Memorie d’Africa
(1.1.1936 – 4.10.1946)
di Giuseppe Scannella
17a puntata


Foto n. 65 – Gilgil: Statuetta di S. Michele Arcang. con scalpello

Ciò che mi soddisfa maggiormente sono i particolari ottenuti tutti quanti dallo stesso legno: la corona di spine, le gocce di sangue che fuoriescono dalle numerose ferite, i grumi, l’espressione di dolore e di preghiera degli occhi, il dramma dell’ultimo respiro, la bocca socchiusa in segno di sofferenza con evidenti la chiostra dei denti e lo stesso palato; tutto quanto trascina l’osservatore in un’atmosfera di dramma più umano che divino, nella quale si avverte la percezione di un Dio-Uomo che grida: Padre mio, perché mi hai abbandonato?

Foto n. 66 – Nairobi: 1° premio alla Mostra Nazionale del Kenya

Insomma, questo pezzo di busto umano, nelle sue notevoli dimensioni di una volta e mezzo il naturale, sembra che parli veramente! Completo infine l’opera munendola di un piedistallo costituito da una base di legno color acero contornata da un bordo di circa 3 centimetri (vedi foto n. 66).
Soddisfatto, dunque, un bel giorno verso le 14,30 avvolgo la scultura in un lenzuolo e mi reco nella sacrestia della Chiesa sita nel campo n°2, dove i Padri sono soliti prendere il caffè od il tè, e prima che loro entrino colloco sul tavolo la

Foto n. 67- Gilgil: Bassorilievo di San Michele Arc.

scultura rivolta verso l’ingresso. Di nascosto aspetto l’arrivo dei Padri; il primo ad entrare è proprio quel Padre Ricci che mesi prima mi aveva consigliato di bruciare il legno da utilizzare per creare la scultura.
Appena vede questo meraviglioso Cristo morente, così espressivo e perfetto nelle forme, si arresta come impietrito, quindi si avvicina e cerca la firma dell’autore; non appena legge “G.ppe Scannella – Gilgil - Campo 353 - Giugno 1943“ pronunzia quasi solennemente: “Se non avessi visto coi miei stessi occhi che questa scultura è stata realizzata proprio dallo Scannella, io non crederei assolutissimamente che sia proprio lui l’autore!
In questo preciso momento, esco dal nascondiglio e gli ricordo anche quelle altre parole rivelatesi prive di senso, per le quali egli ora mi chiede infinite scuse.
Passano quindi ai complimenti più sinceri e, con l’occasione, riconoscendo ormai tutti quanti le mia capacità, mi invitano a realizzare delle statuette di circa 70-80 cm. di altezza, per adornare le cappellette vuote della Chiesa.
Lusingato di questo ulteriore riconoscimento e fiducia nelle mie capacità, accolgo volentieri tale richiesta esigendo tuttavia che siano loro a procurarmi i pezzi di legno necessari.
La Domenica successiva, durante l’omelìa viene data a tutti i presenti questa notizia con l’appello a procurare la materia prima; alla fine della S.Messa, intanto, si presenta un altro volenteroso e bravo prigioniero che offre la propria disponibilità a realizzare una delle due statuette. I Padri allora affidano a questo artista l’incombenza di fare la statua della Madonna di Lourdes ed a me invece quella del S. Cuore di Gesù. Nell’arco di pochi giorni i due pezzi di legno son pronti; ognuno preleva il proprio e si mette all’opera aiutato da qualche volenteroso amico.

