Incontri con la Pittura a Sutera, Campofranco e Mussomeli
Calogero Franco, Pippo Callari, Calogero Barba
Personale del maestro Calogero Franco
Grande successo di pubblico e di critica ha riscosso la mostra d'arte del maestro Litio Franco,che si è svolta dal 26 Luglio al 4 Agosto presso i locali della Biblioteca con il patrocinio dell'Amministrazione
Comunale e della Pro-Loco di Campofranco.
Il nostro compaesano Lillo Franco,docente di educazione artistica presso la scuola media di Sanza (Salemo),si e ancora una volta affermato con la sua corrente artistica Espressionismo Gestuale,un opera calda ed affascinante che distinguendosi sia per l'ottima tecnica pittorica,sia per la maestria nell'utilizzo dei colori:il rosso brillantejl blu intenso,!! bianco candido,ci proietta in una innovativa arte pittorica dove la profondità e la sensibilità dell'artista emergono con fluidità e naturalezza.
Il tutto in un perfetto gioco di colori e di luci in cui ben si colloca la
Paesaggistica permeata di sicilianità che armoniosamente manifesta l'amore per la sua terra e per la vita in ogni sua impercettibile e fondamentale espansione.
Il trionfo dei colori unito alla capacità di sintesi nella mescolanza di sentimenti positivi,nell'originalità delle geometrie,la ricerca dell'essenza pittorica che caratterizza l'opera emergente e non massificata dell'eccel » lente maestro d'arte Lillo Franco.
Devoto a San Calogero,dimostrando grande amore per il proprio paese, il nostro artista ha posto una mega tela raffigurante una splendida pergamena –ove si evince la Preghiera Semplice di San Francesco nella chiesa che ne porta il nome
Calogero Cirlincione
Sutera, incontro con Pippo Callari
In una viuzza di Sutera, piccolo e ameno paesino nisseno che, aggrappato alla Rocca di San Paolino, domina il Vallone, ho conosciuto una sera di mezz'estate un noto pittore locale, Pippo Callari, impegnato in una mostra mercato: l'uomo si rivela subito affabile e gentile, l'artista umile e generoso.
Una fugace visita alla mostra mi consente di apprezzare la sua arte, che trasferisce sulla tela le suggestioni liriche di altri tempi e l'incanto proprio di paesaggi familiari. Gli squarci d'ambiente paesano, per lo più piazzette, vicoli e sentieri di campagna, sono colti con occhi stupiti, per poi assumere linee nette e contorni sfumati, di tanto in tanto trapassando nella fissità del sogno.
I quadri così trascendono il realismo, che a prima vista sembra informarli, e si collocano in una dimensione onirica, che li fa apparire come paesaggi dell'anima.
Colto da ammirazione, mi soffermo a considerare più attentamente i lavori; mi trovo di fronte a una pittura, che mira certamente a rappresentare una realtà sempre più destinata a scomparire, un mondo di buoni sentimenti, un paradiso perduto, ma mai dimenticato.
Si materializza così un miracolo: Pippo Callari riesce ad interpretare gli stati d'animo degli emigranti che, ripensando nei momenti di nostalgia agli angoli più suggestivi e familiari del loro paesino, li immaginano lindi, solari, colorati, ma purtroppo spopolati.
Le figurine umane , in genere una o due per quadro, sono vecchi ricurvi, che si trascinano stancamente per piazze e sentieri deserti.
Involontariamente la pittura di Pippo Callari assume così il carattere di una drammatica denuncia sociale: i paesi del Vallone con il loro carico di storia, di esperienze e sofferenze stanno scomparendo e, se mai riusciranno a sopravvivere, lo potranno fare solo nei cuori dei tanti figli sparsi per le vie del Mondo.
Un quadro su tutti merita una considerazione particolare: il notturno lunare. Non c'è il nero di fumo a caratterizzare il buio tenebroso della notte, ma una soffusa gradazione di blu che trascolora nell'azzurro, appena raggiunto dal pallido candore della luna in presenza di una casa silente.
La notte lascia spazio al primo crepuscolo che, carico di speranza, annuncia un risveglio sereno e un giorno radioso.
Merito di Pippo Callari è di essere riuscito a tradurre in immagini le suggestioni liriche del grande poeta siciliano. Salvatore Quasimodo, quando si attarda nei suoi versi ( Cfr. la lirica Vicolo) a rappresentare l'intimità dei vicoli, i colori e i silenzi delle viuzze e dei sentieri della sua Sicilia.
