Memorie d’Africa
(1.1.1936 – 4.10.1946)
decima puntata
di Giuseppe Scannella
Tra l’altro con mia grande meraviglia, dal momento in cui mi sono allontanato da Gimma, la febbre è scomparsa come per incanto, il che conferma quanto già detto prima e cioè che il tifo mi ha colpito a causa delle condizioni igienico-ambientali del posto.
L’Appuntato Licata mi fa fare una bella colazione e, dopo aver preso permesso ai suoi superiori mi accompagna in spiaggia; strada facendo cerco di soddisfare la sua curiosità come meglio posso e con molti particolari, raccontandogli tutte le mie vicende dalla partenza dall'Italia fino a questo momento, meravigliandomi della scomparsa repentina della febbre .
Egli allora mi raccomanda in questi 8 giorni di attesa di riprendermi il più possibile per riacquistare le forze perdute e mi consiglia di andare a pescare con lui tutti i giorni, cosa che io accetto volentieri di fare per il semplice motivo che la pesca è uno degli hobby da me preferiti .
Questi giorni volano letteralmente e così giunge la data di partenza; l'amico Licata mi da degli oggetti da portare ai suoi familiari, ci salutiamo ormai come due fratelli e m'imbarco sul piroscafo "Tevere". Come avviene in tutte le partenze si assiste a scene di commozione e di sventolìo di fazzoletti mentre lentamente la nave si allontana dal porto.
Dopo tre giorni di navigazione tranquilla giungiamo a Port Said, dove restiamo fermi per una diecina di ore, ed è proprio quì che verso le ore 14 del 31 Maggio 1938 mi succede un qualcosa di irripetibile.
Mentre sono intento a lavare dei panni, un arabo dietro le spalle attira la mia attenzione col mostrarmi un diamante; per convincermi a compralo per la modesta somma di 100 lire mi dimostra che è un diamante vero usandolo come un semplice tagliavetro; ma io, temendo che sia stato rubato e che quel tizio sia seguìto da qualcuno, rifiuto decisamente .
A notte inoltrata la nave riprende la navigazione e, dopo una giornata ancora di normalità, a sera tardi giungiamo nel porto di Brindisi, e sbarchiamo dalla nave. Pur essendo notte fonda, io assieme al gruppo che deve proseguire per la Sicilia ci avviamo subito verso la stazione ferroviaria. Percorsi però appena un duecento metri, non so per quale motivo, solo io vengo fermato dalla Dogana del Porto che mi invita a mostrare cosa reco nella valigetta, unico bagaglio in mio possesso. Me la fanno aprire e, non appena notano vari oggetti di per sé voluttuari (accendini, sigarette, caffè ed altro), pretendono spiegazioni plausibili .
La mia risposta è mostrare sui singoli pacchetti gli indirizzi di varie persone spiegando agli agenti ch, con l'occasione, sto portando dei ricordini dall’Africa alle famiglie di alcuni amici; per cui, essendo la motivazione lampante e convincente, vengo
lasciato libero di proseguire per la Stazione, dove però non trovo nessuno dei miei compagni di viaggio.
Dopo una ricerca di circa mezz'ora li trovo all’interno di un negozio di abbigliamento, ubicato proprio all’interno del corpo stazione intenti a scegliere dei capi da indossare; perciò, essendo vestito in stile coloniale, decido anch' io di acquistare un abito decente. Ne trovo uno che mi sta a pennello, me lo lascio indosso, pago il prezzo di 100 lire ed, essendo ormai ora di partire, ci avviamo tutti quanti al treno per Reggio Calabria .
Dopo un’intera giornata di viaggio, giungiamo in questa città a sera inoltrata e subito iniziano le manovre per il traghettamento. Verso le 2 di notte arriviamo a Messina, dove un impiegato dell'Ufficio Informazioni da me interpellato mi dice che il treno per Palermo partirà tra un paio d'ore appena. Preferisco allora attendere assieme agli altri compagni in sala d'aspetto dove ognuno racconta qualcosa sulla località di provenienza .
Al sentire che io vengo da Gimma, uno dei tanti astanti a noi del tutto sconosciuto, mi si avvicina e con fare turlupinatore cerca di farmi credere che anch' egli è passato da quella località e che adesso per sua fortuna è rientrato in questa meravigliosa città, rinnovata nei suoi palazzi ad incominciare dalla stessa Stazione Ferroviaria rimessa del tutto a nuovo.
Per provarlo mi invita con modi molto accattivanti ad andare fuori ad ammirare quanto da lui detto, al che, non intuendo le sue vere intenzioni, acconsento volentieri. Queste infatti si fanno ben presto evidenti quando usciti all'esterno della Stazione subito si avvicinano degli strani amici di questo personaggio che cercano di vendermi delle stoffe di vario tipo.
A questo punto allora, comprendo finalmente le mire di questi imbroglioni e con uno scatto repentino giro i tacci e velocemente rientro in Stazione recandomi di corsa al treno che, intanto, era lì lì per partire; infatti non passano neanche 5 minuti che con grande mia gioia il Capostazione da il via al conduttore .
