Memorie d’Africa
(1.1.1936 – 4.10.1946)
di Giuseppe Scannella




CAP. XXI

IMPROVVISO RICHIAMO ALLE ARMI

Sia a Campofranco che a Sutera si sparge subito la voce del nostro rientro, e quindi parenti, amici e conoscenti incominciano a fare la spola nel venirci a salutare e portarci i regali secondo l’usanze del paese. Intanto faccio sapere a mia suocera che trascorsi questi primi giorni a Campofranco, salirò anche a Sutera dove sono molti i parenti di Lilla che ci aspettano per lo stesso motivo. Durante queste visite, oltre ai soliti argomenti di circostanza, molti tornano sull’argomento del furto alla coppia di sposini di Roma di cui hanno sentito parlare tanto; per fortuna in quei giorni noi non sapevamo nulla e tutta la nostra permanenza è fluita come miele. Non solo, ma si può dire che anche a casa continua tale stato di meravigliosa felicità, circondati come siamo da tanto affetto, godendo sempre più dell'intimità del nostro amore.
Le giornate infatti iniziano al mattino con le solite schermaglie amoros sfocianti sempre in una reciproca dedizione fisica completa, cui fa séguito il delicato bussare della mia mamma che ci porta il caffé ed i dolcini; si passa poi ai piacevoli e cordiali intrattenimenti con amici e parenti, per finire la sera con il ringraziare il Signore di quanto ci dà, concludendo in bellezza con il solito donarci l'uno all'altra in un amore sempre più crescente ed appassionato.
La settimana dopo decidiamo di andare a Sutera dove è giusto che oltre a ricevere le visite le restituiamo anche noi secondo le usanze del paese, intercalando questo sistema di vita anche con passeggiate nei dintorni visto che l'aria qui è molto fine. Anzi uno di questi giorni decidiamo di recarci alla”Capra", zona di campagna a Nord ai piedi del monte S. Paolino, dove il nonno di Lilla possiede un bello appezzamento di terreno con mandorli, fichidindia, pomodori, ed altro.
La passeggiata e l'arcano silenzio della zona ci mettono una tale frenesia addosso che anche qui senza preamboli ci appartiamo all'ombra di un grosso cespuglio ed al riparo di eventuali occhi indiscreti per tuffarci nell'abbandono reciproco dei sensi; d'altronde dopo anni trascorsi da ambedue nell’attesa di formare una famiglia, è naturale che si approfitti di qualsiasi opportunità per abbandonarci a queste legittime manifestazioni di amore. Anche a Sutera i giorni passano velocemente nel modo suddescritto fino al momento in cui decidiamo di tornare a Campofranco da dove si dovrà a suo tempo partire per l'Africa; mia suocera allora consiglia di prendere un carretto per trasportare non solo i regali ricevuti ma specialmente i tanti oggetti che formano la dote che lei ha preparato per la figlia.
A proposito dei mezzi di trasporto in uso nell’interno della Sicilia, alle rare corriere pubbliche che congiungono i vari paesi e paesini ad intervalli distanziati, per esigenze particolari quali l'urgenza o il trasporto di materiali ingombranti, si ricorre ai calessi o ai carretti di cui è provvista ogni località abitata. Così, dopo aver mandato avanti il carretto con la roba, salutiamo tutti quanti i famigliari e parenti presenti e con la solita corriera scendiamo a Campofranco, dove subito arriva anche il carretto; scaricata la roba e licenziato il carrettiere si incomincia fin da subito a preparare quanto dobbiamo portarci a Gimma. I giorni intanto passano velocemente nella più assoluta normalità, nell'attesa che la Prefettura di Caltanissetta ci faccia pervenire i passaporti per l'Africa.
Una notte, una tristissima notte, però, accade qualcosa che non dimenticherò mai più e che mi lascia il segno per parecchio tempo. Quella notte, mentre tutti dormiamo profondamente da qualche ora, sento bussare energicamente alla porta; mi sporgo insonnolito dalla finestra e vedo un Carabiniere che mi invita a ritirare un fonogramma urgente indirizzato a me. Scendo preoccupatissimo le scale, apro la porta e mi vedo consegnare il foglio accompagnato da queste parole: ”Mi scusi tanto, signor Scannella, non l’avrei disturbato a quest'ora se non si trattasse di una cosa urgente e grave; il presente fonogramma la richiama alle armi ed entro la mattinata dovrà presentarsi all'Ospedale Militare di Palermo alla 12a Compagnia di Sanità; buon giorno ed auguri”. Per alcuni secondi resto impietrito ed inebetito, poi con la netta sensazione di un macigno crollatomi addosso, salgo in camera da letto dove Lilla in ansia per quanto sta accadendo mi chiede spiegazioni; nel mostrarle il foglio le accenno a mala pena la cosa e subito scoppiamo ambedue in un pianto tale che non riusciamo a trovare alcun conforto reciproco.
Calmatici un po’ scendo al piano terra, sveglio i miei genitori e anche a loro viene data la brutta notizia, ma ben presto è giocoforza prendere il coraggio a due mani e senza alcun indugio darmi da fare nel preparare qualcosa da portare, visto che il primo treno del mattino passa alle 4,00. Perciò, sistemata alla buona una valigia, alle 3 mi avvio a piedi verso la stazione distante alcuni chilometri; purtroppo, data l'ora mattutina, dovrò percorrere la mulattiera al buio ponendo la massima attenzione a non scivolare in qualche scarpata o cadere in malo modo. Se salutare i miei è doloroso, l'abbraccio con mia moglie è straziante; non riusciamo a stacccarci l'una dall'altro, anche perchè nella nostra immaginazione si presenta subito all'orizzonte quanto di peggio si possa pensare. Visto comunque che il tempo stringe, raccomando a mia sorella Maria di stare accanto a
Lilla, di confortarla, di aiutarla a superare i difficili momenti che si presenteranno; rinnovo velocemente i saluti a tutti quanti, nella speranza che tutto si risolva al meglio, e, col cuore a pezzi mi avvio con passo deciso ma circospetto per la buia mulattiera. Con la mente in subbuglio, al pensare quali strani motivi possano aver determinato questo improvviso richiamo, copro l'intera distanza senza che me ne accorga, raggiungendo la stazione in tempo utile per far vidimare il foglio di viaggio; l'espressione di stupore, poi, manifestata dall’addetto alla biglietteria sul fatto che un tal richiamo sia pervenuto solo a me, mi sprofonda ulteriormente in pensieri e preoccupazioni ancor più angoscianti di prima. Anche questo lungo percorso viene compiuto senza che me ne accorga, in quanto immerso più di prima in perplessità varie e giustificabili preoccupazioni
