Lillo Zucchetto, 25 anni dopo
I giovani ricordano ancora il suo sacrificio e la sua lotta
Mafia, una parola non pronunciata per paura.


I giovani ricordano ancora il suo sacrificio e la sua lotta

“Mafia, ‘cancro della nostra Isola amata, radicato ed invincibile’.
Sì, veramente radicato, fortemente organizzato, ma perché invincibile?”
Queste le parole che Mario Maniscalco, giovane di Sutera, durante il suo intervento al convegno di mercoledì 14 novembre 2007, ha pronunciato. Perché quest’anno in occasione del 25° anniversario della morte di Lillo Zucchetto, poliziotto suterese vittima della mafia, la partecipazione di noi giovani è stata davvero considerevole. Aldilà del forte legame affettivo, che sebbene non direttamente, ci lega al nostro caro eroe compaesano, ci siamo fatti portavoce dei nostri ideali, dei nostri pensieri e desideri che vanno oltre il semplice ricordo.
La mafia, a noi giovani di Sutera, può forse sembrare distante e sconosciuta, e in un certo senso può anche confortare vivere in questa campana di vetro, lontani da una realtà che ci impressiona e ci disgusta, ma che aldilà di questo sentimento ci lascia fermi, indifferenti, inerti. Ci sentiamo scrollati da un grosso peso, il peso della coscienza, che dovrebbe spingere ognuno di noi alla legalità e non al silenzio. Non esiste omertà più grande di quella di coloro i quali fingendo di non conoscere una realtà, cercano di scappar via, sopraffatti dalla paura.
E il sacrificio di tanti uomini? Lillo Zucchetto ne è un esempio lampante, l’emblema del coraggio e della genuinità. Si, perché proprio questo aspetto è stato messo in evidenza dal giudice Giambattista Tona, partecipante insieme al sindaco Gero Difrancesco e ai questori di Caltanissetta e di Messina al convegno di mercoledì, il quale non avendo potuto conoscere Lillo di persona, ha ricostruito la sua storia attraverso le “carte giudiziarie”, confrontando il lavoro ugualmente rilevante del “generale” e del poliziotto “di provincia”, quale in un certo senso Zucchetto era. Anzi, forse proprio la semplicità di quest’ultimo permette di cogliere minime sfaccettature che un generale magari riterrebbe insignificanti e che invece possono portare a riconoscere e tracciare nuove maglie e nuove storie determinanti per il lavoro dell’antimafia.
Antimafia come sentimento di opposizione che secondo il questore di Messina, prende le sue fondamenta da un’entità d’importanza notevole, la famiglia, responsabile della trasmissione dei veri valori. Antimafia non da “predicare” ma da “praticare”, come afferma il questore di Caltanissetta, ponendoci di fronte alla necessità di andare oltre l’esprimere il nostro dissenso, il nostro rifiuto, per trasformare le parole in fatti. E’ vero che la nostra partecipazione è stata rilevante, sia durante la commemorazione in Chiesa e la corona di fiori al monumento la mattina, sia durante l’allestimento della mostra e il convegno nel pomeriggio, ma quanti di noi continueranno in questa lotta? Saremo, come finora, rassegnati e insensibili o ci metteremo a confronto con la verità? Preferiremo andare via, vivere come se non fosse successo niente, scappare e tacere? E’ dura, è vero, è molto dura. Ma siamo in tanti e possiamo cambiare. “Cambiare mentalità” come afferma il Giovanni Falcone della scenetta da noi rappresentata prima del convegno. Cambiare il silenzio, il nostro annullarci in semplici marionette nelle loro mani, in forza di decisione e in coraggio. Cambiare la visione della nostra Sicilia agli occhi del mondo, per i quali è diventata esclusivamente un’isola colma di corruzione, morte, sangue.
Noi siamo il futuro, siamo la speranza, siamo il cambiamento. E’ una grossa responsabilità. Dobbiamo, in quanto uomini, averne piena coscienza e consapevolezza.

Claudia Pardi

Mafia, una parola grossa, una parola terrificante, una parola non pronunciata per paura.