Un discorso a parte meritano le nature morte e i quadri a motivo floreale, dove emerge l'abilità del pittore nell'adoperare la tavolozza di colori attraverso uno spensierato gioco cromatico che comunica gaiezza e festa: i fiori sembrano appena raccolti nell'Edenie non sono mai destinati a sfiorire come toccati dall'eterna primavera.
Salvatore Schillaci
Calogero Barba al Palazzo Sgadari di Mussomeli
Giovedì 26 luglio alle ore 20,00, nell’ambito del progetto “Mussomeli città aperta le Notti bianche del Nisseno 2007”, organizzato dall’Associazione Filati Pregiati, è stata inaugurata la mostra personale di Calogero Barba presso lo spazio storico dell’ottocentesco Palazzo Sgadari ex municipio del comune di Mussomeli. La mostra dal titolo “Soggetti/Concetti 1977-2007”, raccoglie opere prodotte dall’artista dall’iniziale attività formativa fino ai nostri giorni.
L'artista crea un percorso espositivo che scandisce gli spazi con una selezione di opere tra installazioni, sculture, pitture, opere digitali, libri d’artista e opere parietali dalla forte matericità. Arricchiscono l’esposizione le teche contenenti le pubblicazioni d’arte sull’artista che contengono i testi critici sulle mostre, con le presenze d’arte nazionali e internazionali maturate nel corso della sua carriera.
Da oltre trent’anni Calogero Barba ha percorso e ripercorso i diversi sentieri dell’evoluzione dell’arte del Novecento. La sua attività già a partire dagli ultimi anni Settanta, periodo di formazione presso l’Istituto Statale d’Arte “Filippo Juvara” di San Cataldo, si caratterizza per una forte creatività, orientata verso caratteri e moduli figurativi di matrice strutturale. Di particolare impegno sono gli anni che a partire dal settantotto lo vedono protagonista di una pittura di grande impatto visivo, ideologicamente impegnata che risente del clima delle lotte dei movimenti giovanili studenteschi. Sono di questi anni le opere ad olio su tela realizzate a grande dimensione che l’artista elabora e produce con una forte motivazione contenutistica e simbolica. Opere pittoriche che non appartengono a nessuna scuola, ne sono riconducibili a maestri storici italiani operanti in quegli anni. Anni di grande dibattito artistico in Italia, in Sicilia l’operato di Francesco Carbone ed altri collaboratori ha lasciato notevoli contributi nei vari ambiti dell’arte. L’Arte ufficiale prodotta in quel periodo in Sicilia e nel nisseno proposta nelle mostre temporanee e di galleria, era spesso leziosa e accattivante, adatta solamente a fare mercato.
Sono emblematiche di quegli anni le tele dal titolo L’ozio obbligato (1978), Ricerca di Libertà (1978), Il buon fine (1978). E’ del 1981 la prima vera mostra personale tenuta presso il “Centro d’Arte il Grifone” di Caltanissetta dove già l’artista intuisce le difficoltà del sistema siciliano dell’arte. Nel 1979 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Palermo dove ha modo di frequentare gallerie e musei e confrontarsi con artisti, docenti e critici d’arte. L’accademia in quegli anni è diretta dall’artista incisore Pippo Gambino che solerte animatore culturale invita artisti ed operatori estetici come Nando Valentino, Nicolò D’Alessandro, Carlo Lauricella, Toti Garaffa, Francesco Carbone, Gianni Marzilla ed altri ad esporre e incontrare gli allievi dell’Istituto.
In questi anni la permanenza da allievo a Palermo all’interno dell’Accademia del Papireto, gli permette di approfondire la statuaria nel senso più accademico del termine esercitata dagli scultori siciliani dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento come Mario Rutelli, Ettore Ximenes, Benedetto Civiletti, Vincenzo Ragusa, Benedetto De Lisi, Archimede Campini, Antonio Ugo, Nino Geraci, Silvestre Cuffaro e Filippo Sgarlata.
La ricerca condotta sulla scultura del Novecento, però, vede Barba impegnato nel trovare la propria identità plastica, investigando i grandi maestri della scultura come Alberto Viani, Henry Moore, Giacomo Manzù, Emilio Greco, Ugo Attardi, Giò e Arnaldo Pomodoro. In questa investigazione della plastica internazionale non potevano mancare altri grandi della scultura contemporanea come i conterranei Pietro Consagra, Salvatore Cannilla e Carmelo Cappello.