E' facile immaginare come il sentirsi già nella propria Regione è motivo di grande emozione e gioia ma anche di ansia nel voler arrivare a destinazione il più presto possibile; al passaggio del controllore intanto chiedo quando e dove dovrò fare la coincidenza col treno per Agrigento; questi mi conferma quanto io immaginavo, e cioè che ci vorranno molte ore prima di arrivare a Termini Imerese dove dovrò scendere per prendere il treno proveniente da Palermo. Notata la gentilezza dei suoi modi gli chiedo il favore di avvisarmi al momento dell’arrivo, cosa che fa volentieri svegliandomi da un lungo sonno ristoratore.
A Termini Imerese, per fortuna non c'è da aspettare molto in quanto dopo circa una mezz'oretta giunge al 3° binario il treno che da Palermo è diretto ad Agrigento, linea sulla quale si trova la stazione ferroviaria di Sutera che è la più vicina e direttamente collegata al mio paese.
L’ultimo tratto di un viaggio che sembra interminabile, anche se dura poche ore, sembra in effetti un'eternità; non mi sembra l’ora di arrivare, per cui, quando il treno si ferma alla stazione di Sutera, con un balzo scendo e salgo sulla corriera in attesa di prelevare i passeggeri provenienti da Palermo.
Così finalmente dopo gli ultimi penosi 20 minuti, verso le 8,30 di questo tanto sognato 4 Giugno 1938 rimetto piede sulla piazza di Campofranco, paesino piccolo ed insignificante quanto si voglia ma pur sempre il mio paese natìo!
CAP. XV
ANCHE IN SICILIA UNA CASA NUOVA
La gioia di trovarmi dopo tanto tempo e tanta peripezie di nuovo nel mio tanto amato paese è indescrivibile, per cui la prima cosa che mi vien da fare è quella di andare subito a ringraziare il buon Dio che mi ha dato ancora una volta l’opportunità di rivedere la mia Terra ed i miei cari .
Entro perciò nella Chiesa Madre, culla della mia passata gioventù, mi inginocchio e con rinnovato fervore assisto alla S. Messa in via di celebrazione, ringraziando il Padre Eterno per avermi data l'opportunità di ritornare sano e salvo da una guerra insidiosa e difficile .
Al termine della sacra celebrazione, è facile immaginare la gioia dei presenti e dell'Arciprete Don Giuseppe Randazzo nel vedermi quì con loro; saluto tutti caramente, passo a salutare anche il caro Padre Don Giuseppe Vitellaro, e mi accomiato subito per andare dai miei cari.
I 200 metri circa che separano la Chiesa dalla mia casa vengono letteralmente divorati, anche se l'incontro continuo per strada con amici e conoscenti ne ha allungato i tempi; giunto comunque a casa è facile immaginare quanto siano stati lunghi, commoventi e forti gli abbracci e baci scambiati con la mamma Ninfa, con papà Vincenzo, con le sorelle Maria e Giovanna, e con tutti gli altri parenti e vicini.
Cessati momentaneamente i convenevoli, viste le personali condizioni igieniche molto precarie, chiedo a tutti quanti la cortesia di uscire di casa per potermi dare una pulita grossolana e cambiarmi i vestiti, onde poter essere più presentabile .
L'esigenza di far uscire fuori dall'abitazione tutti i famigliari è data dal fatto che, essendo la maggior parte donne e disponendo di un solo locale piccolo, angusto e fatiscente, non posso spogliarmi e lavarmi davanti a tutti .
Terminate queste operazioni, vengo tartassato di domande d' ogni genere sugli avvenimenti succedutisi in Africa, su tutto ciò che sono riuscito a realizzare a Gimma, su Gasperino (è così che in famiglia chiamiamo il mio fratello Gaspare), sui viaggi e su tante altre cose.
Il racconto e le relazioni su queste cose non cessa neanche durante il pranzo né tanto meno dopo, visto che ininterrottamente fino a sera la casa è sede di un via-vai continuo di compaesani avvertiti del mio arrivo in paese e delle tante interessanti avventure passate .
L'indomani con maggiore calma passo a trattare con maggiore serenità delle case costruite a Gimma, dell'avviatissima attività commerciale e del capitale finora accumulato valutabile in qualcosa come 225.000 lire in tutto, tra ciò che possiedo in Africa e le circa 25.000 lire che ho portato con me .
A questo punto allora, il mio papà prende la palla al balzo e mi suggerisce di acquistare i locali del 1° piano sopra la nostra casa, visto che sono in vendita: ben due sorelle sono in età da marito e l'attuale casa è un vero e proprio tugurio sia per ristrettezza d'ambiente che per condizioni murarie .
Ad un tal discorso, visto che il nostro ambiente familiare è stato sempre legato ad attività di muratori (il papà è infatti uno dei più bravi dell’intera zona), di lavoratori di cava (io facevo lo scalpellino prima di partire per l’Africa), ed in genere legate alla realizzazione di edifici, consiglio subito di fare un calcolo approssimato delle spese di acquisto e delle eventuali successive opere di riparazione di tutti i locali .
In effetti, sono tante le modifiche ed i miglioramenti da fare sia alle strutture perimetrali che a quelle interne, ad incominciare dalle volte a vela che appesantiscono notevolmente la costruzione, togliendo luce e aria all'ambiente .