Foto n. 68 – Gilgil: Madonna di Lourdes

Io trovo nel compaesano Vincenzo Di Lena da Mussomeli (paese molto vicino al mio) un bravo aiutante che collabora nel tenermi fermo il legno e nel farmi compagnia, anche se poveretto deve starnutire maledettamente e di continuo assieme a me, a causa della natura del legno: il tremendo pepe selvatico. Per inciso è bene ricordare che anch’egli ormai è un grande ammiratore dei miei lavori, specialmente del San Michele, al punto che in questa circostanza approfitta per “estorcermi” la promessa di scolpire per lui un ricordo della prigionìa.
Dovrà intanto aspettare parecchi mesi prima ch’io sia disponibile a realizzare un’ulteriore opera; ma il 24 Dicembre 1943 comunque gli regalo un bel quadro (21 x 29 cm.), eseguito in altorilievo sullo stesso tipo di legno rosso-scuro della statuetta, raffigurante sempre lArcangelo Michele che scaccia il Lucifero (vedi foto n° 67). Intanto, dopo circa 60 giorni termino la mia opera, ma mi tocca anche completare la Madonna di Lourdes, perché l’autore nel frattempo viene trasferito in un altro accampamento. Queste altre due sculture (vedi foto n° 68 e 69) con le centinaia di altre meravigliose realizzazioni, evidenziano ancora una volta le capacità nascoste delle migliaia di prigionieri, ognuno dei quali è in grado di esprimere il meglio di sé stesso nei settori più impensati: noi ed alcuni altri,nel campo della scultura; altri in quello del modellismo; altri ancora nelle microriproduzioni, e così via.
In particolare è impressionante, ad esempio, vedere un violino realizzato con migliaia e migliaia di fiammiferi usati; oppure modellini di aerei o navi che funzionano alla perfezione come quelli veri; oppure infine una minuscola radio dalle dimensioni di una scatola di fiammiferi. Con molta probabilità è vero quanto si afferma che ogni uomo nasconde in sé svariate doti che solo perché non esistono le condizioni propizie, non emergono; infatti qui, forse perché bisogna scacciare la noia e la tristezza o emulare la bravura di altri, si assiste ad una vera esplosione di geni ed artisti! Una volta che i Padri restano soddisfatti dei lavori effettuati, ritengono sia opportuno approfittare della concomitante circostanza di una mostra a carattere nazionale nella città di Nairobi, inviandovi tutte le mie opere.
L’idea mi piace; dò quindi il mio benestare ad eccezione del San Michele Arcangelo, per cui l’Ultimo Respiro di Cristo in croce, il S.Cuore di Gesù e la Madonna di Lourdes vengono inviate a questa Mostra Nazionale di Nairobi. Non passano molti giorni che una notizia per me eccezionale mi arriva non solo tramite la Radio ma anche col Giornalino del campo: la giurìa di Nairobi assegna il 1° premio assoluto al Cristo Morente di Scannella Giuseppe. La mia gioia allora supera ogni confine, e tale riconoscimento diventa anche motivo di fama perfino al di fuori dei confini del nostro accampamento.

Foto n.69 – Gilgil: Statua del S. Cuore

Infatti, da una Missione vicina a Gilgil, un Prete inglese mi fa pervenire la richiesta di una scultura simile a quella premiata, ma quando viene a sapere che i tempi di realizzazione sono alquanto lunghi non tanto per l’esecuzione vera e propria quanto specialmente per la stagionatura del legno, pressato dall’imminente rientro in Inghilterra, è costretto a rinunziarci.

