San Cono e Montedoro: una stretta parentela



Contesto storico.
Nel 1750 Montedoro contava 1656 abitanti molti dei quali dediti ai lavori dei campi, all’artigianato e alla pastorizia. La principale coltura era quella seminatoriale; i vigneti e i mandorleti erano sufficienti al consumo locale. Tutte le altre cibarie come orzi, fave, lenticchie si coltivavano con buona intelligenza e servivano di cibo alla povera gente. Si trovavano pioppeti di prima e seconda classe e fichidindia di prima, seconda e terza classe, oltre i canneti. Le case erano umili giacché nella massima parte a pian di terra. Le strade erano lunghe e quasi tutte in linea retta, ma non selciate. Le percolanti acque dei monti, la natura e giacitura del suolo, la mancanza di alberi e altre migliorie, in vicinanza del caseggiato, vi facevano respirare un’aria non tanto salubre e producevano una temperatura or calda umida, or fredda umida, a seconda delle varie stagioni che la salute veniva travagliata da freddi intermittenti, da reuma e gotta. Gli abitanti erano quasi tutti coloni, buoni e amanti del lavoro. Le donne erano avvenenti, assai docili e laboriose. I ragazzi erano parimenti docili, ma la loro educazione era poco curata.(Dalla relazione del Controllore Domenico Iezzi )
In quel periodo vi erano scarsi raccolti, carestie tanto che un anno, il 1793, è passato alla storia come “annata della fame”. A tutto questo si aggiungeva l’esosità dei tributi che si pagavano ai prepotenti del paese. La povera gente per sfuggire alle vessazioni ed anche alle persecuzioni ha abbandonato il paese cercando di rifarsi una vita più serena in altre località. San Cono
La tradizione dice che, la maggior parte degli emigrati montedoresi, andò nel paesello di San Cono, in provincia di Catania, fondato nel 1785 dal Marchese Ottaviano Trigona Bellotti, dove usufruì dei benefici concessi ai primi abitanti e si fuse con le altre famiglie provenienti da diversi paesi. Parecchi dei casati che popolarono San Cono portano il cognome di tante famiglie di Montedoro: Mantione, Randazzo, Milazzo, Morreale, Chiarelli, Rizzo, Salvo trasformato in Di Salvo, Miccichè, Anzalone, Mulè, Capobianco,Montana, Infantino, Galante, Sferrazza trasformato in Sferrazzo, Palmeri, Palmieri, Scibetta, Cammarata, Volpe, Lanza, Barbera, Sciandra trasformato in D’Alessandro, ecc.
San Cono, sito in un pianalto, ha un territorio abbondantemente irriguo con coltivazione di viti,ulivi e ficheti d’india che negli ultimi anni, per la diffusione e la coltivazione razionale di oltre 1.400 Ettari, nel solo suo territorio, si è guadagnato il titolo di “Capitale del ficodindia” dando, sempre più, la scalata ai mercati nazionali ed esteri. La prima domenica di Ottobre, da oltre 20 anni, viene celebrata La sagra del ficodindia in coincidenza con l’inizio della produzione del cosiddetto “fiorone” o “bastardone”. Tra gli avvenimenti più importanti della vita del paese c’è la Festa di San Cono, celebrata la seconda domenica di Maggio e la domenica successiva si celebra “l’ottava”quando, si esprime, in multiformi modi, l’anima di tutto il paese. Un altro evento, unico nella tradizione contadina siciliana, è costituito da “Le carrivalate” quando un drappello di uomini in maschera – nel periodo di carnevale - percorre le vie del paese a dorso di cavalcature e poi, nei cantoni più frequentati e nelle piazze, si raccoglie e recita alla gente con toni didascalici la propria parte, grazie ai diversi poeti popolari che ancora oggi continuano questo genere letterario.
Nella letteratura si trovano riferimenti a San Cono in diversi autori. Il primo risale a Tomasi di Lampedusa nel suo romanzo Il Gattopardo, dove è scritto che Padre Pirrone è nato a San Cono “un paese piccino piccino…”. Un articolo di Leonardo Sciascia intitolato: Gli ozi di San Cono, su Nuovo Mezzogiorno del dicembre del 1962 ed un altro in “Feste religiose in Sicilia”. Un riferimento alla strada lunga di San Cono “si vede” nel film dei fratelli Taviani,”Un uomo da bruciare”. Gesualdo Bufalino cita la “Capitale del ficodindia” in due romanzi: Le menzogne della notte e La luce e il lutto. Nel libro di Consolo, Le pietre di Pantalica, si parla dell’occupazione delle terre dei sanconesi. Sullo stesso argomento Consolo disserta nel libro di Carlo Incudine, Naso illustrata.

Lillo Paruzzo


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