Semi di senape
Verginità e sacerdozio


Ci sono due modi di rappresentare l’angelo Gabriele che annuncia a Maria l’Incarnazione del Figlio di Dio; ora l’angelo è in piedi dinanzi alla Vergine, ora l’angelo è in ginocchio davanti alla Madre di Dio. Nel primo caso la scelta artistica sottolinea che l’angelo di Dio sta portando l’annunzio e dialoga con Maria; nel secondo caso sottolinea che Maria ha già detto sì all’Incarnazione, ragion per cui l’angelo si inginocchia alla presenza del Dio incarnato nel grembo di Maria. A partire da quest’ultima scena si può formulare un concetto che lega il mistero del sacerdozio al mistero del Natale, o meglio al mistero del Verbo incarnato in Maria Vergine. San Luigi G. de Monfort aveva avvertito questo legame intimo tra verginità e sacerdozio, almeno nella forma di Maria nel cui grembo il Verbo divino, trovando degna dimora, è divenuto sacerdote. Questo significa che il grembo della Vergine è stato come la prima basilica in cui Cristo sacerdote ha ricevuto l’Unzione dello Spirito Santo.
Ci soccorre la tradizione teologica orientale nell’avvertire che l’energia di Dio che santifica la natura e il corpo è lo Spirito di santità. La deificazione è il processo cominciato in Maria, una volta che ha acconsentito alla Parola dell’Angelo. Tale mistero di trasfigurazione ha origine nel corpo del Figlio incarnato e vivificato dallo Spirito. In questo senso la “cristificazione” coinvolge pure Maria. «Io sono il Santo in mezzo a te» conferma la Scrittura per ogni fedele cristiano.
Vivere in modo conforme a Cristo di cui l’uomo e la donna consacrati a Dio riproducono l’amore verginale, è un segno fondamentale di dedizione a Dio Padre; questo in ragione del fatto che tutti i fedeli cristiani sono chiamati alla santità. La virtù della verginità, vissuta in soave e onesta intimità («honestissima clausula» dice un inno della Liturgia in riferimento alla Vergine Madre), costituisce la base naturale della perfezione; ora la grazia di Dio, aggiungendo una perfezione sovrumana, trasforma la virtù ordinaria in virtù eroica; è san Tommaso d’Aquino, nel commento al Vangelo di Matteo (V,1) ad affermare il rapporto di continuità e sviluppo tra natura umana e grazia divina. Dal maestro di Aquino la verginità è chiamata «excellentissima pulchritudo», cioè «splendore assai eccellente» (Summa theologiae, II-II, 152,5). E di simile splendore nel mistero del Natale, Dio stesso ha voluto rivestirsi, celebrando il mistero di Cristo sacerdote, sin dal primo momento dell’Incarnazione.
Si può anzi dire che la manifestazione esterna della gloria di Gesù, come accade nell’Epifania, nella presentazione al Tempio e nel battesimo al fiume Giordano, non sia che uno sviluppo di ciò che all’interno della vita, fisica e spirituale, di Maria era già germogliato. E attraverso di Lei, divenuta Madre di tutti i credenti, i fedeli si ricongiungono al Cristo salvatore. È solo del Cristo però il mistero del sacerdozio, nel senso dell’Ordine sacro, e non di Maria; da Lei certo è nato Gesù, da lei ha inizio il nuovo culto in Spirito (lo Spirito Santo che santifica l’umanità) e verità (la vita stessa del Cristo Logos incarnato). Il sacerdozio come servizio e dignità che tutti i fedeli derivano dal battesimo è pure dono del Cristo nella vita della Chiesa. C’è un aspetto che in relazione al mistero di Dio supera finanche la virtù eccellente della verginità: è l’oblazione di sé al Padre. L’obbedienza è la virtù principe che dà misura, ordine e sviluppo alla castità e alla verginità, alla povertà e alla umiltà. Il decreto del Vaticano II Perfectae caritatis e l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Vita consacrata costituiscono in tal senso delle pietre miliari della teologia della perfezione cristiana. La consacrazione di sé nell’obbedienza prova il perfetto dono di sé; anzi, tutto è ordinato e sottomesso al Cristo redentore, nella misura che tutto è dal Figlio consegnato al Padre. La consegna è la pienezza della regalità; anche il trionfo di Cristo Re è in ordine alla sovranità di Dio Padre (1 Cor 15, 23-28).
Certo Maria, Madre di Dio, non ha propriamente l’ufficio del sacerdozio, ma da Lei è cominciata a santificarsi la carne mortale; e del resto la prerogativa, unica e speciale, di essere divenuta madre e Sposa di Dio, non si comprende se dimentichiamo l’assenso di fede obbediente da Lei dato dicendo: «ecco sono la serva del Signore». L’ufficio che Lei è venuta ad esercitare è stato la dedizione piena (e da qui il frutto della maternità) e integrale (e da qui la virtù della verginità). Gli atti liberi dei cristiani non sono che un’espressione biografica specifica (come ad es. il matrimonio, il ministero ordinato, la vita consacrata e l’apostolato pubblico) di una dedizione a Dio che in Maria ha avuto il suo modello originario. Tutti i battezzati si ricongiungono in qualche modo a Maria per unirsi a Cristo; assumono un tratto di fecondità, in riferimento alla ricettività e dedizione di Maria per Dio. E chi si unisce a Cristo aderisce a Maria; cioè assume una forma di generatività in riferimento alla trasmissione della vita, secondo lo Spirito di santità.

Don Salvatore Falzone


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