Alla Stazione di Palermo tuttavia mi accorgo di non essere il solo richiamato alle armi, visto che dei Militari di Sanità accolgono sulle camionette un bel gruppo di sfortunati come me. Raggiungiamo così l'Ospedale Militare di Corso Calatafimi dove, dopo aver fatto colazione, ci ritroviamo tutti quanti a interrogarci reciprocamente sui motivi di tale richiamo; tutti quanti comunque cadiamo dalle nuvole e con sempre crescente stupore notiamo che i richiamati col passare delle ore diventiamo sempre più numerosi.
Ad un certo punto, un Maresciallo ci inquadra nello spiazzale centrale e fa l'appello; quindi si reca in fureria a chiamare un Capitano che, non appena arriva, ci mette al corrente della situazione con il seguente discorso: “Signori, il motivo di questo richiamo è dovuto alle recenti operazioni belliche tra la nostra alleata Germania e la confinante Cecoslovacchia. Non potendo prevedere cosa può accadere, il nostro Governo ci ha invitati a stare all'erta, tenendo le truppe pronte per un eventuale intervento armato. Pertanto, visto che un eventuale ordine perentorio di partenza può giungere in qualsiasi momento, voi siete costretti a stare dentro questa struttura senza che alcuno si permetta di uscire. Mi dispiace per voi, ma questi sono gli ordini superiori!”
Anche se adesso conosciamo i motivi che ci hanno trascinato quì, lo stato d’animo di ognuno di noi non cambia, anzi, al solo pensiero che si debba tornare in trincea, con tutti i pericoli che già conosciamo fin troppo bene e dai quali una volta siamo scampati sani e salvi, ci riempie di una profonda angoscia e di una grande paura sulla eventualità di uscirne una seconda volta indenni.
Tra l'altro, sempre in abiti borghesi, ci sentiamo prigionieri civili all’interno di un campo di concentramento dove l'unica cosa accettabile è rappresentata dalla consapevolezza di essere ancora nella propria Patria. Dopo circa una settimana di”pseudo-prigionia“ arriva l’ordine di tagliare a zero i capelli, per cui il barbiere si mette all’opera con tenacia e senza interruzione. Quando arriva il mio turno, pur avendo una bella capigliatura ondulata che tanti mi invidiano, non mi preoccupo di perderla più di tanto, visto che siamo in tanti nella stessa barca.
Fortunatamente, però, mentre il barbiere sta per finire la sua odiata opera, ecco arrivare la bellissima ed inaspettata notizia che si rientra a casa. Immediatamente raccatto qualche ciocca di capelli in ricordo non tanto della bella capigliatura quanto specialmente di questa tristissima parentesi; corro velocemente in fureria per la diaria ed il foglio di viaggio, poi passo dalla camerata a prendere la valigia, e subito mi precipito alla stazione ferroviaria per salire sul primo treno per Agrigento.
Se il viaggio di andata è stato un tormento angosciante, questo di ritorno è forse un altro viaggio di nozze, tanta è la gioia che trabocca dall'interno dell'animo; anche questo quindi, pur con motivazioni opposte, si esaurisce in un baleno e così arrivo a casa. Qui, non appena mia moglie mi vede inaspettatamente e per di più con la testa rasata, supponendo ch'io sia venuto per salutarla definitivamente prima di partire per il fronte, sviene tra le mie braccia; quando si riprende le sue condizioni fisiche incominciano a preoccuparci non poco a causa degli strani e frequenti malesseri che accusa anche nei giorni seguenti. Siccome i sintomi sembrano simili a quelle di una donna incinta, riteniamo opportuno chiamare l'ostetrica, la quale infatti si limita a constatare l'aborto di un feto, frutto del felice periodo di Luna di Miele. Dopo questa tristissima parentesi, la vita riprende con una certa tranquillità, ma con la sola preoccupazione di partire subito per l'Africa dato che il lasciapassare della Prefettura ormai è arrivato durante la mia assenza dal paese. Con una telefonata agli Uffici della Navigazione di Palermo vengo informato che necessita la presenza dell'interessato munito dei relativi passaporti; perciò un bel giorno riparto per Palermo dove tali uffici sono ubicati di fronte alla Stazione ferroviaria. Qui prenoto il viaggio per due e pago i relativi importi, con l'assicurazione che mi comunicheranno mediante telegramma il giorno e la località esatti di partenza; una volta stabilito con certezza tutto quanto, ritengo opportuno approfittare della circostanza per procurarmi da alcuni grossisti del materiale utile per il negozio di Gimma. Pertanto, prima vado in Cor.so Rugggero Settimo dall'Ottico Randazzo, presso il quale faccio un grosso acquisto di materiale fotografico; poi passo in via Merlo da un grosso fornitore di orologi e relativi pezzi di ricambio, dove acquisto tanto di quel materiale che a tutt’oggi, a conclusione di questa” grande Avventura Africana", ne ho ancora un discreto residuo
Il telegramma atteso arriva il 13 Dicembre 1938, proprio mentre sfilo con tanti altri devoti del paese nella processione religiosa che porta per le vie principali le belle statue della Madonna Immacolata e di S. Lucia. A consegnarmelo in via Vittorio Emanuele è proprio il signor Restivo Pietro soprannominato ”Picicidda"; da una rapida lettura noto che ho poco tempo a disposizione, per cui lascio immediatamente la processione e rientro a casa. Il telegramma infatti mi comunica che la partenza è fissata da Messina, sulla motonave”Tevere”alle ore 14 dell'indomani, perciò ci diamo da fare per gli ultimi preparativi. Intanto, avendo effettuato finora moltissime spese e di grande entità, la somma pur consistente portata da Gimma, si è quasi del tutto esaurita; per poter ora affrontare un sì lungo viaggio ritengo assolutamente necessario disporre di una congrua somma che solo un Istituto di Credito può prestarmi. Allora penso subito alla locale ”Cassa Rurale ed Artigiana San Giuseppe”il cui Presidente è lo stesso arciprete don Giuseppe Randazzo; per cui, mancando ormai poche ore alla partenza, senza alcun indugio io e Lilla ci rechiamo in Canonica per una tale richiesta.Questi acconsente e ci indirizza direttamente all’ufficio della Cassa Rurale, dove al suo Segretario Padre Giuseppe Vitellaro chiediamo la somma di £ 2.000. Nel consegnarci il denaro, logicamente, fa firmare ad entrambi una cambiale con cui ci impegniamo alla restituzione, dopo di che lo salutiamo e torniamo a casa più tranquilli ad ultimare i preparativi per la partenza.
Verso le ore 19, salutiamo tutti i famigliari e parenti presenti con molto calore e commozione, al punto tale che, dopo essere arrivati al”baglio", cioè al piccolo piazzale successivo a quello davanti casa nostra, vedendo tutti che ci salutano ancora, torno indietro per rinnovare i calorosi abbracci ai miei genitori. E così alle 19,30 di questo 13 Dicembre 1938 riparto per la lontana Africa con un animo diverso da quello della prima partenza e per di più in buona compagnia: con la mia sposa.