Un calcolo sommario consiglia una decisione positiva, per cui partendo dal presupposto che il denaro portato con me è più che sufficiente a realizzare il tutt, si decide per il sì e quindi si contatta immediatamente lo zio Paolino Mazzara (è bene ricordare che dalle mie parti, si usa zio con lo stesso significato di signor). Questi è uno dei più noti affaristi della zona in campo edile ed ha la fama di essere anche valido intermediario in contratti di compra vendita d’immobili .
Pertanto, egli avverte della richiesta tutti gli eredi interessati alla vendita dell’immobile, con i quali, una volta tutti d' accordo, si fa subito il compromesso di compra-vendita; dopo alcuni giorni passiamo dal Notaio Vaccaro di Sutera per stipulare il regolare atto notorio .
Superate queste prime importanti tappe, passiamo ad un dettagliato preventivo delle spese di riparazione ed alla scelta degli addetti ai lavori da realizzare; questi purtroppo si rivelano ben presto ingenti e di vasta portata per il semplice motivo che ad ogni picconata viene giù tutto un muro o tutto il tetto .
Pertanto è inevitabile passare ad una quasi completa demolizione di tutto l'edificio, possibile fortunatamente grazie alla somma di denaro portata dall’Africa, in verità molto ingente per questi tempi. A tal proposito non dimenticherò mai ciò che il commerciante di tessuti Daniele Favata, alla vista di tutte queste macerie, un giorno davanti a tante persone si lascia sfuggire di bocca: “Se Peppe (cioè io) ha portato con sé un bel po' di soldi, allora ci credo che potrà costruire la casa, altrimenti ci potrà solamente mettere le pecore di Pio”.
Egli allude a quel Pio D’Agrò che è l'unico pecoraio della nostra zona, visto che la maggior parte di essi hanno i recinti con gli ovini nella parte alta del paese chiamato appunto” Rione delle Mandrie" .
In effetti, ad onor del vero, in un momento di grandi difficoltà economiche in cui versa tutta la Nazionesfiancata dalle enormi spese per la guerra, è molto difficile trovare un cittadino qualsiasi che ponga mano ad un’opera di tali proporzioni senza rischiare grosso; ma nel caso mio una somma di ben 25.000 lire rappresentano un vero e proprio capitale che pochissimi possono vantarsi di avere.
Perciò i lavori proseguono più o meno regolarmente, con qualche caso di intervento personale diretto, nell’intento di dimostrare agli operai addetti non solo che la nostra famiglia è del mestiere e quindi sappiamo come eseguire al meglio il lavoro, ma specialmente che certi lavori vanno eseguiti in un modo anziché in un altro.
In particolare alludo al fatto che, ad esempio, ho dovuto realizzare da me la scala che porta al 1° piano, dopo che per ben due volte il muratore a ciò preposto mi ha sbagliato tutto; oppure più di una volta ho dovuto strappare con irruenza dalle mani dell’operaio l'attrezzo usato per abbattere un pezzo di parete, prendere la mazza da 6 chili e con energia e determinazione fargli vedere come si lavora, visto che i suoi colpi sembravano essere rivolti al proprio stomaco .
Per tutta questa serie di motivi, i lavori dunque si rivelano molto lunghi e ricchi di sorprese, al punto che, contrariamente ai pochi giorni previsti, stiamo arrivando alla festa del Santo Patrono - San Calogero (ultima domenica di Luglio) - e c'è tutta la probabilità ch'essi non siano ancora terminati.
CAP. XVI
E' ORA DI PENSARE A SPOSARSI
Intanto un ulteriore problema, di tutt’altra natura, si profila all’orizzonte: il matrimonio .
Infatti mentre fervono i lavori per la ricostruzione della casa, durante uno dei tanti discorsi di famiglia, qualcuno dei miei fa osservare che la mia età ormai è tale che non posso più portare alle lunghe la decisione di metter su casa, nel senso che è giunto ormai il momento di pensare al matrimonio con una delle tantissime ragazze che in paese sono in età da marito.
In effetti anch'io vorrei approfittare della circostanza per risolvere anche questo problema che sicuramente rappresenta uno dei più importanti nella vita di un uomo.
Perciò ne approfitto per comunicare ufficialmente ai famigliari la vecchia decisione di sposare la vicina di casa, Nannina dello zio Pietro Termini, alla cui madre avevo già esternato le mie intenzioni la sera prima di partire per l'Africa.
Comprendo subito, però, che una tale notizia non è accolta tanto entusiasticamente in famiglia, ma nessuno per il momento osa contraddirmi, finché un giorno il mio papà mi chiama in disparte e mi fa a tal proposito un discorso a quattr'occhi .
Con tono pacato ma perentorio, reso più austero dal quel suo portamento che lo fa assomigliare ad una personalità politica simile a quella di Francesco Crispi, egli così parla: “Caro figlio, in verità ci sono due buone ragioni perchè tu abbandoni l'idea di sposare Nannina: la prima, perchè quando i suoi avevano la panneria (il negozio di stoffe) avendo noi preso a credito un paio di lenzuola, ci hanno fatto la brutta azione di chiederci il pagamento per ben due volte; la seconda ragione, perché, nel desiderio di farti accasare con un buon partito, io ho pensato alla figlia dell'appaltatore Paolino Mazzara, la bella Margherita, alla quale tra l'altro ho dato già la mia parola”.
Ad un tal discorso io allora rispondo che non se ne fa niente, per cui, essendo su due posizioni contrapposte, la discussione viene troncata lì senza che nei giorni seguenti se ne parli ulteriormente .
