New York e dintorni. Grattacieli e incontri con gente di casa nostra
Reportage di don Salvatore Falzone


7. Fra santi e grattacieli
Un aspetto interessante che mi piace segnalare è la devozione per il santo da Pietrelcina, Padre Pio, assai diffusa in America. La cano-nizzazione del frate cappuccino ha suscitato molta ammirazione presso le chiese cattoliche. Quasi ogni chiesa tiene una statua di san Pio da Pietrelcina. Come già per Antonio di Padova, molto venerato negli USA, anche di san Pio, la devozione si inserisce nel tessuto sociale del popolo americano: con un vantaggio, determinato dal fatto che i mass media hanno contribuito a mettere l’attenzione sulle tappe del pro-cesso di canonizzazione del santo, sui miracoli e guarigioni attribuiti a lui.
Un giorno ho celebrato la messa per il gruppo di preghiera dedicato a Padre Pio; è un santo molto venerato; forse speciale effetto della Provvidenza divina, dal momento che il padre del cappuccino da Pietrelcina s’è trovato emigrato a New York.
Altresì posso testimoniare per la “parrocchia italiana” di Our Lady of Mt Virgin dove è presente un gruppo di preghiera “Padre Pio”. In questa parrocchia operano numerose persone: nel bollettino parrocchiale sono riportati i loro nomi; ciascuno ha un’origine particolare, in senso etnico e sociale. Due persone italo-americane mi hanno aiutato a visitare New York e ad apprezzare la loro esperienza: Peter La To-na e Franco di Salvo. C’è molto chiasso a New York; di giorno e di notte è sempre viva, continuano gli affari, accade qualcosa. Ho visto centinaia e centinaia di persone accalcarsi al terminal Penn Station. È uno dei centri nevralgici di trasporto per coloro che provengono dal New Jersey o vi si dirigono. Molti lavoratori e impiegati rientrano a casa nel pomeriggio e verso le 7 cenano.
Una volta che gli americani si ritirano nelle loro case le città sembrano vuote; a parte New York e altre grandi città, in genere le strade si svuotano. Le case nelle cittadine piccole, fuori dalle metropoli, sono basse; sono pochi i condomini di 4-5 piani; in genere gli edifici pubblici come scuole ed ospedali hanno 2-3 piani. La sera a Garfield, come in altri comuni vicini, le famiglie si ritirano nelle case; là finisce il chiasso della metropoli. Le case inoltre sono circondate da un giardino, vi sono alberi e siepi intorno; diventano un corpo isolato; non si concepisce di uscire di casa per fare una passeggiata in strada o in piazza. Poche persone si vedono passare a piedi; bisogna allora darsi appuntamento in un locale per mangiare e bere. All’interno di una delle case di Lodi, Garfield, Clifton, Wayne o Rutherford… una persona potrebbe vive-re da eremita.
Durante la visita a Manhattan in bicicletta con Franco di Salvo è accaduto di fermarsi a vedere la chiesa St. Vartan Armenian Cathedral; accanto si trova la sede della diocesi degli Armeni d’America. Gli edifici sorgono in 630 second Avenue. All’interno della cattedrale ho nota-to un reliquiario a parete dove sono custodite venerati resti di armeni scomparsi durante l’olocausto del 1915-1918. È stato un momento di preghiera personale ispirata alla tragedia di un popolo cristiano perseguitato per motivi etnici e religiosi. Le vetrate della chiesa sono molto belle; l’edificio è realizzato in uno stile sobrio; nella sua eleganza austera m’ha ricordato quanto attualmente soffra l’Armenia dopo la disso-luzione dell’unione sovietica, il terremoto e i contrasti militari con i popoli vicini.

8. Profili religiosi
Nella confusione ordinaria della metropoli si può provare un genere di isolamento; la massa è immensa e avvolgente, i volti sono varie-gati, i profili etnici sono moltiplicati. Gli ambienti sociali sono molto estesi e diversificati; il lavoro è la ragione per incontrarsi e conoscersi; nel magma della folla si avverte la dispersione dell’individuo: possono passare ore senza che alcuno ti saluti. Times Square pullula di imma-gini pubblicitarie sui pannelli elettronici. Le immagini così cangianti e variopinte potrebbero rivestire anche i grattacieli. È un gareggiare di aziende che vogliono offrire l’immagine o il simbolo più accattivante e impressionante. Nel vortice delle persone di ogni razza e colore si può avvertire anche una tremenda solitudine. Ho visitato la metropoli anche da solo. Si ha questa netta sensazione di essere da soli, non posso dire però di essere isolato; tutte le volte che chiedevo informazioni o ero in difficoltà gli americani mi venivano in soccorso. In genere sono affabili e servizievoli.