CAP. XXII

Viaggio avventuroso di ritorno a GimmA: in due

Son passati 3 anni esatti da quel 12 Dicembre 1935, quando a bordo della ”Liguria”son partito alla volta di un continente lontano di cui poco si sapeva e quel poco era cosparso di leggende e stranezze, all'insegna dell'avventura ma anche della paura e trepidazione per quanto potesse accaderci. Oggi dunque, nella ricorrenza di questa S. Lucia 1938, mi accingo ad andare in Africa in modo del tutto diverso: la vedo come un continente affascinante, dalla terra lussureggiante e fertile, abitata da gente che, anche se non del tutto civilizzata, certamente non è cannibale come spesso ci veniva in passato presentata; una terra insomma ricca di prospettive per il futuro e dove ormai ho insediato un’attività talmente redditizia da potermi considerare un vero e proprio imprenditore e dove il futuro presenta anche una bella e rigogliosa famiglia. La partenza dal proprio paese tuttavia è sempre uno strappo, una profonda lacerazione, per il fatto stesso che rappresenta la culla della propria formazione di uomo e di cittadino, dove i famigliari che si lasciano sono una parte di sé stessi che viene bruscamente tagliata. Per fortuna la presenza della consorte, associata ai felici giorni trascorsi e all'immaginazione di tanti altri futuri, allevia non poco la tristezza del momento. Anche questo viaggio inizia alla solita maniera e con i soliti mezzi: la corriera ci porta alla Stazione di Sutera dove saliamo sul treno per Palermo; a Termini Imerese scendiamo con una certa fatica per via dei bagagli ingombranti, per risalire poco dopo sul treno per Messina.
Visto che la distanza è notevole, ci si addormenta fin quasi all'arrivo a Messina; qui scendiamo alla ricerca di un albergo dove poter trascorrere la notte prima di imbarcarci per l'Africa. Un provvidenziale cocchiere ci fa cenno di salire sulla sua carrozza assicurandoci di conoscere un buon albergo proprio nel bel centro della città; così infatti ci porta in Piazza Duomo davanti all'ingresso di questo hôtel. Entriamo chiedendo una camera per una sola notte; un cameriere ci accompagna alla camera n°11, mostrandoci con orgoglio dalla finestra la bella vista sulla piazza, con la fontana, la stupenda facciata del Duomo e gli artistici campanili dai quali si possono ammirare molte figure animate dal significato profondamente allegorico. Estasiato, apprendo con piacere dal cameriere che tra non molto, esattamente a mezzanotte, tutte le figure del campanile entreranno in animazione, per cui decidiamo di approfittare dell'occasione per osservare una simile originalità. La mezz'oretta circa di attesa passa in un baleno; alle 23,55 siamo anche noi nella piazza sottostante assieme a centinaia di altri curiosi con il naso in su nell'attesa di quanto accadrà a momenti. Allo scoccare della mezzanotte in punto, ecco notare in lenta successione tutta la serie di animazioni di cui un artista bavarese ha corredato questo insigne monumento: Il Gallo canta; il Leone emette tre ruggiti; due vigorosi uomini dotati di mazze battono le ore sulle campane; una colomba si parte da S. Pietro con una lettera nel becco e la porta al Vescovo di Messina; un disco in lento movimento mostra i vari stadi della vita rappresentati da un bambino, da un adulto ed infine da un vecchio incurvato sul suo bastone; infine uno scheletro munito di falce rappresenta la Morte che stronca la vita inesorabilmente. Tutti questi personaggi, rigorosamente in bronzo e a dimensioni reali, sono disposti su piani diversi e danno luogo a questa interessante animazione della durata di circa un quarto d'ora.