Tuttavia, però, mortificato nei miei sentimenti più intimi, l'indomani non posso fare a meno di andare a sfogarmi dalla zia Maricchia (sig. ra Maria) Infanti che abita in Via Lo Re, dato che sono molto legato alla sua famiglia ed in particolare al figlio Giuseppe, tanto che farò da compare al suo matrimonio.
Comunque nei giorni successivi nessun discorso più vien fatto al riguardo, anche perchè siamo troppo presi dai lavori di finitura della casa.
Un giorno però, verso le ore 13, mentre sto per riposarmi, mi si presenta mia cognata Antonietta, la moglie di Gaspare, riferendomi che i famigliari, vista la mia irremovibilità, acconsentono alla dichiarazione di matrimonio per Nannina, per cui adesso finalmente posso decidere da me sul da farsi .
Perciò scatto subito in piedi, e vado a chiedere all’amico Giuseppe Infanti se mi accompagna alla Montecatini dove lavora ed abita lo zio Pietro Termini per parlargli della proposta di matrimonio con la sua figlia. Ricevutane risposta affermativa, vado a chiamare in casa mio nipote Vincenzo (il figlio della mia sorella Marianna), e tutti e tre scendiamo a valle dove presso la fabbrica di acido solforico della Montecatini, attigua alla Stazione ferroviaria di Campofranco, lo zio Pietro svolge le mansioni di Capo Ufficio.
Vi giungiamo intorno alle 15,30 e una volta entrati in fabbrica, veniamo accompagnati nell'ufficio desiderato, dove lo zio Pietro mi chiede subito qualche breve notizia sulla vita africana e del perchè di questa visita.
Perciò dopo gl’inevitabili convenevoli, intuendo si tratti di una cosa seria, egli mi accompagna fuori e mi chiede di parlare apertamente senza mezzi termini, cosa che io immediatamente faccio usando le seguenti parole: “Essendo molto legato sentimentalmente a sua figlia Nannina, prima di partire per l'Africa ne ho chiesto la mano a sua moglie, con la promessa che ne avrebbe discusso con lei; orbene, io in Africa ho realizzato una vera fortuna con un capitale stimabile intorno alle 200.000 lire, per cui adesso vorrei anche sposarmi senza pretendere alcunché di quanto le usanze del paese impongono alla famiglia della sposa; anzi, a tal proposito, dato che son venuto a sapere che la vostra casa del paese è ipotecata, io la riscatto in modo che voi possiate tornare ad abitarvi”.
Ad un tal discorso lineare e deciso, egli innanzitutto risponde che finora non sapeva nulla della cosa, e poi si accomiata da me promettendomi una risposta dopo averne parlato con i famigliari. Di tutta la discussione metto al corrente mio compare Giuseppe sulla strada del ritorno, ed i miei familiari al rientro a casa, restando quindi nell'attesa della risposta. I giorni intanto passano come già detto impegnati nel proseguimento dei lavori, che, per la vetustà eccessiva delle strutture preesistenti, si protraggono oltre il previsto.
Finalmente un giorno si presenta il signor Salvatore Restivo (lu zì Turiddu Grancasciere) che reca la risposta negativa alla mia richiesta di matrimonio con Nannina
La causa di tale diniego sta nel fatto che, durante la lunga mia assenza dal paese, il sig. Termini ha subìto lo sfratto dalla casa dove la sua famiglia numerosa abitava; pertanto si è dovuto adoperare per trovare un posto di lavoro onde sfamare la famiglia. Trovato questo lavoro d'impiegato alla Montecatini, questa gli ha messo a disposizione una palazzina, e così vivendo nei pressi dello stabilimento la figlia ha conosciuto nel frattempo un ragioniere che le ha fatto la corte, dimenticando quanto promesso a me prima della partenza dalla Sicilia. Per la qual cosa, anche se a malincuore, devo purtroppo rassegnarmi dinanzi alla mutata situazione, ma la vicenda incomincia a prendere una piega piuttosto antipatica per via della divulgazione di notizie sul mio conto che avrebbero dovuto restare del tutto riservate.
Infatti tutto il paese in breve tempo viene a conoscere le mie invidiabili condizioni economiche e ne vedono anche le prove nelle spese di acquisto, abbattimento e ricostruzione della casa. Perciò, con le precarie condizioni di vita di un paesino dell'entroterra siciliano, dove l’unica fonte di reddito è costituita dal lavoro saltuario e mal pagato nelle vicine miniere di zolfo, io rappresento indubbiamente un partito di tutto rispetto per le numerose donne in età da marito che vogliono accasarsi decentemente. Ben 28 messaggerìe di matrimonio mi pervengono in breve tempo, al punto che stanco e stufo decido di tornarmene immediatamente in Africa abbandonando l’idea di prender moglie .
Tuttavia però, mentre cerco di districarmi in questa giungla di interessi, accade un fatto apparentemente insignificante ma che dà origine a tutta una serie di avvenimenti che porteranno alla rapida e felice conclusione di questo problema .
