dal lato sinistro che da quello destro, per cui la nostra artiglieria risponde subito con ogni pezzo e di santa ragione ; tuttavia però, ricordando che siamo in una conca attorniata da monti molto alti distanti da noi dai 7 ai 10 Km. e da altri più bassi ad una distanza più ravvicinata tutti però coperti da una fitta vegetazione, si spara contro un nemico invisibile e quindi più pericoloso ed insidioso .
Per fortuna da un lato il fiume Lagadàra ci separa dalla boscaglia circostante, rappresentando così un ostacolo in più per il nostro nemico, mentre dall'altro lato c'è il pericolo d' essere assaliti da un momento all'altro da una enorme massa di abissini.
Ora, visto che noi siamo accampati vicino al Comando Generale dinnanzi alla cui tenda è posto un cannocchiale a disposizione di chi vuol guardare, io mi avvicino e dò uno sguardo panoramico a quanto ci circonda ; ad un certo punto, però, mi soffermo allibito ad osservare con una certa trepidazione un vero e proprio formicaio di uomini che ininterrottamente percorrono nei due sensi di marcia una strada a mezza costa sulla montagna di fronte a me.
Immediatamente richiamo l'attenzione di un ufficiale di artiglieria ch'è nei pressi, invitandolo a guardare ciò che sta accadendo lassù. Questi senza pensarci due volte, ordina di puntare in quella direzione i vari pezzi d'artiglieria, tra cui i potenti òbici capaci di colpire ad oltre 10 Km. di distanza, e di sparare a volontà.
Dopo poco tempo arrivano sul posto anche i nostri aerei dalle basi di Mogadiscio, Neghelli ed Addis Abeba, dando il loro indiscusso contributo a questa battaglia dal sapore di guerriglia continua, sfavorita dalle condizioni topografiche del terreno che, invece, per il nostro nemico è certamente un punto di forza.
In parole povere quindi non è superfluo sottolineare che in questi pochi chilometri quadrati si sta giocando tutta la nostra offensiva contro il nemico e che sono proprio queste 2-3 settimane di battaglia continua asserragliati in questa conca d' inferno che decideranno le sorti della nostra avventura africana .
Indubbiamente le truppe etiopiche, anche se appartenenti a popolazioni diverse, sono comunque bene armate, con armi di fabbricazione europea (belghe, inglesi e tedesche), al comando di ben 5 Ras decisi a tutto pur di salvare dall'invasione italiana i loro piccoli regni. Il territorio inoltre gioca a loro favore, visto che di esso conoscono ogni insidia e qualità. Perciò ogni giorno è uguale all'altro, con un correre da un punto all'altro del campo, sparando contro un nemico che diventa sempre più impalpabile .
Un mattino, ad esempio, vengo svegliato dal breve sonno da un sibilare di proietti di cannone provenienti dal lato sinistro del campo, i quali sfiorano quasi il tetto dell'ambulanza usata per il pronto intervento e per dormire. Allora, con un balzo felino salto fuori dall'automezzo, e mi riparo stendendomi per terra sotto un camion .
Subito dopo sento il Col. Zamboni gridare: “ Attenti ragazzi, ci attaccano dietro, sulla strada maestra !” (cioè dalla parte da cui siamo rientrati quei famosi 22 la sera della triste avventura) .
Allora ognuno si attacca alla propria arma e si fa fuoco all'impazzata, dando luogo ad un vero e proprio inferno causato da tutto quanto abbiamo a disposizione: carri armati, autoblindi, artiglieria d'ogni genere, bombe a mano, ecc...
Il finimondo dura un paio di ore, ma alla fine il nemico deve indietreggiare lasciando sul campo tanti morti, armi e munizioni .
Anche noi tuttavia abbiamo qualche perdita e tanti feriti, tra i quali ne ricordo uno in modo particolare perchè alla stranezza della ferita si è aggiunta anche l' ironia della sorte. Mi riferisco al caso di un palermitano, un certo Milano, il quale, non volendo esporsi alla morte sempre in agguato nelle perlustrazioni d'avanguardia in quanto sposato con figli, ha ottenuto dal suo concittadino Sergente maggiore l'autorizzazione a fare lavoro di fureria .
In questo parapiglia infernale, però, egli viene ugualmente colpito da una delle migliaia di pallottole sparate, in modo così strano che essa passa attraverso la bocca uscendo dall'orecchio destro. In seguito, dopo il mio rimpatrio in Sicilia, andrò a trovarlo ma, nonostante la pallottola non abbia interessato parti vitali, purtroppo gli arrecherà dei disturbi d'una certa gravità .
Tra le tante cose tristi della guerra ci sono purtroppo anche questi strani avvenimenti che segnano comunque la vita di chi vi partecipa anche senza ruoli primari, aggravati dalla lontananza dai propri cari in una regione angusta ed ostile, più volte sottolineato ed evidenziato anche dalle cartine topografiche qui annesse (vedi quella del capitolo VI) .
Si combatte perciò ininterrottamente giorno e notte per una quindicina di giorni, finchè il 22 Novembre arriva l'ordine di ripartire sempre in direzione Nord, e cioè verso la capitale etiopica Addis Abeba .
La prima importante località più vicina è Uondo, dove arriviamo a sera tarda, verso le ore 23, del 23 Novembre 1936.
Una volta scesi dai camion, io e l'inseparabile amico lucano Di Vita prendiamo una gavetta, vi versiamo dentro una scatoletta di minestrone e la riscaldiamo velocemte alla men peggio alla debole fiamma di un batuffolo di cotone imbevuto di alcool .
Ci dividiamo il contenuto e lo divoriamo con una tale voracità e soddisfazione che ancora a distanza di decenni ne è vivo il ricordo : merito della fame o delle circostanze particolari che fan sembrare eccezionali e meravigliose cose che in altri momenti sono invece normalissime o addirittura stomachevoli .
Finita la parca cena, la stanchezza ha il sopravvento e si crolla in un sonno ristoratore . Uòndo è una località posta a 2.500 metri s.l.m. ad oltre 200 km. da Iavello e 400 circa dalla capitale, in una zona fertile e boscosa sul versante del L. Margherita e a non grande distanza dalla testata del Ganale Doria e del Daua Parma .
La giornata del 24 Novembre trascorre nell'organizzare ed impiantare il nuovo accampamento e nel fare le solite cose di routine.
In definitiva vado convincendomi sempre più che non a caso questa Armata sia stata formata sostanzialmente da soldati provenienti dal sud dell’Italia , in quanto, per affrontare uomini come questi indigeni, sono necessarie doti di indomito coraggio, decisione, abitudine al sacrificio ed alle privazioni d’ogni genere .
Oltre al clima proibitivo, anche i vari aspetti del territorio che si sta esplorando e conquistando, sono indubbiamente realtà dure, pericolosissime e difficili da superare .
La Divisione Laghi, quindi, sta meritando un posto di primo piano in questa Campagna di grande dimensione per merito di ogni singolo soldato che sta dando il meglio di sé con abnegazione e coraggio .

Continua – 6
Le precedenti puntate sono state pubblicate nei numeri di: Gennaio-Febbraio, Aprile, Maggio-Giugno, Luglio e Agosto-Settembre 2006



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