Anche la forzata astinenza dallo stare intimamente insieme mi porta un giorno di questi ad escogitare una trovata che, per fortuna, va in porto. In particolare, mi presento al Comandante della Nave dicendo che mia moglie ha necessità di fare un bagno; egli, nel darmi l'autorizzazione, mi indica anche il numero della cuccetta adibita a ciò ed il marinaio cui rivolgermi per avere la chiave. Tutto fila liscio fino a quando però, assieme a mia moglie, cerco di entrare anch'io; infatti il marinaio dall’alto della scala si mette ad urlare attirando financo l'attenzione dei presenti; tuttavia comunque alla fine, insistendo nel dire che da marito posso permettermi di passarle la spugna sulle spalle, mi viene concesso di entrare nel bagno; e così finalmente possiamo dare sfogo alle naturalissime voglie di due sposini innamorati.
All'alba del 18 Dicembre entriamo a Porto Said, da cui si riparte dopo poche ore di sosta, per entrare nel Mar Rosso a sera inoltrata. L'indomani mattina, al risveglio, il mare ci sembra un po’ mosso ma non tanto da creare disturbi; a pranzo invece succede l'imprevisto: un'ondata troppo vigorosa fa ribaltare quasi del tutto la tavola imbandita rovesciandomi addosso il contenuto dei piatti. Non solo, ma sono costretto immediatamente ad andare in cuccetta dove non ho neanche il tempo di arrivare che i conati di vomito mi fanno svuotare lo stomaco e oserei dire anche gl'intestini, tanto è il disturbo che provo. Per fortuna Lilla sta davanti a me ad incoraggiarmi dimostrandosi più forte di me, visto che il suo fisico non risente tanto dei fenomeni ondosi del mare Si arriva intanto a Massaua dove sulla stessa banchina alcune corriere attendono l'arrivo dei connazionali dall’Italia per portarli nella località interne dell'Eritrea e dell’Etiopia; noi ci dirigiamo su quella che va ad Asmara.
Arriviamo in questa città nel pomeriggio, ed è con grande sorpresa e piacere che nello scendere dalla corriera vediamo venirci incontro il carissimo concittadino Pera Francesco che, prima della guerra, abitava a Campofranco vicino casa mia. Conclusi i convenevoli, gli chiedo di accompagnarmi all'albergo dove, però, con amara sorpresa apprendiamo che non c'è posto; a questo punto preoccupato più per mia moglie che per me, ci chiediamo a vicenda quale possa essere la soluzione. Immediatamente al caro amico balena l'idea di portarmi da un mio parente che si trova qui da un po’ di tempo, Scannella Calogero, il quale vive in una baracca di due modesti locali costruita con le sue mani; questi nel vederci ci fa una grande festa invitandoci a parlare di Campofranco ed a metterlo al corrente delle ultime novità. Mortificato per l'impossibilità di una sistemazione in albergo, alla nostra richiesta di aiuto, egli si fa in quattro per darci ospitalità nella sua baracca, incominciando col rispolverare una vecchia branda a forbice, sulla quale stende due coperte, una da porre sotto come materasso e l'altra sopra per coprirci. Purtroppo la notte trascorsa in queste condizioni non passa mai e perciò non sarà mai dimenticata: a parte l'estrema precarietà dell'alloggio e del letto, ciò che non ci fa chiudere occhio è il continuo andirivieni di topi grossi come conigli che passano e ripassano sopra di noi; perciò alle prime luci dell'alba la prima preoccupazione è quella di trovare un taxi disposto a portarci direttamente a Gimma. Dopo esserci lavati e ristorati alla meglio, ci rechiamo quindi sullo spiazzale dove si radunano quelli che svolgono questo tipo di attività, ma per la grande distanza da percorrere è difficile trovarne uno disposto a portarci a Gimma ad un costo non proibitivo.
Finalmente dopo lunghe ed estenuanti trattative ci accordiamo con un tale che, prima di stabilire il prezzo, vuol vedere il numero ed il tipo di bagagli; infatti nascono ulteriori difficoltà per via dell'eccessivo ingombro del baule, per il quale egli ci consiglia di travasarne il contenuto in più valigie e poter così ovviare all'inconveniente. Seguendo il suo consiglio, provvediamo all'acquisto di un paio di valigie che, come previsto, risolvono il problema; pertanto, stabilito il prezzo, ci diamo appuntamento per la partenza che viene fissata a subito dopo il pranzo. Alle 14 in punto il taxista si presenta per incominciare a caricare i bagagli; questi sono tali e tanti che richiedono ben due ore per essere disposti in modo accettabile, dato il lungo viaggio che ci aspetta: essi vengono collocati dappertutto, financo sui parafanchi, nella speranza che non accada alcun imprevisto. In effetti, ripetendo quanto già detto in precedenza, si tratta di un percorso abbastanza lungo, vario ed accidentato: 1.100 Km. separano Asmara dalla capitale ed altri 353 Km. collegano Addis Abeba a Gimma per un totale di ben 1.500 Km. circa. Esso è chiamato”Strada della Vittoria”perché collega località celebri per le battaglie cruente che hanno lasciato sul campo migliaia e migliaia di morti ma che hanno messo in luce a livello internazionale il coraggio, l'ardire e le fulgide vittorie degli Italiani.
In particolare, questa strada a direzione pressocché meridiana purtroppo non sempre è rettilinea in quanto attraversa alte valli, scavalcando una serie numerosissima di gruppi montuosi, di dorsali e di valichi molto elevati di cui il passo” Toselli o Amba Alagi”con i suoi 3.000 metri di altitudine rappresenta il punto più suggestivo ma anche più pericoloso.
Il tracciato pertanto è molto vario ed accidentato, con numerose curve e tornanti, salite e discese, ma al tempo stesso con panorami amplissimi, suggestivi e pittoreschi; una macchina, specie se sovraccarica come la nostra, deve ogni tanto fermarsi per far raffreddare il motore. Essa comunque è in via di miglioramento ed ultimazion; larga da 8 a 9 metri di cui 6-7 pavimentati e bitumati, permette agli autopullman della Soc. Trasp. Naz. Gondrand di collegare agevolmente Asmara con Addis Abeba in 5 giorni con biglietti di I e II classe al costo rispettivo di 1.080 e 702 lire, più alcune centinaia di lire per il vitto e pernottamento; nel caso che i bagagli dovessero superare i 30 Kg. consentiti, pagando una adeguata cifra questi vengono trasferiti su un autocarro al seguito dell'autopullman. Noi, abbiamo preferito prendere un taxi per essere più liberi, arrivare prima ed avere i bagagli sotto controllo ed a portata di mano. Alle 16.00 del 20 Dicembre 1938, salutati con calore gli ospiti, si parte. Dopo un paio di ore raggiungiamo Solcotòm, il vecchio confine con l'Etiopia; qui veniamo fermati dagli addetti al Presidio Militare che ci obbligano al pernottamento per ovvie ragioni di sicurezza.
Date le circostanze e le provvidenze poste in atto dal Governo italiano atte a favorire la colonizzazione delle terre occupate, veniamo accolti con gentilezza e cortesia, mettendo gratuitamente a nostra disposizione sia la cena che il locale per trascorrere la notte imminente. Un Caporal Maggiore ci accompagna quindi in una delle tante e grandi baracche usate durante l'occupazione dalle nostre truppe, e attraversando un lungo corridoio che separa i numerosi dormitori di cui è dotata, ci fa accomodare in una stanza già preparata per questo uso, visto che non siamo i primi a transitare per il confine e ad usufruire di un tale utile servizio; ci invita quindi a metterci a nostro agio mentre nel frattempo penserà alla sistemazione del tassista, dopo di che verrà a chiamarci per la cena. E così dopo poco tempo siamo invitati a recarci in un locale dove troviamo una tavola ben apparecchiata; qui mentre consumiamo il pasto, il graduato ci chiede le generalità e quant'altro necessario a giustificare con i suoi superiori la nostra presenza. Terminata la cena, stabiliamo con il tassista di partire alle 6 di domattina, ci auguriamo reciprocamente la buona notte e si va subito a letto, stanchi non solo del viaggio ma anche degli avvvenimenti e preoccupazioni ch'esso comporta.
Alle 5,30 dell’indomani ci si alza per riprendere il viaggio fiduciosi nel buon Dio che ci assista, consapevoli delle difficoltà e problemi di varia natura che si possono incontrare in un percorso così lungo ed estenuante. Dopo aver fatto colazione, ci accomiatiamo dal gentile Caporal Maggiore che salutiamo caramente porgendogli anche una discreta mancia, ed alle 6 in punto ci si rimette in marcia consapevoli di affrontare una camionabile non sempre pianeggiante e dal fondo artificiale, per molti tratti comunque buona ma con tratti talvolta sassosi e dai cunettoni malagevoli. L'ansia di arrivare nella nostra Gimma, la freschezza ancora viva della nostra unione, i pensieri più disparati per il futuro, fanno di questo viaggio un'avventura certamente dura ma anche ricca di meravigliose osservazioni e fiducia nel domani.