Dal breviario dei sacerdoti cattolici si legge una pagina densa di spiritualità; sant’Ambrogio scrive così nel «Commento sui salmi». «Già il volto dell’uomo è come una luce per chi lo guarda. Da esso veniamo a conoscere uno sconosciuto o riconosciamo una persona nota. Chi mostra il volto viene per ciò stesso identificato. Se allora il volto dell’uomo è come una luce, quanto più non lo sarà il volto di Dio per chi lo guarda?» E la perfezione del cristiano infatti s’esprime nella supplica «risplenda su di noi, o Dio, la luce del tuo volto».
L’America non è indifferente sul piano religioso, come si crede; sono abbastanza religiosi gli Americani. La tragedia del World Trade Center è ancora una ferita aperta nella coscienza civile degli Americani; visitando il sito spiantato delle Torri Gemelle ho provato una certa commozione e turbamento: là ho pregato per i fedeli defunti. In quell’atto di guerra contro gli Stati Uniti sono morti molti civili e soccorri-tori. Intorno al sito hanno allestito dei pannelli che raccontano le fasi dell’attacco terroristico. Anche all’Intrepid Museum che ho visitato si trova uno stand che riguarda gli eroi del WTC. Ci sono state delle tappe che in forma di pellegrinaggio discontinuo hanno suscitato la preghiera e l’ammirazione per gli States: anzitutto la Cattedrale di St. Patrick: una prima volta sono entrato qui con Antonio di Gesù, una seconda volta da solo per cercare la tomba del servo di Dio Fulton Sheen, (1895–1979) arcivescovo di N.Y.C.. Ho conosciuto un poco questa figura attraverso le parole di ammirazione di un seminarista della diocesi di Newark. John Barno, prossimo a diventare diacono, è stato un ospite molto cordiale, esemplare e diligente. Gra-zie a lui, da un sito web sul servo di Dio ho ascoltato un commovente brano dell’arcivescovo; era un oratore appassionante, interveniva pe-riodicamente in radio e in televisione, ha scritto libri di edificazione morale.
Grazie a John Barno s’è realizzata la visita a Seton Hall University, dove si trova il Seminario diocesano di Newark; è stata vissuta con l’animo di conoscere e stimare altri ambienti di formazione religiosa e culturale. Là ho conosciuto il rettore e ho ricavato una immagine della vita dei seminaristi. Nella seconda visita alla cattedrale di St. Patrick di New York ho potuto visitare la tomba del servo di Dio. Almeno nella seconda visita grazie ad una guida ho ammirato le vetrate e le opere di scultura e architettura. La visita ha suscitato molta edificazione in me; ho notato che in genere è presente nelle chiese d’America una statua di sant’Antonio di Padova, una statua di santa Teresa di Lisieux e di san Giusep-pe. La prima santa che si ricordi come americana vera e propria è Elizabeth Ann Seton la quale si convertì durante un soggiorno in Italia al cattolicesimo; a lei si deve il sistema scolastico parrocchiale. L’università di Newark è difatti intitolata alla santa americana nata in N.Y.C. nel 1774. L’università è sostenuta dai vescovi e quindi dalle diocesi cattoliche. Il contesto religioso è però molto variegato; ci sono studenti di ogni religione, oltre che di ogni confessione cristiana. Così in tutti gli States. Ciò che colpisce è l’intensa e variegata convivenza sociale.
Durante la prima visita alla cattedrale di St Patrick insieme ad Antonio di Gesù mi sono trattenuto poco; con lui ho visitato il centro di Manhattan; da lui ho appreso qualche informazione sull’ebraismo americano; in un negozio della Virgin abbiamo trovato un’antologia di musica klezmer e la colonna sonora di West Side Story. Una sinagoga ho visto solamente a Philadelphia all’interno del Museo ebraico della Congregazione Mikveh Israel. A Philadelphia gli Ebrei sono presenti sin dalla fine del XVIII secolo.