Mafia, un'organizzazione criminale, che oscura la straordinaria bellezza di una terra ricca di storia, di tradizione, di coste incantate. Mafia, "cancro della nostra isola amata, radicato ed invincibile". Sì, veramente radicato, fortemente organizzato, ma perché invincibile?
Certo è invincibile per chi accetta di vivere nel sopruso, per chi accetta di subire prepotenza, per chi non trova il coraggio di combattere e anche indignarsi dinnanzi ad un'azione priva di ogni senso di legalità, di giustizia. Ma anche pienamente vincibile per chi non concepisce un male causato dall'arroganza e dalla vigliaccheria di gente disturbata interiormente, di gente priva di scrupoli che sconosce ciò che per Kant era il fine della morale umana, ossia il conseguimento del bene per l'interesse dell'intera collettività, e anzi vive in un mondo tutto suo, regolato dalle "leggi d'onore".
Dicevo pienamente vincibile, anzi direi distruttibile, come hanno dimostrato quei grandi eroi, uccisi per aver procurato fastidio, o meglio vere e proprie ferite a quel fenomeno che non vorrei neppure nominare per lo sdegno, e il disgusto che mi provoca che forse è giusto ancora una volta definire: Mafia. Quei grandi eroi, trucidati disumanamente, come un figlio del mio paese, Lillo, orgoglio di tutto il popolo suterese. Un grande uomo di un piccolo paese. Lillo, grido di giustizia, rifiuto dell'arroganza, spina pungente del male, voce del suo popolo sofferente e quindi compagno vero della sua gente, esempio, incarnazione di giustizia e legalità. Si, un vero e proprio esempio per la sua piccola Sutera, ma anche per l'intera Sicilia. Quel grande esempio, modello, che sicuramente ha contribuito alla formazione, educazione di noi suteresi che, affermo orgogliosamente, ci siamo da sempre posti con indifferenza di fronte al fenomeno mafioso. Un paese che disprezza la mafia, per la sua meschina natura, la stessa natura che ha privato familiari, parenti e amici, di un uomo grande e speciale, il nostro Lillo.
E ancora oggi nei nostri cuori riecheggiano quelle parole che un nostro amico suterese scrisse in occasione del secondo anniversario dell'uccisione di Lillo.
“14 novembre delitto Zucchetto. Per il Vallone anniversario di lotta contro la mafia Fra qualche giorno arriverà, monotono e routinario, quel 14 novembre che due anni or sono ha raggelato il sangue del popolo suterese. Arriverà, forse, grigio e piovoso come le giornate che preannuziano l'inverno, come quelle giornate quando uscire di casa rappresenta un problema per il freddo e la pioggia e restarsene dentro significa scandire i secondi aspettando la cena in una interminabile attesa.
Quel giorno qualcuno piangerà intensamente come piange ogni giorno, ogni minuto, e scivolerà ancora più velocemente verso il baratro della morte: qualcuno con i capelli bianchi e le rughe della sofferenza.
Altri ricorderanno, un po’ timidi e smarriti, la caducità della vita accomunando, nel secolare fatalismo, l'assassinio mafioso all'incidente stradale o al male incurabile.
Altri ancora tra il cinismo e la vigliaccheria accenneranno, con sottintesi, con mezze parole, al rischio del mestiere, a quel mestiere che malgrado tutto ha risolto il problema occupazionale a centinaia di giovani.
Ognuno penserà la sua di nascosto, in privato, con gli occhi bassi e la testa china, appesantito dalla paura, dall'impotenza, dalla sfiducia. Ognuno dirà che, fortunatamente, Palermo è lontana più di cento chilometri nascondendo a se stesso, ai suoi figli e ai suoi amici che la Mafia è tanto vicina che molto spesso è dentro di noi: nella nostra cultura, nell'omertà, nella rinunzia al progresso e alla democrazia. Ognuno penserà ai fatti suoi, alla sua vita, a quelle poche cose che possiede e guarderà al futuro, a quella prigione di miseria e schiavitù, con rassegnazione. « LA MAFIA UCCIDE NOI SEPPELLIAMO». La mafia rinnova continuamente il suo lugubre rituale, noi le facciamo i becchini. Questo ruolo ci ha ormai imposto il silenzio!! Questo ruolo assieme a quello di spettatore forzatamente distratto, di assenteista del vivere civile.
Il 14 novembre arriverà, passerà e ci ritroveremo, senza sorprendercene, più abituati che mai, carne avvezza a soffrire diceva Silone, asini da soma il cui carico ci schiaccia lentamente e ci fa strisciare per il resto dei nostri giorni.
Passerà il 14 novembre di quest'anno, dell'anno venturo e di tanti anni ancora. Passerà e passeremo anche noi lasciandoci dietro un mondo disumano, corrotto e senza scrupoli. Passerà, e quella falsa tranquillità interiore in cui viviamo si trasformerà in rimorso, in angoscia, in senso di colpa per avere seppellito la lotta di Lillo Zucchetto, di Pio La Torre, di Chinnici, del generale Dalla Chiesa. (Gero Difrancesco)” Ed è proprio dallo sdegno per la rassegnazione scaturito da queste parole, che noi, in particolare noi giovani, future guide della società, dobbiamo partire per continuare a costruire, creare un mondo sempre migliore, sempre meno indifferente al male, sulla strada intrapresa e indicataci da tutti i grandi eroi come il nostro amico Lillo, con in più la consapevolezza che i responsabili del nostro avvenire siamo noi, ognuno di noi, con il sogno e il diritto di vivere, come scrisse Kant, "con il cielo stellato sopra di noi e la legge morale in noi”.

Mario Maniscalco


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