Semi di senape
Né dolorismo né sentimentalismo
Il periodo estivo è un tempo di relax in cui ogni cristiano si può riposare; l’autentico riposo dell’anima nasce dal senso di fiducia e abbandono in Dio. Bisogna guardarsi comunque da due pericoli: il dolorismo e il sentimentalismo. L’uno ci porterebbe a disprezzare ogni momento di serenità e d’ilarità, l’altro a compiacercene troppo in una visione incantata e irrealistica della vita. Ci possiamo chiedere allora se la vita cristiana esiga sempre sacrificio ed espiazione.
È diffusa la concezione secondo cui l’oblazione della vita di Gesù in croce sia valsa ai fedeli cristiani come espiazione; questa visione del mistero di Cristo non è falsa, ma a volte viene fondata in modo improprio nella Sacra Scrittura. Il cardinale Albert Vanhoye, biblista di chiara fama, ha dedicato parte dei suoi studi al mistero del sacerdozio di Cristo nel Nuovo Testamento. Egli osserva, e non è l’unico biblista, che nel greco biblico ‘hilasmos’ non ha il significato di ‘vittima di espiazione’, ma ‘strumento di perdono’. Il termine ricorre due volte nella Prima Lettera di Giovanni (2,2 e 4,10) e una volta nella Lettera ai Romani di san Paolo (3,25) ed ha il significato di ‘propiziazione’; in altre parole, Cristo è Colui che ci procura giustizia e santità dinanzi a Dio ed allontana da noi gli effetti del peccato. Cristo è strumento e contesto di purificazione e perdono.
In quanto vero Dio, Cristo ci offre il modo e la ragione per essere degni di presentarci al cospetto di Dio; in quanto vero uomo, stabilisce nella sua vita, e in specifico mediante il suo corpo, la via per essere purificati. Giovanni ne è tanto persuaso da scrivere «se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre; Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di propiziazione per i nostri peccati» (1 Gv 2,1-2).
Di certo Cristo ha dato la sua vita in riscatto e in remissione dei peccati; è comunque proficuo osservare che dall’analisi dei vocaboli greci si risalga ad una affinità semantica tra ‘hilasmos’ e ‘hilaros’ che significa ‘benevolo’, ma pure ‘affabile’ e ‘benigno’. Il primo termine deriva dal verbo ‘hilaskomai’ che significa infatti ‘rendere propizio’, ‘purificare’ ed ‘espiare’. Vogliamo seguire proprio questo ordine decrescente, dall’azione propiziatrice a quella espiatrice.
Nella versione greca della Bibbia ebraica, chiamata LXX, ‘hilasmos’ indica il sacrificio rituale con cui è reso inefficace il peccato; è significativo però che il profeta Ezechiele e il profeta Geremia esprimano oracoli di purificazione (Ger 31,31-34 e Ez. 36, 25-27). I profeti mostrano che a Dio non si offrono sacrifici di espiazione; questi semmai si praticano per riparare ai peccati degli uomini. Se ne trova eco nel salmo di meditazione 48,8 («nessuno può riscattare se stesso, o dare a Dio il suo prezzo») e nel salmo penitenziale 129,3-4 (« Se consideri le colpe, Signore, / Signore, chi potrà sussistere? / Ma presso di te è il perdono»).
Il rapporto con Dio rimane sempre disuguale, come asintoti geometriche. Nel secondo libro dei Maccabei (7,37-38) risalta il passo in cui si narra del martirio dei sette fratelli; il più giovane supplica Dio che «presto diventi benevolo (‘hileos’) in favore del suo popolo». L’uomo, consapevole della sua fragilità, tenta di stornare l’ira divina, ma, non potendo compiere un’azione che sia pari di valore all’agire divino, si arrende a Dio stesso e confida nel suo benevolo giudizio; perciò ‘hilasmos’ è pure ‘perdono’ di Dio.
Ora nei passi giovannei ricordati la costruzione grammaticale e sintattica riprende proprio quella del verbo ‘hilaskesthai’ come nella LXX. Dipende solo dalla ‘benignità’ di Dio che gli uomini siano raggiunti dal Figlio Gesù che è vera forma piena di purificazione e perdono. L’azione di Dio (Dio è sempre soggetto assoluto delle sue opere) conduce l’uomo a propiziarsi la sua benevolenza, a purificare gli uomini e infine ad espiare i peccati degli uomini (i destinatari sono sempre termine dell’azione svolta dal soggetto divino).
Questi vocaboli, che riguardano le forme della propiziazione, hanno una radice che è in comune tra ‘hilaros’ e ‘hileos’. Anche noi diciamo di qualcuno: «è ìlare!», quando dal volto emana serenità e letizia; in questo è campione il nostro serafico san Francesco d’Assisi. Tanto più ammiriamo chi tiene perfetta letizia se sopportando con pazienza le avversità e le persecuzioni, manifesta soave benignità verso i suoi nemici.
Il Signore Gesù, quando subiva la passione, sopportava con serenità d’animo le sofferenze inflittegli; egli rivolgeva ai persecutori giudei uno sguardo di benignità comprensiva; ai soldati romani che lo inchiodavano alla croce offriva se stesso come perdono; e ai discepoli increduli il Risorto mostrava ìlare il suo volto glorioso.
Ci sembra che uno sviluppo di questa visione delle cose si trovi nella preghiera eucaristica V/A; dopo la consacrazione dei santi doni il celebrante prega che il Papa e i vescovi «possano irradiare nel mondo gioia e fiducia». Il mondo nel linguaggio dell’apostolo Giovanni è pure ciò che può allontanarsi da Dio per via della corruzione e del peccato; anche lì per quanto sta ad ogni cristiano bisogna portare lieta fiducia in Dio.
Sac. Salvatore Falzone
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