Un giorno, mentre mi trovo in casa della mia sorella Marianna, entra un’ostetrica di Sutera, la sig.ra Giuseppina Burruano, venuta per farle una puntura; mentre si trovano entrambe dietro il séparé, l'ostetrica viene a sapere che io sono suo fratello venuto dall’Africa per prender moglie e che fino a questo momento non ho trovato ancora una ragazza adatta. Infatti Marianna, da brava sorella, insiste nell’elencare le mie doti, le mie capacità e la mia religiosità, la disponibilità economica e la casa realizzate in Etiopia, per cui è necessario che la ragazza da darmi in sposa dovrà essere all’altezza della situazione. La sig.ra Burruano si dichiara prontamente disponibile e, prima di andarsene, mi suggerisce di tornare l'indomani da mia sorella a prendermi la risposta.
Il mattino dopo Marianna mi da una lettera dell'ostetrica indirizzata alla sua mamma, anch'essa ostetrica in Sutera, da porgerla direttamente a mano da me in persona. Perciò nel pomeriggio, verso le 17, dopo aver parlato della faccenda ai miei, con il solito mio nipote Vincenzo ci avviamo per Sutera prendendo la ripida scorciatoia di circa un chilometro e mezzo che passa davanti al serbatoio dell'acqua per il paese e per il piano della Vittoria .
Dopo appena una ventina di minuti arriviamo alla casa della madre della signora Burruano alla quale ci presentiamo con la lettera della figlia; lei la legge, ci invita a entrare e, mentre ci accomodiamo, con una sua nipotina manda a chiamare la signora Di Prima Sebastiana soprannominata in paese "la Pulera", che abita ad un centinaio di metri da lei.
La signora Sebastiana, pur non immaginando affatto di che si tratta, si affretta ugualmente a venire, ed una volta entrata viene messa al corrente del fatto che io sarei interessato a conoscere la figlia Calogera per eventuale matrimonio, per cui è opportuno che la vada a chiamare per presentarmela. Questa signora, vedova da tempo del marito Stefano, ha quattro figli: due maschi e due femmine. In ordine d’età sono :
- Giuseppina, sposata con il macellaio Pardi Angelo;
- Lillina (cioè, Calogera), 29 anni;
-Totò (cioè, Salvatore), Appuntato di Finanza ma ancora scapolo;
-Mimì (cioè, Michelangelo), 22 anni, anch’egli scapolo.
Mimì e Lilla, non essendo ancora sposati, vivono con la madre in casa, dove, fino a non molto tempo fa, avevano nella centralissima Via Roma un’osteria nella quale anch' io mi recavo a mangiare qualcosa tutte le volte che venivamo a fare dei lavori in Sutera. Tale esercizio in verità aiutava questa famigliola di medio ceto a vivere decorosamente e in modo stimato da tutto il paese e dalla vasta parentela, visto che da tempo era venuto a mancare il capo famiglia e con lui una possibilità di lavoro.
La signora Di Prima quindi torna speditamente a casa e mette subito al corrente della cosa la figlia interessata; questa con piglio deciso così le risponde:
“Io da casa non mi sposto; chi mi vuol conoscere venga qui!”
Dati i tempi e l'ambiente tipici dell'entroterra siciliano, è facile comprendere come queste schermaglie rappresentino i modi e la mentalità caratteristici di una cultura secolare che spesso non trova facile giustificazione ma che comunque si basa su convinzioni e modi di essere molto radicati e profondi.
Le signore allora decidono di accorciare sensibilmente le distanze, invitandoci ad andare in casa del figlio della signora Burruano il quale abita proprio accanto alla famiglia Di Prima. Qui troviamo un po' di subbuglio per via di lavori di muratura in atto che, guarda caso, vengono eseguiti da un mio conoscente col quale subito mi saluto e mi abbandono ai soliti convenevoli. Alle sue domande sul motivo di questa mia venuta, io succintamente lo metto al corrente della vicenda, al che con tono quasi solenne mi assicura che la ragazza è senz'altro oltre che virtuosa anche bella. Io ne gioisco in cuor mio ma mi dichiaro miscredente; quindi lo saluto sottolineando che la cosa migliore è poter confermare di persona quanto gli altri dicono. All'ulteriore rifiuto della giovane a spostarsi nella casa accanto, si decide di spostarci noi per andarla a conoscere direttamente a casa sua; e così, si ripete la "processione" di prima: davanti la signora Sebastiana seguita dalla Burruano, dietro io ed infine mio nipote usciamo da una porta ed entriamo in quella accanto .
Appena entrati, salutiamo augurando la buona sera e veniamo invitati a proseguire nella stanza successiva, in quanto più appartata della prima che da sulla strada. Subito i nostri sguardi si incontrano, scrutando intimamente nei nostri più reconditi sentimenti e subito fin dal primo istante ci facciamo simpatia: un vero e proprio” colpo di fulmine" .
Una volta accomodati prendo subito la parola dicendo: “Visto che sono contento della conoscenza vorrei che il fidanzamento duri il più breve possibile, in quanto è mio desiderio sposarmi al più presto per poi ripartire per l’Africa dove mi attendono un negozio ben avviato e gli affari che vanno a gonfie vele; perciò la lontananza mi arreca perdite di un certo rilievo che non posso permettermi”.
La signora Di Prima allora risponde con molto garbo, chiedendomi almeno un 3 - 4 giorni di tempo per poterne parlare con i parenti e dare una risposta decisiva .