Sono di questo periodo anche le sculture realizzate in legno, terracotta, bronzo e alabastro siciliano recuperato nelle vallate del territorio mussomelese, raffiguranti donne e ballerine (1982-1983), colte in eleganti pose dalle linee continue e dai morbidi volumi.
In contemporanea alla ricerca plastica Calogero Barba approfondisce la pittura che, d’altronde, non ha mai abbandonato, ne recupera la tecnica con l’uso dei pigmenti trattati con medium vari per esprimere il suo linguaggio tra il plastico e il pittorico, sono emblematici di questa esperienza lavori come Donna in giallo (1986), Onda (1986), Donna sdraiata (1986) e tantissime altre opere.
Oltre alla pittura, dal 1986 Barba studia i reperti di alcuni musei etno-antropologici siciliani e dà inizio ad alcuni progetti dal forte sapore antropologico, recuperando mentalmente alcuni aspetti della civiltà contadina o cultura materiale. Cultura d’appartenenza che nel periodo adolescenziale, egli vive intensamente e della quale avverte l’inesorabile lenta sparizione. Il recupero dei materiali diventa così una anche una prassi quotidiana, ed è il luogo d’origine che, nei rientri di fine settimana gli offre ancora la possibilità di approfondire e ricercarne il concetto estetico e culturale. Al recupero degli oggetti l’artista lega anche l’aspetto culturale-archeologico dell’area di provenienza, non a caso associa i lavori di questi anni al mito di Polizzello, area archeologica collocata nel territorio mussomelese, indagata dai primi anni del Novecento a tutt’oggi con varie campagne di scavo dirette dalla soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Caltanissetta. In questa area recentemente sono stati rinvenuti reperti di grande importanza scientifica, che confermano come il centro Sicano di Polizzello assuma un’importanza di rilievo internazionale.
Il 1990 è l’anno in cui l’artista concretizza i progetti di arte antropologica contemporanea in sperimentazione attiva. Egli ricompone i tasselli della ricerca strutturandone la forma e dichiara apertamente i suoi intenti. Troverà in Francesco Carbone colui che lo appoggerà in diverse mostre come quelle realizzate a Monreale nel 1992, a Partinico, Palermo e Alia nel 1993. Si apre in questo periodo l’utilizzo di un elemento/reperto di grande rilevanza per l’artista, u circhiu, manufatto ligneo semisferico che serviva per asciugare i panni e da protezione al braciere, in uso nei paesi di montagna e che diverrà per l’artista l’elemento modulare da intercambiare nella pratica installativa dello spazio verticale o orizzontale, organizzata creativamente con l’aggiunta del colore. I Circhi o Circhiucroma come li definirà già dall’inizio, diventeranno nei primi anni Novanta una costante connotazione formale caratterizzante il lavoro teorico e plastico prodotto. Ulteriore elemento che contraddistingue questo periodo, oltre alla vicinanza a Francesco Carbone e ad Ignazio Apolloni, è la contaminazione della scrittura visuale avviata alla matericità e inserita nelle opere a carattere parietali come Il Papa-vero/Il Vero-Papa (1994), opera questa composta con pigmenti e papaveri secchi dipinti, utilizzati come supporto per scrivere e rafforzarne il concetto. Dal versante della scrittura Calogero Barba quasi naturalmente approda ad una ricerca incentrata sul libro d’artista che si manifesta inizialmente con la realizzazione di libri oggetto in cera d’api per poi addentrarsi verso il digitale, stampando edizioni in proprio di libri d’artista a tiratura limitata come C’era un libro (1997), La concezione dell’origine (2001), Io sono un terrestre (2005), Libretto digitale (2002) e molti altri. Nel suo coerente percorso personale compaiono già da anni anche diversi interventi ambientali come quello realizzato attorno al lago Biviere di Lentini con l’opera Sacello (2006). Ultimamente Barba ripensa alla pittura con una visione legata al concetto dell’immagine autoreferenziale, che vive se stessa dentro lo spazio storico della pittura. Attualmente l’artista è presente a Venezia con il progetto “Camera 312- promemoria per Pierre”, curato da Ruggero Maggi ed inserito all’interno della 52ª Biennale di Venezia.
Giuseppina Riggi
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