La prima importante località che incontriamo è la città di Adua, a 1990 metri circa di altitudine, centro promettente, sede di Commissariato e presidio importante, celebre per la famosa”Battaglia di Adua”(1° Marzo 1896) che tanta ripercussione aveva a suo tempo avuto sia in Italia che in Abissinia. Essa infatti è stata chiamata dagli stessi indigeni la appunto per l’indomito coraggio dimostrato dai nemici in campo; essa inoltre fece oltre 15.000 morti e più di 12.000 feriti complessivamente meritando l'appellativo della”più grande e cruenta battaglia coloniale del secolo”. Verso sera giungiamo a Macallè, ad oltre 2.000 metri di altitudine, anch'esso centro interessante e destinato a diventare un importante centro commerciale; qui lungo la strada vediamo l'insegna di un albergo-ristorante che ci invita subito a fermarci per riposarci e rifocillarci. L'indomani si riparte per affrontare il duro e difficile passo Toselli o dell'Amba Alagi, celebre anch'esso per un durissima battaglia condotta dal Magg. Toselli sul finire del secolo scorso, caduto eroicamente per mano degli Abissini. Vi giungiamo verso le 10 e ci fermiamo per far raffreddare il motore; nel frattempo un gruppetto di negretti si avvicina ripetendo allegramente:”signora bella compri la caramella", e insistono per farci comprare delle caramelle che noi alla fine prendiamo offrendo loro mezza lira. Proseguiamo quindi per Dessiè, altro importante e grosso centro ubicato ad oltre 2.400 metri di altitudine, che superiamo a metà pomeriggio. Verso le 18 ci troviamo quasi a metà strada tra Dessié ed Addis Abeba all'altezza di un presidio militare che ci obbliga a fermarci in quanto dopo tale orario è consigliabile non viaggiare. Io scendo allora dalla macchina e manifesto energicamente le mie proteste, insistendo sul fatto che noi siamo civili e che nella vicina località di Sendefà ci aspetta un concittadino per il pernottamento. A queste rimostranze, ci vien dato il permesso di proseguire e così per fortuna in serata stessa, verso le 20, arriviamo a Sendefà, località a circa 40 Km da Addis Abeba, dove i miei cari compaesani Calogero ed il fratello Vincenzo Bordenga gestiscono un bar. E’ superfluo sottolineare la calorosa accoglienza che riceviamo da loro; subito dopo gli abbracci ed i convenevoli, essi apparecchiano una bella tavola e ci fanno mangiare a sazietà, parlando fino a tarda ora del paese, delle ultime vicende e dei miei progetti in Africa. Intanto, questi nostri amici, non avendo ambienti a sufficienza e strutture adeguate, trasformano un tavolo da pranzo in un letto, al fine di consentirci un accettabile riposo.
Il mattino seguente, antivigilia di Natale, la sveglia è decisamente più rincuorante visto l'approssimarsi dell’arrivo a destinazione; ringraziamo sentitamente i nostri gentili compaesani, li salutiamo molto cordialmente e ripartiamo alla volta della capitale etiopica. I pochi chilometri che mancano ci consentono di arrivare così intorno alle 8 ad Addis Abeba: città dal nome significativo (Addìs Abebà = nuovo fiore), sita a circa 2.500 metri di altitudine, sparsa in un'ampia conca boscosa di eucalipti su uno sfondo di monti vulcanici dalle linee solenni. Occupata il 5 Maggio 1936 dalla colonna Badoglio, la capitale dei Negus da informe agglomerato di capanne e case di cicca, più simile ad accampamento che a città dignitaria, ora si appresta per opera degli italiani a divenire la capitale di un impero, sede del Vicerè, grande emporio commerciale ed industriale, ricca di palazzi governativi, edifici civili, viali e strade moderne, uffici, servizi pubblici e privati, scuole inferiori e superiori, stazione ferroviaria ed aeroporto efficienti, ed infine consolati, banche, alberghi, ristoranti, farmacie, ecc...
L'attuale popolazione di circa 90.000 abitanti, di cui più di 17.000 italiani e 2.500 stranieri, nei prossimi anni si prevede subirà un incremento vertiginoso, alla luce dei progetti del nuovo piano regolatore dello stesso Governatorato mirante a creare una nuova città tutta italiana, separata da quella indigena, inspirata a criteri di monumentalità e grandezza come si addice alla capitale dell'Impero dell'Africa Orientale Italiana. Entrando perciò in questa città, inforchiamo subito la diritta Via 18 Novembre e subito incomincio a chiedere informazioni sull'abitazione del nostro caro compaesano Borrelli (lu zì Aniello), visto che i suoi famigliari mi hanno dato dei pacchettini per lui. Dopo ripetuti tentativi, finalmente ci indicano l'indirizzo esatto e così verso le 10 troviamo lui ed il figlio Vincenzo con gli stivali al lavoro. Appena ci riconoscono, lasciano tutto e ci abbracciano con molto calore e tanta gioia, contenti di avere notizie fresche dei propri parenti. Immediatamente il figlio si parte per andare a fare della spesa onde rendere il pranzo più ricco e festoso; nel frattempo, mentre consegniamo gli oggetti datici a Campofranco per loro, ci scambiamo reciprocamente le ultime notizie. Intorno a mezzogiorno ci sediamo a tavola, mangiando e chiacchierando di tutto gusto, sentendoci quasi a casa nostra; tuttavia, visto che però Gimma è ancora distante, terminato il pasto ci scusiamo per la necessità di partire al più presto, e così, verso le 13,30, dopo esserci salutati ancor più cordialmente, ripartiamo per la nostra casa. Usciamo perciò dalla capitale per la lunga Via Campo di Aviazione che porta direttamente sulla strada per Gimma, ma dopo una mezz'ora circa di viaggio siamo costretti a fermarci per una lunga autocolonna di mezzi militari bloccata; per fortuna però subito dopo il nostro arrivo, si rimette lentamente in moto disgregandosi man mano che i vari raggruppamenti raggiungono i presidii di appartenenza. La curiosità di conoscere il motivo di tale assembramento militare viene soddisfatta da qualcuno del posto che ci informa sui recenti attentati avvenuti nella zona. Proseguiamo quindi su questa strada che ormai entra nella”Fossa dei laghi Galla", con un continuo scendere e salire: è lo scotto che bisogna pagare per poter attraversare le numerose e profonde valli dei vari fiumi e torrenti dei quali l'Omo Bòttego è il più grande.
Verso le 17 giungiamo così a Uolchitté, a 1.900 metri di altitudine ed a metà percorso Addis Abeba - Gimma; qui, essendoci una Missione della Consolata di cui conosco molto bene un Padre, decido di fermarmi per pernottare. Perciò ci dirigiamo direttamente alla Missione dove il Padre Savina all'arrivo della nostra auto mi riconosce immediatamente e mi viene alacremente incontro per abbracciarmi fortemente; gli presento Lilla e l'autista, mettendolo al corrente degli ultimi avvenimenti della mia vita. Egli, nel complimentarsi per la mia sposa, indica all'autista dove posteggiare la macchina e ci invita a recarci in Chiesa ed a fare un giretto per la Missione, dopo aver invitato un negretto a preparare la cena tirando il collo a due ”andaco”(polli). La Missione in effetti gode di una posizione incantevole, in quanto domina la suggestiva e profonda valle del Bòttego per superare la quale ci vogliono ben 5 ore di viaggio. Intanto prima di sederci per mangiare, il gentile Padre ci offre come suo personale dono di nozze un bel Crocefisso, grande una ventina di centimetri tutto foderato in madreperla, che io accetto volentrieri e che da questo momento porterò caramente sempre con me anche dopo il rientro definitivo nella Madre Patria. L'indomani, vigilia di Natale, ci alziamo con rinnovato vigore e ansia di arrivare finalmente nella nostra casa per riposarci in modo più rilassante e riprendere l'attività tralasciata. Verso le 10,30 ci rimettiamo in viaggio affrontando la lunga e tormentata discesa verso valle per poi risalire con altrettanta fatica dopo aver attraversato il maestoso fiume su un ponte ancora di legno ma che verrà quanto prima sostituito da un altro in cemento armato della lunghezza di oltre un chilometro.
Il viaggio ormai volge al termine ed i chilometri che mancano vengono superati con altri sentimenti, anche perchè il paesaggio attorno a noi cambia continuamente divenendo sempre più suggestivo, ricco di vegetazione e di una fauna variegata che eccita specialmente la curiosità di Lilla dato che ella non ha mai visto animali così strani e variopinti. Verso mezzogiorno giungiamo all'altezza di un presidio militare in prossimità del quale la presenza di un ristorante ci invita a fermarci per consumare un veloce pranzo. Subito dopo, il viaggio riprende addentrandoci in una stupenda foresta di acacie, mimose, albizzie, cissi ed altri alberi; qui è impressionante vedere nel loro naturale habitat animali di varie specie e dimensioni: scimmie bianche e nere, gazzelle, cinghiali, zebre, uccelli, e tanti altri. Dopo un paio di ore dal presidio, all'uscita da questa foresta ed ormai quasi alle porte di Gimma, ci capita un imprevisto d’una certa gravità che, se fosse accaduto molto prima, avrebbe forse pregiudicato in modo irrimediabile tutto il presente viaggio. Infatti, ad un certo momento, vedo l'abitacolo della macchina pregno di fumo che inizialmente credo provenga dalle sigarette fumate dall'autista; invece, abbassando lo sguardo al di sotto del cruscotto, noto con amara sorpresa che il fumo proviene dal motore. Avverto subito l'autista che ferma immediatamente l'auto; alzando quindi il tappetino del posto di guida, si nota subito che il pedale della messa in moto ha scorticato il filo della batteria creando un corto circuito e rendendo incandescente le zone interessate.
La prima cosa spentanea che mi vien da fare è quella di versare sulla parte che brucia dell'acqua che teniamo a portata di mano; quindi chiedo a Lilla di prendere della stoffa e del filo per cucire, mentre noi scarichiamo la roba che potrebbe incendiarsi. Una volta spento il piccolo focolare, avvolgo diligentemente il cavo elettrico con la stoffa ed il filo, ripristinando alla buona l'isolamento necessario; ricarichiamo quindi tutto quanto è a terra e si riprova a mettere in moto l'auto a spinta visto che la strada è in discesa. Tutto fila liscio come si desidera e così finalmente verso le 16 di questo drammatico pomeriggio entriamo a Gimma. E’ superfluo esprimere le diverse ma profonde emozioni di entrambi; fermarci davanti la nostra casa crea decisamente un tuffo al cuore, facendoci dimenticare la lunga fatica del viaggio e la paura del recente mancato disastro. Nel frattempo arriva il mio fratello Gaspare col quale ci salutiamo affettuosamente e con tanta emozione; quindi scarichiamo con alacrità i bagagli, salutiamo il tassista ed entriamo in casa, dove il sentirsi finalmente a proprio agio ci riempie di tanta gioia anche perchè conclude un viaggio che per molti versi rappresenta un ricordo indimenticabile sia per me che per la mia cara Lilla.