CAP. XVII
ECCO FINALMENTE L'ANIMA GEMELLA
Il 10 Luglio 1938, verso le 10,30 salgo a Sutera con naturale trepidazione per la risposta, la quale, essendo positiva, mi da un certo fermento ed una nuova voglia di realizzare il futuro. Incomincio così coll'apprendere il nome di quella che sarà la compagna fedele e laboriosa della mia vita, che mi darà dei figli sani e affettuosi, che dividerà con me ansie, gioie, dolori e soddisfazioni per quasi 60 anni. Mi dichiaro subito contento del nome Calogera che è lo stesso del Santo Patrono del mio paese che si festeggerà l'ultima domenica di questo mese per ben 4 giorni consecutivi. Incominciamo intanto a darci le prime confidenze parlando delle aspirazioni e dei progetti relativi alla vita ed alle attività commerciali di Gimma.
Giunta l'ora del pranzo io e mio nipote Vincenzo ci apprestiamo a rientrare a casa nostra, ma le insistenze della signora Di Prima sono tali che ci convincono alla fine a condividere con loro il pranzo; al termine però sottolineo l'urgenza di portare la notizia ai miei famigliari che aspettano, promettendo comunque di rivederci l'indomani.
In pochi minuti copriamo quel chilometro e mezzo di mulattiera in discesa, e così metto al corrente di tutto i miei famigliari, invitando i miei genitori a salire uno dei prossimi giorni a Sutera per parlare dei preparativi al matrimonio secondo le usanze dei due paesi. Si stabilisce così questa data in base alla disponibilità della corriera, visto che il servizio pubblico tra i due paesi vicini non viene assicurato tutti i giorni ma solo nei giorni feriali. Intanto, durante la settimana faccio la spola tra Campofranco e Sutera per conoscere meglio la fidanzata, avvertendola della data in cui i miei genitori andranno a conoscerla.
Il giorno stabilito, io ed i miei genitori saliamo a Sutera e ci presentiamo in casa della mia prossima suocera: io entro per primo, dietro la mia mamma ed infine il mio papà; alle presentazioni seguono abbracci e baci da ambo le parti, dopo di che ci accomodiamo .
Mio padre subito apre il discorso ricordando con piacere le volte in cui, assieme al suo amico Rosario Maniscalco, è venuto in questa casa quando avevano la bottega di vino, cosa che è confermata con soddisfazione dalla mia suocera. Si passa quindi alle cosiddette trattative secondo un modo di fare ormai inveterato tipico dei nostri paesi dove, ad esempio nell'uno - cioè nel mio - la sposa deve portare al marito dote e casa, mentre al contrario a Sutera è il marito che porta la casa; e cose di questo genere.
Le discussioni in merito però vengono subito troncate dal mio intervento che, rivolto alla prossima suocera, non ammette replica in quanto esplicitato in modo perentorio :
“A me non importa nulla di ciò che darà in dote; io non sposo la dote ma la sua figlia; a me interessa lei e basta! Al resto penso io!”
E così mentre lascio continuare a parlare i genitori di entrambi, mi intrattengo con la fidanzata, incominciando col chiederle se è contenta di me e dei miei; la sua risposta affermativa mi lusinga e ci porta subito a parlare di progetti per il futuro. Prima però di accomiatarci le rivolgo un caloroso invito a venire a Campofranco per la prossima festa di S. Calogero in modo che possa anche vedere la nuova casa che stiamo ultimando .
I circa 10 giorni che ci separano dalla festa passano velocemente; la domenica di S. Calogero verso le 10,30, vestito elegantemente per l'occasione, vado ad aspettare la fidanzata ed i suoi all’ingresso del paese che, per chi viene dal Sutera, è rappresentato dalla “Figurella di San Calogero”, cioè da un'edicola contenente una statuina del Santo Patrono realizzata in tempi passati dalla pietà dei Campofranchesi che spesso si recano nel paese vicino spinti dal bisogno di lavoro. Lilla, Mimì e la loro mamma arrivano puntuali; dopo i saluti ci avviamo verso la mia casa che dista da questa periferia del paese un 800 metri circa; qui troviamo tutti i miei famigliari indaffarati a preparare le pietanze per l'occasione.
Dopo le reciproche presentazioni, per consentire ai miei familiari una maggiore libertà di lavoro e per far conoscere come sia venuta bella la nuova casa, accompagno gli ospiti nella visita dei locali dell'abitazione.
Stupore e meraviglia si legge sui loro visi e nelle loro espressioni quando, contrariamente a quanto i Suteresi pensano di Campofranco, ammirano un panorama stupendo dal balcone realizzato sul lato Nord dell’ultimo piano. Infatti, se per Sutera è indiscussa la panoramica eccezionale a causa dell’altitudine cui è sita (600 m.s.m.), per Campofranco che giace in una conca non era pensabile si potesse godere di una così stupenda vista: la Valle del Platani con il caratteristico Ponte di Ferro su cui passa la ferrovia; i paesi di Casteltermini, di Cammarata dominata dal Monte omonimo che con la sua vetta di 1.500 metri sovrasta tutta la valle; infine una meravigliosa corona di monti dentellati dalla sagoma inconfondibile impressa ormai nella memoria di chi da questi luoghi si allontana.