9. Fra arte e spettacolo
Lo spettacolo, e i musicals in particolare, sono una vera passione per gli Americani. In America si respira una esplosione di vitalità e progresso, come la musica di Leonard Bernstein; vi trovo quel senso di vigore e di velocità che caratterizza la società americana. Insieme a John Barno abbiamo visto un musical a Broadway; siamo giunti a Manhattan in battello, abbiamo fatto una visita in midtown e dopo aver mangiato una pizza americana ci siamo diretti al teatro Minskoff. Il musical era Fiddler on the roof. È uno spettacolo molto celebre in America; l’ispirazione è presa dalle vicende di ebrei che perseguitati in Russia nei primi del ‘900 fuggono in America. La commedia musicale che io conoscevo per aver visto l’omonimo film, era interpretata abilmente da un Harvey Fierstein in ottima forma.
L’Intrepid Sea, Air & Space Museum è uno di quei musei che rivelano l’orgoglio e il senso di potenza che nutrono gli americani. Ho vi-sto là giovani e gruppi parrocchiali di bambini, gruppi dei boys scouts americani e veterani di guerra, turisti italiani e anche… 8 suore! Il Mu-seo ricorda un’impresa militare compiuta nell’autunno del ’44 nell’Oceano Pacifico. Si parlava molto degli attacchi kamikaze subìti; video, scenografie, voci e simulazioni di attacchi, erano approntati per dare più che un’idea di battaglie condotte contro l’impero giapponese che aveva invaso le Filippine. Da notare pure che fra i visitatori vi erano pure giapponesi.
C’è una forma di potenza che si manifesta nelle costruzioni; le grandi opere di ingegneria come i ponti di Manhattan e di Brooklyn la-sciano stupefatti; li ho attraversati in bicicletta insieme ad un amico, Franco di Salvo, che mi accompagnava in alcune escursioni. Osservare i materiali impiegati, seguire con l’occhio il disegno delle funi metalliche, superare i portentosi piloni che sostengono il ponte… Corrervi è un’esperienza esaltante; bisogna immaginare che i passaggi di accesso ai ponti si sollevano piano piano sopra i palazzi e che quando si giun-ge al punto più alto del tragitto si ha la sensazione di essere sospesi sul fiume. Allora lo sguardo di posa sulla città; i grattacieli sembrano al-zarsi in gara verso il cielo. L’esperienza dell’arte e dell’architettura americana si ottiene a N.Y.C., visitando almeno due grandi Musei: The Metropolitan Museum of Art e il Museum of Modern Art. I due musei sono molto grandi, il Metropolitan è più vasto e ricco di sezioni e collezioni. Al Metropoli-tan m’accompagnava Peter La Tona; è una persona appassionata di arte e ama conoscere e capire le forme moderne. Così abbiamo visitato le sezioni di pittura moderna e in particolare una mostra che si teneva in quei giorni sull’influenza che ha avuto in Matisse la confezione di tessuti e abiti del mondo arabo orientale. Mi sembra che non avvenga per caso una mostra del genere in un Paese che conduce una guerra in Medio Oriente. C’è una tendenza di far apprezzare ciò che è bello e accettabile della cultura e della società islamica.
La visita al Metropolitan è stato come uno sprofondarsi nell’arte classica e moderna; vi si può trascorrere una giornata anche solo curio-sando fra artisti che riproducono copie di opere d’arte, aggirarsi fra i vasti ambienti ben arredati o svagarsi nell’atrio ricco di statue dove pas-sa tanta gente di etnia, cultura, razza e fogge così variegate e caratteristiche.
Nell’altro Museo, detto comunemente MoMa, ci sono due piani di collezioni di pittura moderna; si va da autori dell’800 agli ultimi artisti del ‘900. Matisse, Picasso, Cézanne, Fontana, Warhol, de Kooning, Lichtenstein, Rothko, Pollock… sono solo alcuni degli artisti di cui si conservano numerose tele. Ho visitato pure una sezione di design, una mostra fotografica ed altri spazi espositivi. Si prova un senso di sgomento per i lavori della pop art e degli astrattisti; la materia, le linee e le forme sono, per così dire, sventrate: un taglio o una macchia sulla tela lasciano il segno dell’angoscia e del tormento. Si avverte una sorta di rovesciamento delle posizioni: l’uomo da creatura si fa Creatore. Si rovesciano i colori sulla tela, si manipola la materia nelle mani dell’artista… in cerca di una nuova Creazione.
(Viaggio in USA 4 - 26 luglio 2005)
Fine
(Le precedenti puntate sono state pubblicate nei numeri di )


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