CAP. XXIII

LA VITA AFRICANA RIPRENDE, MA CON PROBLEMI

Un viaggio durato ben 4 giorni ci ha veramente stancati abbastanza e riprendere le normali attività in modo abituale non è certamente semplice anche perché sia io che Lilla siamo frastornati: lei, perchè si sente catapultata in un ambiente completamente diverso da quello familiare; io, perché la lunga assenza ed il matrimonio mi hanno disabituato sia all'ambiente che al lavoro. Pertanto, pur non essendoci ancora grandi manifestazioni esterne per la circostanza del Natale, tuttavia la sera stessa di questo 24 Dicembre 1938, penso di fare una cosa gradita portando mia moglie lungo il Corso principale della città per iniziare a farle conoscere il nuovo ambiente. La passeggiata si rivela anche utile per il fatto stesso che la vasta clientela cittadina vedendomi rientrato è invogliata a richiedere le mie prestazioni. Infatti entro pochi giorni vedo venire in negozio tante persone che portano oggetti a riparare o desiderano acquistare. Perciò l'attività riprende immediatamente a pieno ritmo coadiuvato da mio fratello Gaspare e da due inservienti indigeni (vedi foto n° 55).

Foto n. 51– Gimma: pausa di lavoro

Tutti i giorni dunque si lavora sodo, pur non tralasciando qualche piccolo svago per far sentire Lilla a suo agio; in effetti ella dimostra subito una buona capacità di ambientamento ritenendosi spesso soddisfatta sia dell'ambiente che della nuova vita al punto tale che un giorno esclama con spontaneità: “Se io avessi dato retta ai miei parenti che mi dissuadevano dal fidanzamento con te, prefigurandomi l'Africa come un ambiente di malattie e cannibali, oggi non sarei così contenta di vivere con te ed in un ambiente che incomincia a piacermi tanto!”. Al che io incalzo: “Questi tuoi parenti non ragionano bene; non capiscono che nessun uomo, per quanto cattivo o malvagio possa essere, se sposa una donna cui vuol bene, mai e poi mai la condurrebbe in un ambiente pieno di pericoli, a lei impossibile o comunque ostile! D'altronde come facevano a non vedere davanti a loro un uomo tornato dall'Africa in condizioni perfette, sanissimo e forte nel fisico, pieno di quattrini e contento?”. E così passano i giorni ed i mesi nella più assoluta normalità intervallata da qualche novità dovuta al sistema di vita indubbiamente diversa da quella cui si era abituati prima.
Nel Febbraio dell'anno seguente (1939) però, un mattino Lilla si alza con un forte e continuo dolor di stomaco; come si fa di solito in questi casi si aspetta che passi da solo. Purtroppo però il dolore non accenna affatto a diminuire, anzi tende ad aumentare, per cui decido di chiamare il dottor Dagnino che ha lo studio a qualche centinaio di metri dalla nostra casa. Questi gentilmente accorre subito e altrettanto speditamente si accorge che il malessere è dovuto al fatto che lei è incinta ma sta per abortire forse a causa del disagio di un viaggio molto faticoso e lungo come quello affrontato ultimamente. Mi suggerisce perciò di andare a chiamare senza alcun indugio l'ostetrica Borsetta che abita vicino il cinema Aurora. Percorro i circa 300 metri di distanza in un baleno e, trovandola per fortuna in casa, la invito a venire subito a casa mia; lei subito mi segue e dopo una veloce visita conferma l'aborto di un maschietto. Per evitare complicazioni però, l'ostetrica mi consiglia di andare a chiamare uno specialista Ginecologo di cui mi fornisce il nome e l'indirizzo; anche questi accorre prontamente praticando l'intervento necessario per evitare qualche grosso problema alla salute di mia moglie.
Il Ginecologo mi chiede frattanto se questo è il primo aborto o se ne ha avuti altri prima; al che rispondo che ce n’è stato un altro dopo un paio di mesi dal viaggio di nozze, alcuni mesi or sono, dovuto allo spavento nel vedermi a testa rapata ed all'idea che dovessi ripartire per la guerra.Lo specialista allora prescrive una cura da fare, assicurandomi che al termine arriverà ancora un altro maschietto, e con questo augurio lei e l’ostetrica, dopo aver ambedue ricevuto l'onorario richiesto, vanno via. A questo punto, data la situazione, mi divido in quattro per dedicarmi innanzitutto a mia moglie e badare al tempo stesso ai clienti che si presentano regolarmente in negozio; perciò vado a comprare le medicine prescritte e faccio immediatamente la prima puntura, poi penso a preparar da mangiare inviando l'ascaretto a comprare il necessario per un brodino di pollo. In breve tempo Lilla si ristabilisce del tutto e così si riprende come prima la vita di tutti i giorni; tra l’altro, l’alternarsi di avvenimenti piacevoli sia a livello privato che pubblico fa ben presto dimenticare questa triste parentesi.Infatti, da tempo la nostra casa è diventata punto d’incontro di tanti corregionali ai quali da poco si è aggiunta una coppia di giovani sposi torinesi momentaneamente ospiti presso di noi (vedi foto n° 51 e 52).