Terminata la visita della casa, si scende per il pranzo che nel frattempo è già pronto; dopo esserci lavate le mani, si benedice in piedi la tavola con le solite preghiere, ci si augura un buon pranzo e si procede a quello che in Sicilia è un rito millenario: il compiacimento nel gustare i cibi preparati con sostanze naturali e con ricette millenarie. Il pranzo viene consumato chiacchierando del più e del meno, finchè non prendo il discorso sulla data da fissare per il matrimonio .
Ormai questi giorni intercorsi fino ad oggi sono stati sufficienti per conoscerci da ambedue le parti; sia io che Lilla siamo contenti l'un dell'altra, per cui urge stabilire il giorno preciso delle nozze in modo da avere il tempo necessario per i preparativi che in circostanze del genere sono sempre molti e di vario genere.
In base ai miei calcoli, propongo una data nei primi di Settembre; mia suocera si dichiara sostanzialmente d' accordo ma ha bisogno di un paio di giorni per comunicarmi la data precisa di suo gradimento. Terminato il pranzo, parenti e vicini vengono a conoscere la mia fidanzata e non possono fare a meno di congratularsi con me per la buona scelta, cogliendo anche l’occasione per rivolgerle gli auguri di Buon Onomastico.
L’ultima domenica di Luglio, come già detto, rappresenta per Campofranco l'apice di una festa che dura dal Venerdì precedente fino al Lunedì seguente inclusi; è la festa più attesa e più sentita sia dal punto di vista organizzativo e di piacere che da quello religioso. Il Paese, sostanzialmente povero, con scarse attività in campo agricolo, pastorizio, minerario, attende questa occasione per dimenticare le fatiche e gli stenti per sopravvivere abbandonandosi per pochi giorni alle feste, ai giochi ed all'acquisto anche di beni che in altri periodi dell'anno non è possibile avere se non andando in città.
E così si acquistano abiti, scarpe, arnesi di lavoro, recipienti per l'acqua (le caratteristiche giare, quartare, bùmmuli, lemmi, fangotti, che altro non sono se non anfore o grandi recipienti in terra cotta di varia forma e grandezza), e quant'altro serve per la casa e la persona.
Associati a tali acquisti di prima necessità, altri se ne aggiungono con l'occasione: gelati, gassose, meloni di tutti i generi - da tavola; rossi; "profumati" - frutta, giocattoli, ecc..Anche l'aspetto religioso è molto sentito, al punto tale che la statua del santo dal viso nero, in quanto proveniente dalla Turchia, viene portato in processione per le vie del paese a spalla da persone sì devote che litigano per avere questo privilegio. Inoltre, fin dalle primissime ore del mattino, già alle 4 arrivano dai paesi vicini vere e proprie carovane di devoti molti dei quali a piedi scalzi; essi recano offerte in natura (frumento, animali) da offrire al Santo come ringraziamento per grazie ricevute ovvero per perorarne l'aiuto dal Cielo .
Nella chiesa di S. Francesco, punto di riferimento per tale festività, si alternano in questo giorno scene commoventi, che si ripetono con modalità diverse anche durante le processioni: la prima, snodandosi per le vie del paese intorno a mezzogiorno trasferisce la statua taumaturgica da questa chiesa alla Chiesa Madre; la seconda, nel pomeriggio per rifare il percorso inverso. I più devoti si muovono a piedi scalzi, e durante le cosiddette "posate", la statua viene poggiata sull'apposito piedistallo per consentire non tanto un po' di riposo ai portatori quanto specialmente per distribuire dall'alto i grossi pezzi di pane staccati dai Pupi di S. Calogero, cioè da enormi pani dalla foggia umana che secondo le promesse fatte dal devoto al Santo possono raggiungere persino le dimensioni di un ragazzo. Inoltre durante le posate vengono immesse in un’apposita urna di vetro biglietti di valute di varie nazioni, in particolare dollari di emigrati campofranchesi in America. Caratteristico a tal proposito è anche vedere un lungo e largo nastro pendente dal braccio destro della statua che mette in bella mostra i biglietti di denaro che i devoti offrono in questa festa. Data quindi tale circostanza, mi pare doveroso e interessante far vedere qualcosa di tutto questo alla mia fidanzata; e per prima cosa ritengo irrinunciabile andare nella Chiesa Madre a pregare sia il Signore che il Suo fedele Servo S. Calogero, perchè benedicano la nostra unione assicurandoci aiuto e assistenza nei tristi momenti della nostra futura vita coniugale. Fatto poi un giretto per la piazza e la via principale, torniamo a casa dove mia suocera e Mimì aspettano il nostro rientro per tornarsene a Sutera; mia sorella Marianna a questo punto ci invita a fermarci qualche minuto a casa sua per dovere di ospitalità e così, mentre loro si accomodano, io faccio un salto a comprare un melone rosso (anguria) di oltre 8 chili, suscitando così la loro meraviglia in quanto difficilmente se ne vedono di così grandi a tavola. Li accompagno quindi al punto dove al mattino ci siamo dati appuntamento, li saluto affabilmente e ci scambiamo un bel "arrivederci" .
L'indomani salgo ancora a Sutera e, mentre si parla del più e del meno, Mimì va a chiamare un loro parente sacerdote, Padre Mariano Di Prima, il quale non appena entra non può trattenersi dalla gioia di rivedermi dopo tanto tempo di lontananza dalla Sicilia. Infatti è con particolare soddisfazione ch'egli fa presente come la mia attività all'interno delle A.C.L.I. mi ha portato in passato ad operare assieme a lui in modo attivo e proficuo.
