Semi di senape
Il santo patrono


Nel libro del Genesi si trova il ciclo di Giuseppe il patriarca; ai capitoli 31-50 si racconta una commovente storia della provvidenza divina; ne prendiamo una scena per giungere poi a capire il significato teologico del santo patrono.
In Gen 45,8 Giuseppe si svela ai fratelli, afflitti dalla carestia, e afferma: «Dio mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d’Egitto». Il patriarca in certo modo conferma la formula di adozione pronunciata prima dal faraone su di lui: «Tu stesso sarai il mio maggiordomo e ai tuoi ordini si schiererà tutto il mio popolo: solo per il trono io sarò più grande di te». (Gen 41,40) Che significa essere padre? In ebraico padre si dice ‘ab’ e riguardo a Giuseppe possiamo dire che egli sia divenuto ‘padre’ del faraone alla maniera di un padre capo tribù responsabile della famiglia, della stirpe, del bestiame e dei beni.
L’immagine del padre o del re non è l’unica e non è neppure fondamentale in Israele per esprimere il rapporto con Dio; c’è sì nella Bibbia un rapporto speciale tra il re e Dio, come si ricava dalla profezia di Natan (2 Sam. 7,14). Il potere regale è esercitato in nome di Dio oppure il re, adottato come figlio, è eletto da Dio (salmo 2); ma quando l’autorità di un re viene meno il popolo si richiama direttamente a Dio (salmo 88). Nella liturgia bizantina del matrimonio si accenna a Giuseppe nel contesto della benedizione degli anelli; la liturgia afferma che il sigillo regale montato sull’anello conferma il potere, la fedeltà e la fiducia che il patriarca ebreo ricevette dal re egiziano.
Nel porre una relazione tra Giuseppe il patriarca e il faraone egiziano mi sembra che anzi la tradizione d’Israele si guardi dal considerare il sovrano, ch’era pagano, come un dio. Uno studioso osserva finanche che nei cicli dei patriarchi del Genesi ‘Dio dei padri’ sia un’espressione che, tra le fonti del Pentateuco, rimanda in senso proprio al Dio personale protettore e familiare dei patriarchi (H. Ringgren). Da qui l’idea che patrono protettore di un popolo diventi colui che è testimone di Dio
Nella tradizione cristiana i santi protettori si distinguono secondo speciali circostanze di salute e sicurezza (malattie, pestilenze, carestia, terremoti); da qui il culto tributato a s. Calogero, a s. Rocco, a s. Rosalia. Ci sono poi santi patroni di chiese locali, come sant’ Eusebio di Vercelli e sant’Ambrogio di Milano che furono insigni fondatori di comunità ecclesiali. Di grande fama sono i santi protettori della Nazione, in quanto segnarono il processo di conversione di un popolo alla fede cristiana.
Per mezzo di essi la Chiesa cattolica cura che la venerazione, tributata loro dal popolo, più che gli atti esteriori incrementi la vita interiore dei fedeli.
Del resto il faraone chiedeva davanti ai ministri: «potremo trovare un uomo come questo, in cui sia lo spirito di Dio?» (Gen 41,38). I santi patroni rivelano come nella loro vita si sia manifestata la grazia divina.
Durante la celebrazione della messa il sacerdote dice lodando Dio «nella vita dei santi ci offri un esempio, nell’intercessione un aiuto, nella comunione di grazie un vincolo di amore fraterno» (Prefazio I dei Santi). Il senso di protezione e intercessione per cui una comunità cittadina si raccomanda al suo patrono deriva dalla matura consapevolezza che Dio dispone ogni bene per il vantaggio dei fedeli, come si intravedeva già nella vicenda dei fratelli di Giuseppe il patriarca.
A volte è strettissima la mutua relazione tra comunità paesana e santo protettore, come nella vicenda di san Bernardo da Corleone. La comunione dei santi riflette proprio il mutuo scambio di beni spirituali tra la Chiesa del cielo e la Chiesa pellegrina sulla terra, avendo uno speciale “deposito” cui attingere, la stessa carità di Dio e del prossimo – insegna il Concilio Vaticano II. «A causa infatti della loro più intima unione con Cristo i beati rinsaldano tutta la Chiesa nella santità, nobilitano il culto che essa rende a Dio qui in terra e in molteplici maniere contribuiscono ad una sua più ampia edificazione» (Lumen gentium, 49)

Sac. Salvatore Falzone


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