Foto n. 52 – Gimma: amici in casa
Foto n. 53 – Gimma: sposi torinesi, amico di Enna e F. Restivo

Alle feste nazionali con parate spettacolari si alternano festeggiamenti per visite eccellenti, come quella effettuata il 24 Maggio dal Ministro Teruzzi (vedi foto n° 54 e 55).

Foto n. 54 - Gimma: Festa Nazionale
Foto n. 55 - Visita del Ministro Teruzzi

Intanto passano i mesi non immaginando che un'altra spiacevole disavvventura si sta abbattendo sulla nostra casa. Un giorno di Luglio verso le 10,30 del mattino, mentre io sono intento a lavorare, sento fermarsi davanti casa una macchina dalla quale scende addirittura il Podestà Moro che chiede a mia moglie se io sono in casa, dato che il Governatore Gàzzara in persona vuole parlarmi. Avendo sentito tutto, mi presento immediatamente fuori salutando alla maniera fascista e dicendo: “Agli ordini, Eccellenza, dica pure!”. “Lei sa benissimo che deve uscire da questa casa; che intenzione ha? Quando si decide?”incalza con tono imperioso il Governatore. Al che rispondo: ”Eccellenza dove vado? Col mio mestiere, dove trovo un ambiente adatto allo scopo? In verità avevo trovato una casa accettabile, ma mi hanno chiesto la rispettabile cifra di 300 lire al mese; come faccio a pagarla?”.
E lui di rimando : ”Chi è costui ?”;
Il signor Bigi, il rivenditore di vini che sta in piazza del mercato”, rispondo io.
A questo punto il Governatore invita il Podestà a risolvere questo problema che ormai, vengo a sapere adesso, si trascina da parecchi mesi, fin da quando mi sono assentato per andare in Sicilia In particolare, il Governatorato aveva incontrato un grosso ostacolo nella presenza della mia casa posta in una posizione tale da impedire l'ampliamento della piazza previsto dal nuovo piano regolatore della città; per cui c'erano già state continue pressioni per traslocare altrove, ma la cosa non si è potuta realizzare a causa della mia assenza. Nel pomeriggio ritengo opportuno avvicinare dal sig. Bigi per metterlo al corrente della conversazione avuta col Governatore, ma egli, essendo già da tempo in trattative per la vendita della sua casa con un tale, la sera stessa ne stipula con costui il compromesso. L’indomani verso le 16 una guardia del Municipio mi accompagna dal Podestà che ordina ad un Maresciallo di andare a chiamare assieme a me il sig. Bigi; questi, compreso il motivo della convocazione, viene con noi al Comune con in tasca il compromesso di vendita della casa. Intanto c'è da precisare che questo Podestà, inviato di recente dall'Italia, ha un carattere poco socievole e molto facilmente assume nei confronti di chi gli sta innanzi atteggiamenti altezzosi e di superiorità, dimenticando che la quasi totalità degli Italiani con cui ha da fare non solo ha lasciato la propria Terra per seguire i suggerimenti colonizzatori del governo ma ha affrontato pericoli e battaglie, difficoltà ed indigenze d'ogni genere. Infatti nell'istante stesso in cui tutti e tre siamo ammessi alla sua presenza, senza premettere alcunché, inizia a sbraitare gridando e pretendendo ragione di questa storia di affitto di casa nei miei riguardi.
Il signor Bigi dopo averlo fatto sfogare, con molta tranquillità tira fuori di tasca il compromesso, glielo mostra dicendogli che ormai la casa non è più sua e quindi non c’è nulla da fare. E così per il momento la faccenda si chiude in questo modo, per riprendere tuttavia dopo due-tre mesi circa. Una sera, di ritorno dalla spesa, trovo a casa il Brigadiere di Carabinieri Ferdinando Restivo, cui sono molto legato per il fatto stesso che a Campofranco abitava vicino casa mia; dopo averlo salutato, Lilla mi riferisce che il Podestà voleva parlarmi ma che comunque ripasserà. E infatti verso le 18 di quella sera di fine Ottobre la veranda della mia casa diventa teatro di una animatissima conversazione che attira molta gente, in quanto da una parte c'è il Podestà in persona e dall’altra io che lo affronto gridando ai quattro venti i miei diritti acquisiti con tanta fatica e merito. In particolare, accade che al ritorno del Podestà io esco sulla veranda dove subito nasce un animato battibecco; egli ripete come una filastrocca che io devo andar via da qui e traslocare al di là del fiume dove ci sono le abitazioni degli Indiani, ed io insisto sempre più fermamente nel rifiuto categorico di andare ad abitare in un ambiente insalubre e malarico come quello.
Ad un certo punto egli per darsi un contegno davanti a tutta la gente radunatasi attorno, con il solito tono baldanzoso urla : “Se lei continua a rifiutarsi di traslocare, io la faccio rimpatriare!”. Al che per niente intimorito dalle parole di questo sbruffone, rispondo con altrettanto elevato volume: “Lei non fa rimpatriare nessuno, perché io ho acquisito il diritto di stare qui con una Campagna che è costata fatiche, sacrifici e combattimenti d’ogni genere; lei invece non ha questo diritto perchè è arrivato adesso dall’Italia!”.
A queste parole di fuoco e che non ammettono repliche, il Podestà non può fare altro che tornarsene in Municipio rimuginando chissà quali rappresaglie sul mio conto. Infatti, l'indomani mattina al rientro dalla S.Messa, trovo in casa un Brigadiere della Polizia, un siciliano di Canicattì, il quale dopo avermi accettato il caffè già preparato da Lilla, mi dice con amarezza che è venuto ad arrestarmi. Io per nulla sconvolto, almeno apparentemente, inforco la bici e gli faccio cenno di avviarci in Questura; alle sue insistenze nel ricordarmi che la bici non posso portarla con me perchè essendo arrestato dovrò restare in caserma, io rispondo serenamente che nulla accadrà di tutto questo. Tra un discorso e l'altro arriviamo in Questura dove vengo accolto da un Tenente; questi mi chiede subito spiegazioni della vicenda trovando strano che un cittadino esemplare come me possa essersi reso responsabile di un fatto così grave come quello della sera precedente. Allora gli racconto con ogni particolare i fatti, incominciando da quando ho chiesto al Gen. Geloso di stabilirmi a Gimma per impiantarvi un esercizio commerciale, continuando con le vicissitudini per la prima e la seconda casa, terminando col descrivergli la situazione in cui mi trovo attualmente in una casa costruita con grandissimi sacrifici e con tanto di autorizzazione governativa; concludo il mio sfogo facendogli osservare che se egli fosse al posto mio agirebbe senza alcun dubbio come me, anche perché con una moglie incinta sarebbe demenziale andare ad abitare in mezzo alle terribili pulci penetranti e la diffusissima malaria. Il Tenente a questo punto va nell’ufficio del Pretore e gli riferisce quanto da me raccontato; il Pretore allora mi chiama e mi dice : “Caro signor Scannella, il Tenente mi ha messo al corrente di tutta la vicenda; avete senz'altro ragione! Ma io cosa posso farci, se mi trovo qui davanti un provvedimento firmato direttamente dallo stesso Governatore?”.