Mentre la mia suocera ci prepara un bel caffè, noi parliamo del più e del men, del come e perchè di questo fidanzamento, dell'Africa, del clero di Campofranco, e di tante altre cose che incuriosiscono ed affascinano anche Lilla. Ad un certo punto Don Mariano si alza scusandosi del tempo rubato alla nostra intimità e ci lascia dopo un bel caloroso abbraccio; noi così continuiamo nei nostri discorsi che sono sempre tanti e interessanti a causa della brevità della nostra conoscenza.
I giorni dunque passano in fretta facendo la spola tra Campofranco e Sutera, nel piacere di sentirsi finalmente legati a qualcuno cui ogni giorno sempre più ci si affeziona, provando la gioia dei sentimenti e dell’affetto, sognando quello che qualsiasi coppia di fidanzati maturi ritiene come traguardo da raggiungere. Ogni giorno che passa, il futuro ormai viene da entrambi visto più sereno in quanto saremo in due ad affrontare la vita quotidiana; insomma crescono ogni giorno sempre più l'affiatamento, la conoscenza reciproca, l'amore dell'un per l'altra e viceversa. Ma una grossa nube si addensa sulla nostra incipiente unione; l'invidia o chissà cos'altro viene ad interrompere bruscamente ed amaramente questa gioia che cresce di momento in momento nei nostri cuori. Infatti, un giorno mentre mi trovo in casa di Lilla, vedo arrivare ansimante mio nipote Vincenzo con l'incarico di farmi tornare immediatamente a casa per un qualcosa di urgente e grave che mi riguarda. Egli lì per lì sostiene di non saper nulla in merito ma, strada facendo dietro insistenza, mi confida che il motivo risiede in una lettera anonima indirizzata al mio papà, diffamatoria dell'onestà della mia fidanzata.
Scosso e intimamente turbato per una siffatta notizia, giungo a casa con i nervi a pezzi chiedendo il perchè di tale chiamata; mio padre allora mi mette nelle mani la lettera di cui tuttavia non conosco ancora il contenuto. La leggo con frenesia e man mano che vado avanti sento il sangue ribollirmi dentro per le sconcertanti calunnie miranti ad infangare la serietà e la correttezza della mia donna. La mia prima osservazione quindi è di stupore ma anche di rabbia, ricordando a mio padre che ha praticato casa Di Pirma come non sia mai venuto a galla prima di ora alcunchè di così ignobile .
Tuttavia egli assicura che, per quanto gli è dato sapere, la famiglia della fidanzata ha sempre goduto di molto rispetto, ed una simile calunnia è sicuramente frutto d'invidia o di rancore da parte di qualcuno che ce l’ha con loro. Convinto da tali considerazioni, con la lettera in tasca decido di tornare subito a Sutera per trattare della cosa a caldo, visto che tra l'altro le ho lasciate in asso.
Il ritorno sembra somigliare a quello di Renzo Tramaglino quando si reca nervoso dall’avvocato Azzeccagarbugli: la salita sembra non esistere a causa del misto indescrivibile di nervosismo, rabbia, trepidazione, perfino anche dubbio. Giunto in casa di mia suocera, visto che sono ormai le 12,30, accetto volentieri il loro consiglio di pranzare prima di parlare della faccenda; così, terminato il pranzo estraggo di tasca la lettera e la leggo, sottolineando le frasi più calunniose ed offensive. La destinataria delle offese, Lilla, si mette a piangere; mia suocera allora, pur essendo turbata sensibilmente, risponde subito così: “Noi conosciamo già la provenienza di tale lettera! Nell’attiguo rione di S. Giovanni, vicino la chiesa, ci abitava un giovane che adesso fa il Finanziere; questi è da tempo che fa la corte a Lilla, e l’unico modo per averla, secondo lui, sarebbe quello di eliminare dalla circolazione eventuali altri pretendenti. Con questa ignobile trovata, egli è sicuro di allontanarti da lei, in modo che alla sua prossima venuta in paese, si farebbe avanti per chiedere ufficialmente la sua mano. Daltronde tutto il paese sa chi è mia figlia, ne conosce le virtù e la sua moralità ineccepibile! Adesso comportati come credi più opportuno”.
A seguito di tal dire, anche la mia fidanzata, tra un singulto e l'altro, mi chiede cosa ne pensi io personalmente; al che io la tranquillizzo immediatamente dicendole che anche mio padre la pensa come il paese, ed io, se avessi creduto alla lettera, non sarei neanche tornato Perciò, dopo esserci rasserenati, decidiamo di chiudere tutta la vicenda quì e metterci una grossa pietra sopra, decidendo anzi la data precisa del matrimonio. A tal proposito, allora, mia suocera mi fa notare che una data significativa potrebbe essere il 3 Settembre, in quanto rappresenta anche il giorno del compleanno di Lilla; e così per il momento si chiude questa brutta parentesi.
Continua – 10
Le precedenti puntate sono state pubblicate nei numeri di: Gennaio-Febbraio, Aprile, Maggio-Giugno, Luglio, Agosto-Settembre, Nov.-Dic. 2006; Genn.-Febbr., Marzo, Aprile 2007.
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