Semi di senape
«Stella maris»


Con l’Avvento e il Natale risalta la figura di Maria che viene invocata sotto diversi titoli, tra cui «Stella maris», titolo tratto dal canto gregoriano «Alma Redemptoris Mater» che si suole eseguire in Avvento. «Stella maris» viene attribuito a Maria, la madre di Gesù, in quanto orienta tutti i naviganti verso il porto di sicura salvezza. Nelle notti invernali capita che la volta celeste si schiarisca dopo piogge intense o bufere di neve e di primo mattino sia possibile osservare bene le costellazioni; tra di esse la stella polare è di particolare luminosità e mentre la volta celeste completa la sua rotazione la stella polare rimane un punto di riferimento sicuro per orientarsi, specialmente in mare aperto.
La Vergine madre è celebrata nella tradizione della Chiesa come «astro che non tramonta» e come «aurora inestinguibile». Lei, vergine, nella sua fragile umanità, precede la luce del Verbo incarnato e come madre accompagna la parabola del «sole di giustizia»nascente, Gesù Cristo. Tale meraviglia della bontà di Dio tutta la creazione contempla con stupore: «natura mirante» recita il canto gregoriano che nella sua struttura melodica sospinge verso toni alti, come a significare l’alto destino che sfiora l’uomo peccatore e verso il quale può giungere confidando in Maria.
Per mezzo di Lei si dice che si sia aperta di nuovo la via del paradiso; ed anzi l’uomo stesso si rinnovi per il mistero del Cristo «homo novissimus». È il Verbo incarnato il mistero centrale del Natale; e l’umanità del Verbo incarnato chiama in causa e rinnova la condizione di tutte le creature, al punto che anche il creato (dalle stelle alle profondità della terra) esulta. L’«homo novissimus» che si manifestò nella grotta di Betlemme è lo stesso vero uomo e vero Dio che la Chiesa invoca per il giudizio e la ricapitolazione di tutte le cose («Gaudium et spes» 22). In altre parole, dacché si avvicina l’«homo novissimus», ogni uomo che accoglie il lieto annunzio del Natale si predispone ai novissimi; la sua fine (mortale) è presto in-vocata e pro-vocata per un fine (immortale). L’in-vocare è la più matura risposta dell’uomo alla pro-vocazione divina.
San Gregorio Nazianzeno in un discorso sul Natale dice: «ecco la solennità che oggi celebriamo: l’arrivo di Dio presso gli uomini, affinché noi andiamo a Dio, o piuttosto – è più esatto – affinché torniamo a Lui: affinché spogliandoci dell’uomo vecchio, ci rivestiamo del nuovo, e come siamo morti in Adamo, così viviamo in Cristo, nasciamo con Lui, risuscitiamo con Lui». (Or. 38)
Maria che diviene Madre del Verbo è la «Theotokos», come sancì in modo solenne il Concilio di Efeso, nel 431: è questo il titolo più importante di Maria. Dire di Lei che è Madre di Dio significa che è genitrice del Figlio incarnato. Un titolo che a dire il vero non ha pari, perché trasforma radicalmente la condizione di Maria. Un altro canto gregoriano esprime questo articolo dogmatico con tale esaltazione da far esclamare: «Virgo Dei Genitrix, quem totus non capit orbis». E significa che la Madre nel suo grembo porta «Colui che neppure il mondo creato contiene». Lo sviluppo del canto è un vertice delicato di speranza: «i crimini del mondo» venne a purificare l’Unigenito Figlio. Anche qui si nota che come uno spasimo di dolore ed esultanza avvolga il mondo creato che diviene partecipe del fremito di liberazione a cui anela l’umanità.
Proviamo ad immaginare l’estensione del mistero del Natale non come una decorazione della natura, ma come una trasformazione incipiente di tutto il creato a partire dal mistero della verginità feconda di Maria: è un mistero che ha fatto tanto esultare i mistici e i teologi dell’Oriente cristiano, al punto che a Maria sono attribuite espressioni insolite alle orecchie di noi occidentali: «suolo che fai germogliare abbondanza di misericordia» e «mensa che presenti pienezza di doni», e ancora «tipo splendente della risurrezione» e «gradito incenso di intercessione», «nave di quelli che vogliono salvarsi». Così recita l’inno «Akathistos», che è una delle espressioni più alte del cristianesimo bizantino.
Tra le espressioni più devote della pietà mariana si trova il teologo cantore, Efrem il Siro, del IV secolo d. C. il quale ammirando Maria «la sorella piena di discernimento», per primo tra tutti i Padri della Chiesa immagina le emozioni intime di Maria presso la culla del suo Figlio Unigenito; in tanta arditezza di immagini e di simboli Efrem è il primo a testimoniare l’apparizione di Gesù risorto a Maria che gioisce per la vittoria del Figlio (Com. Dia. 20-28). Non si deve dimenticare comunque che alla base degli inni e dei simboli mariani sono sempre la Sacra Scrittura e le definizioni degli antichi Concili ecumenici. Dalla Scrittura derivano molte delle analogie cosmiche predicate di Maria; e del resto neppure nel mondo cattolico latino sono mancate ardite espressioni di teologia mariana. Un esempio per tutti è il Mariale del beato Antonio M. Fasani; esso costituisce una elevata interpretazione del Cantico dei Cantici in chiave mariologica.

Don Salvatore Falzone


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