“Vado a parlare al Governatore in persona! Posso?”, domando io.
“Certo che puoi”, risponde gentilmente il Questore. Saluto romanamente e mi avvio da solo verso la residenza del Govermatore distante circa un chilometro, dopo aver rifiutato la gentile offerta di compagnia da parte del Tenente.
Lungo il percorso, passando nei pressi del Maggiore Castelli, penso sia giusto salutarlo; egli mi accoglie con la solita gentilezza e nel chiedermi il motivo di questa visita è inevitabile raccontare anche a lui i particolari della vicenda. Il Maggiore allora scrive due righe indirizzate al Capitano Monacelli, raccomandandomi di rivolgermi a lui in quanto, essendo oggi Giovedì, il Governatore non riceve; come al solito ringrazio e saluto. Sono circa le 10 di un Giovedì d'inizio Ottobre 1939, giungo alla residenza del Governatore dove mi viene incontro un vecchio amico Sergente Maggiore il quale mi avverte subito che il Capitano non c'è ma è sostituito da un Maggiore. Dopo aver consegnato ugualmente la lettera, un Maresciallo mi invita ad entrare nell'ufficio del Maggiore il quale, con mio grande rincrescimento, al mio saluto non risponde neanche e per di più non si degna di volgermi nè lo sguardo né la parola: egli con atteggiamento altezzoso guarda insistentemente il soffitto come se nella sua stanza non fosse entrato alcuno. Visto che nella mia vita sono andato sempre fiero delle mie azioni, ho fatto sempre il mio dovere e rispettato il mio prossimo specialmente se insignito di autorità, mi sento aspramente colpito nella mia dignità di uomo e con pari sfrontatezza mi metto a guardare una carta geografica d'Etiopia dandogli le spalle. A questo punto l'alto graduato scatta come una molla, ed inviperito per il mio atteggiamento si mette ad urlare indirizzandomi queste parole : “Che modi sono questi? Chi si crede di essere? Badi bene che io so già tutto su di lei, e mi interessa poco delle medaglie che sfoggia!“. In effetti, date le circostanze in cui viviamo, dopo gli eroismi dimostrati nella conquista dell'A.O.I. siamo fieri di mostrare in giro le varie decorazioni per meriti militari. Ad un tale tono arrogante rispondo con calma e dignità profferendo queste parole: “E’ proprio Lei che mi ha provocato col suo atteggiamento, accogliendomi in modo irriguardoso! E poi sappia che tutto quello che Le hanno riferito sul mio conto è quasi tutto falso! In merito alle decorazioni, non sono venuto da Lei per sfoggiare atteggiamenti che in questo momento sono fuori luogo. Se Lei gentilmente ha la pazienza di ascoltarmi, adesso Le spiego come stanno veramente le cose“.
E così avuto l'invito a farlo, ripeto lo stesso racconto precedentemente fatto in Questura, concludendo altresì con queste precisazioni : “Prima di cacciarmi fuori di casa, voglio sapere quanto mi danno di risarcimento, perchè da certe fonti ho saputo che mi vogliono accontentare con la miseria di appena 1.500 lire, l'equivalente cioé di un tucul. Sappia, signor Maggiore, che la mia casa è stata realizzata non solo con regolare autorizzazione ma specialmente con tutti i criteri della moderna edilizia: pavimentata, intonacata, tappezzata, dotata di impianto elettrico e di infissi in legno, con tegole in cotto, e via discorrendo; e tutto a mie spese, mentre sono gli edifici del Quartier generale che sono costate allo Stato! Infine, con quale criterio si vuole abbattere una casa che appena un anno e mezzo fa è stata autorizzata proprio dal Piano Regolatore? Provi a controllare di persona.”. A queste parole chiare e che non ammettono replica alcuna, il Maggiore incredulo afferra prontamente il telefono e chiama il Podestà, mettendolo subito al corrente della mia presenza e del fatto che il risarcimento per la casa sarebbe di appena 1.500 lire. Il Podestà allora gli chiede di sapere chi mi ha riferito una tale cifra, ma io gli rispondo candidamente che in questi casi si cita il peccato ma mai il peccatore. Dopo uno scambio di frasi, ecco ad un certo punto che il Maggiore mi riferisce che la cifra è del tutto inventata, in quanto il risarcimento previsto sarebbe in realtà dell'ordine delle 16-18 mila lire; nel sentire una tal cosa, allora mi dichiaro disponibile a lasciare la casa e chiudere così questo tormentato problema, ma a patto che non ci siano ripensamenti.
Il Maggiore per sugellare quanto detto mi porge la mano e mi invita a tornare da lui se ci dovessero essere smentite a tal proposito. Visibilmente soddisfatto, saluto romanamente e, dopo aver riferito brevemente il tutto all'amico Sergente Magg., ripasso prima dal Maggiore Castelli e poi dalla Questura per metterli al corrente della conclusione di tutta la vicenda, rientrando a casa con un animo decisamente diverso da quello con cui sono partito. A casa trovo Lilla preoccupata della lunga mia assenza e mi riferisce che solo da pochi minuti sono andati via gl'inviati dell'Ufficio del Piano Regolatore, che hanno preso misure a destra e sinistra: delle porte, delle finestre, dei pavimenti, insomma di tutto. E così mentre prepara il pranzo le racconto l'avventura della mattinata, rinviando a dopo il pranzo le operazioni di trasloco. Terminato il pasto, vado in Comune a prendere la chiave del locale destinato a nuova residenza per noi; rientrato, vado al quartiere indigeno per contattare degli operai di mia conoscenza disposti ad aiutarmi nel fare il trasloco di tutti i mobili che, in verità, essendo ancora agli inizi della nostra residenza a Gimma, non sono poi tanti. Infatti sono sufficienti tre viaggi per trasferire nella nuova abitazione tutto quanto possediamo : nel primo trasportiamo il letto, l'armadio, le sedie, il tavolo e l'attrezzatura della cucina, mentre nel frattempo Lilla aiutata dal nostro negretto sistema la merce nelle scatole; nel secondo, lo scaffale ed il bancone; nel terzo, gli ultimi pochi oggetti rimasti. Terminato il trasferimento di tutto, pago gli operai e ci mettiamo all'opera per sistemare ogni cosa in questa nuova abitazione, certamente provvisoria, nell'attesa di poterne costruire un'altra, la terza da quando sono a Gimma.
Intanto l'amico Di Vita, col quale continuo ad avere rapporti di fraterna amicizia sempre più forti, mi propone di far redarre un bel progetto di casa-negozio da un bravo professionista, in modo da portarci avanti nell'eventuale realizzazione di questa nuova casa; anzi, visto che anch'egli ha intenzione di mettere sù un esercizio commerciale, mi convince a costruire il nuovo edificio insieme, io con l'Orologeria e lui col salone da Barbiere.

Continua – 12

Le precedenti puntate sono state pubblicate nei numeri di: 1 - Gennaio-Febbraio, 2- Aprile, 3 - Maggio-Giugno, 4 - Luglio, 5 - Agosto-Settembre, 6 - Nov.-Dic. 2006; 7 - Genn.-Febbr., 8 - Marzo, 9 - Aprile, 10 - Maggio-Giugno, 11 - Luglio-Agosto 2007.


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