CAP. XXXVIII
Trasferimento al Campo 351 di Nairobi

L a vita al Campo 353 di Gilgil, quindi, trascorre nel miglior dei modi, almeno per chi come me si è dato da fare in attività varie, utili sia dal punto di vista finanziario che dilettantistico.
Tuttavia, però, un bel giorno accade qualcosa che, pur essendo per me motivo d’agevolazione, nel contempo rappresenta purtroppo anche l’inizio della fine di un sistema di vita per me fin troppo soddisfacente.
Verso metà mattinata, dunque, entra nella mia baracca un prigioniero che accompagna da me un Ufficiale italiano mai visto prima d’ora. Licenziato l’accompagnatore, questi si presenta subito come l’Ingegner tal dei tali, colui che in pratica ha realizzato di recente le centinaia di chilometri di strada congiungente Addìs Abeba con Gimma. Per avvalorare la propria identità, egli insiste nel recarci insieme da Padre Ricci che lo conosce fin troppo bene. A questo punto, per venire al sodo, io gli chiedo cosa vuole da me, ed egli con altrettanta franchezza mi dice: “Son venuto a sapere da amici fidati che qui solo lei mi può aiutare; visto che il sistema alimentare inglese non fa per me e quindi devo sopperire con mezzi miei, avrei bisogno di 50.000 lire che io potrei restituire tramite mio padre direttamente alla sua famiglia in Sicilia.
In pratica, visto che i miei abitano in provincia di Catania, con una lettera darei loro disposizione di far avere la somma prestata a sua moglie, e quindi non appena lei verrà a conoscenza dell’avvenuta restituzione, strapperà la ricevuta“.
Appena sento un tal discorso, dato che si tratterebbe di una somma rilevante, equivalente praticamente allo stipendio di circa un intero anno di un Ufficiale, nel mio intimo mi dibatto tra la preoccupazione di veder perso il frutto di tante mie fatiche, e la soddisfazione di trasferire comodamente una sì ingente somma direttamente ai miei famigliari.
Rispondo intanto che potrei essere d’accordo solo se mi dà sufficienti garanzie; l’Ingegnere subito mi tranquillizza ripetendomi che il comune amico Padre Ricci è in grado di assicurare la sua identità e serietà, aggiungendo anche le firme di due testimoni in calce alla ricevuta che mi farebbe. Tranquillizzato in parte da questo modo di parlare, ci rechiamo allora da Padre Ricci, il quale non appena lo vede gli va incontro affabilmente salutandolo come si fa con amici di vecchia data.
Dopo i convenevoli, gli chiede come mai si trova da queste parti, al che risponde:
“Ho chiesto un permesso alla famiglia che mi ospita presso una fattoria inglese non molto distante da Gilgil.
Son venuto perché ho bisogno di denaro ed ho saputo che il signor Scannella è l’unico in questo ambiente a potermelo dare. Visto però ch’egli non mi conosce, siam venuti da Lei per avallare la mia identità e la lealtà dei miei impegni. Se lei non ha nulla in contrario, io porterei qui anche due testimoni per firmare la ricevuta dei soldi “.
L’incontro pertanto si chiude con i saluti e col mio benestare alla richiesta; egli quindi va via fissando l’appuntamento qui , mentre io resto un po’ a parlare di lui con Padre Ricci.
Il Reverendo allora mi confida che l’Ingegnere è figlio di un Commendatore molto noto e grossissimo proprietario di terreni in provincia di Catania, al punto che con i loro possedimenti la famiglia potrebbe comprare mezza Sicilia. Con tali referenze di tutto rispetto mi accomiato dal Padre, contento di fare questo accordo perché in tal modo comincerei a smaltire il denaro accumulato ed inviarlo indirettamente ai miei in Italia senza problemi di sorta, anzi nel modo più semplice e sicuro che esista.
Il giorno dell’appuntamento ci presentiamo secondo le modalità stabilite: io consegno all’Ufficiale la somma richiesta ed egli mi firma la ricevuta, controfirmata da due Tenenti testimoni dell’avvenuta consegna, con l’assicurazione formale che nel più breve tempo possibile i miei famigliari in Sicilia avranno la restituzione dell’intera somma.
L’indomani tuttavia, vengo chiamato dal Colonnello Comandante italiano nel campo, il quale mi redarguisce in presenza dei due Tenenti testimoni del prestito, ricordandomi che un tale rischio è decisamente troppo elevato per uno come me che non conosce direttamente una persona simile. Nel ringraziarlo per l’interessamento, tuttavia, gli ricordo quanto mi è stato riferito, e cioè che con ciò che la famiglia di costui possiede si può acquistare mezza Sicilia , oltre al fatto che la stupenda strada che congiunge Gimma alla Capitale è stata realizzata proprio da loro. Non avendo altro da dirmi, il Colonnello mi licenzia e così torno alle mie solite attività, ovviamente con una apprensione in più dopo l’intervento del Colonnello.
Per fortuna, trascorso un po’ di tempo, ricevo una lettera da mia moglie con la quale mi assicura d’aver ricevuto questa bella somma di denaro, caduta dal cielo come una grazia in tempi di grandi difficoltà economiche e di magra come questi. In effetti è diventato problematico portare avanti una famiglia numerosa costituita dalla mia mamma, Lilla con i due bambini e le mie due sorelle Maria e Giovannina, cioé solo da donne e bambini senza alcuno che lavori per sfamarli. Intanto dopo circa altri 4 mesi, l’Ingengere si presenta ancora per un altro prestito della stessa entità del precedente, ed io stavolta non ho alcun tentennamento nel concederglielo, visto il buon esito del primo.
Ma anche semplici prigionieri, miei conoscenti, vengono spesso a cercarmi per avere scambiate monete di grosso taglio o scellini con lire italiane, dato che ormai sono in tanti a conoscere la mia discreta disponibilità di denaro.
La mattina del Giovedì Santo (6 Aprile 1944), ad esempio, viene a trovarmi nella baracca un vecchio conoscente, un napoletano di nome Totuccio che lavorava a Gimma come cameriere al Bar “La Fragola“. Egli, dopo avermi salutato, mi chiede il favore di cambiargli 10 scellini, cosa che io faccio volentieri prelevando davanti a lui dalla valigia le equivalenti 50 lire.
Il napoletano allora, notando tutto con sbigottimento, esclama: “Don Peppino (si ricordi che il “don” è usato nel Sud d’Italia in segno di rispetto), state più attento a come e dove conservate i vostri soldi, visto che la notte scorsa dei mariuoli sono entrati nella baraccca n° 38, hanno abbattuto la porta dello sgabuzzino ed hanno rapinato quanto trovato”.
Nel ringraziarlo del suggerimento, fingo che la cosa non mi tocchi da vicino, ma non appena egli va via, vedo in quest’uomo com un inviato della Provvidenza che mi avverte effettivamente di stare più attento al denaro accumulato, avendone una prova dopo alcune ore. Perciò, estraggo dalla valigia degli attrezzi la cassettina contenente le monete di vario taglio e tipo, lasciandovi solo qualche soldo, e la nascondo sotto il capezzale della brandina. La sera, verso le ore 22, io ed i miei compagni di baracca assieme a tanti altri prigionieri ci rechiamo in Chiesa per l’ora di adorazione al Santissimo e per le cerimonie del Giovedì Santo, per cui fino ad oltre mezzanotte restiamo lontani dalla baracca. A conclusione dei riti religiosi, due prigionieri mi sollecitano il ritiro dei loro orologi riparati, per cui ci avviamo verso il nostro campo sotto un diluvio infernale che nel frattempo si scatena come d’incanto.
Raggiunta a mala pena la baracca, alla fioca luce di una lucciola a petrolio, trovo con rammarico il finestrino del mio sgabuzzino aperto e la valigia tutta sottosopra: i vari oggetti sono sparsi disordinatamente dappertutto, compresi gli orologi nuovi ed i soldi, ma mi manca la pietra di allume con la quale sono solito disinfettare e rinfrescare il viso dopo essermi rasato.
Per il resto noto che non mi manca altro, compreso il denaro che avvedutamente avevo nascosto sotto il capezzale; immagino allora che il ladro col buio abbia creduto di avermi rubato un bel diamante. Comunque per me questo è decisamente il primo di due strani avvenimenti che sanno di trascendentale.
L’altro fatto ancor più misterioso accade uno dei tanti giorni in cui camminando per il campo vengo avvicinato da un tipo mai visto prima d’ora.
Questi con un fare convincente mi dichiara che per la stima che ha in me mi vuol fare un gran regalo costituito da un segreto chirurgico; e mentre io sto ad ascoltarlo sbigottito e stranizzato, questi mi spiega dettagliatamente come si fa a guarire dal terribile male della sciatica.

Continua – 17

Le precedenti puntate sono state pubblicate nei numeri di: 1 - Gennaio-Febbraio, 2- Aprile, 3 - Maggio-Giugno, 4 - Luglio, 5 - Agosto-Settembre, 6 - Nov.-Dic. 2006; 7 - Genn.-Febbr., 8 - Marzo, 9 - Aprile, 10 - Maggio-Giugno, 11 - Luglio-Agosto, 12 - Settembre-Ottobre, 13 - Nov. Dic. 2007; 14 – Genn.-Febbr.; 15 Marzo-Aprile; 16 Maggio 2008.


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