Diario di viaggio in Alta Savoia, 23–31 luglio 2008
Incontri con la gente di casa nostra di don Salvatore Falzone


Mercoledì, 23 luglio

Dall’aeroporto Saint-Exupéry di Lione mi prelevano Marc Remy e Rosalia Di Carlo. Lui è francese e nei giorni seguenti mostrerà quanto sia affezionato alla città di Lione. Lei è di origine siciliana, anzi di Campofranco; a parte l’infanzia, lei è cresciuta nella regione della Moselle, dove il padre era emigrato negli anni cinquanta. Dopo le nozze, venire ad abitare con Marc nel circondario di Lione, è stato come una seconda emigrazione. A Communay abitano già da qualche tempo e già nel tardo pomeriggio mi portano a vedere il quartiere più antico. Al n. 24 di rue centrale si trova la boulangerie di Mimmo e Sandra: producono pane e dolci squisiti. Il loro nome rivela che sono di origine italiana; o meglio, come mi spiega Rosalia, i loro genitori sono della provincia di Trapani.
Si dice che i quartieri moderni vadano a formare un «paese dormitorio» perché di giorno escono tutti per lavorare e la sera si ritirano nelle loro villette. Passeggiando per i vialetti, prima del tramonto, i giovani si incontrano in bicicletta; il loro punto di ritrovo è la chiesa, ma nel paese non c’è più un curato. La crisi delle vocazioni si avverte molto da queste parti; per un’area di circa diecimila abitanti che include tre Comuni c’è un solo prete. Uno dei ricordi più vivi dell’infanzia di Rosalia, divenuta intanto Rosy, è legato a don Nazareno Falletta e alle suore domenicane dell’Istituto San Giuseppe di Campofranco. Qui ricevette la prima istruzione scolastica e religiosa. Al paese natìo aveva cominciato pure la scuola media; lasciò il paese che aveva 11 anni. E così completò le scuole in Francia, integrando tutti i corsi previsti allora dallo Stato. La fatica dell’integrazione non fu solo scolastica e linguistica, ma pure sociale e ambientale, non solo per lei ma pure per le sorelle maggiori. Frequentando la Gioventù di Azione cattolica poi, conobbe Marc con cui decise di sposarsi. Dal loro matrimonio è nata Christella che ha avuto un bambino di nome Florian Calogero. Sì, il secondo nome è stato dato in ricordo di san Calogero! Ora in Francia non è più un nome raro; Calogero è il nome di un cantante rock, e Au milieu des autres è il titolo di un album che nel 2000 ha avuto un certo successo in Francia.
È il 23 luglio pomeriggio e il Tour de France fa tappa a l’Alpe d’Huz; Marc ne segue con interesse lo svolgimento. È appassionato di ciclismo, come io del resto; ne conosco poco la storia, ma mi diletto di correre in bici. La conversazione si svolge in francese. Si guarda su una cartina il percorso del Tour e poi in vista del viaggio dell’indomani evidenziamo l’Alta Savoia.

Giovedì, 24 luglio

Da Communay partiamo quando è l’alba per raggiungere Annecy; la distanza è di almeno 140 km. Si percorre la E 45 e poi la E 41: Aix-les-Bains e Chambéry sono i nomi di città che fanno sgranare i miei occhi. Si parla del Chiablese, cioè una sotto-area dell’Alta Savoia. È la terra di san Francesco di Sales che da giovane prete riconquistò l’area al cattolicesimo, mentre nel territorio accestiva la Riforma di Lutero. Ad Annecy, all’interno dello Stato savoiardo, venne a stabilirsi Francesco di Sales, principe vescovo di Ginevra, una volta che là, nel corso del XVI secolo trionfava la Riforma di Calvino. Titolo migliore forse non si può dare ad Annecy di petite coquille, come una perla preziosa ben custodita nel suo guscio. Sebbene intorno cresca l’agglomerato urbano, il cuore della città è assai godibile; agréable è il termine francese per esprimere gradevolezza unitamente a raffinatezza. Qui si può venire per imparare il buon gusto, sotto ogni aspetto. Da sotto i maestosi platani di Viale d’Albigny gli occhi scorrono lungo il lago e oltre, verso le montagne; quando ci fermiamo nell’area del Pâquier lo sguardo si inebria dello spettacolo della natura.
Marc e Rosy erano stati già ad Annecy, ma stavolta la contemplano da un’altra prospettiva; abbiamo scelto l’itinerario chiamato «sulle orme di Francesco di Sales». La città appare attraente ai loro occhi. Ci addentriamo nella città vecchia: di fronte la chiesa di san Francesco di Sales sta il Palais de l’Ile. Il maniero si incunea nel fiume Thiou come un vascello di pirati, incagliato tra gli scogli del fondale. Attraversiamo il ponte Perrière per trovare un locale dove pranzare. Sul lato opposto alla passerella de l’Ile, le case conservano l’aspetto originario e nei locali a pianterreno si trovano dei ristorantini graziosi. Marc e Rosy mi introducono alle specialità locali. La tartiflette è il pasto savoiardo per eccellenza e contiene una selezione di formaggi e patate conditi con funghi locali; poi la fondue, che è diffusa pure in altre regioni. Un dolce davvero squisito è il krumble: assomiglia ad uno strudel di mele, però mantiene lo stile francese. Le chiese di Annecy formano una sola parrocchia; in una di queste chiese troviamo dei volantini che riproducono una testimonianza di Ingrid Betancourt, rimandata libera dai suoi rapitori. La recente liberazione ha avuto rilievo su tutti i giornali del mondo. Il volantino dedica molte righe al modo in cui la Betancourt pregava durante il periodo in cui era ostaggio delle Farc. La chiesa in cui troviamo il volantino è abbastanza conosciuta in quanto è la sede della Missione cattolica italiana; qui si incontrano gli italiani di Annecy.
Nel centro storico di Annecy si trova la Cattedrale dove Francesco di Sales esercitò il suo ministero di vescovo dal 1601 al 1622. Altro personaggio illustre ad Annecy è Jean Jacques Rousseau che imparò la musica presso la Maison de la Maîtrise. Adiacente a questo edificio è il Palazzo Lambert dove abitò il santo vescovo, mentre di fronte si trova la Cattedrale e accanto alla chiesa il Palazzo episcopale ora divenuto Scuola Nazionale di musica e danza. Edifici di gran valore artistico e personaggi della storia che si intersecano in modo inedito!

Venerdì, 25 luglio
La visita a Lione è diretta da Marc; prova particolare soddisfazione per una città che ammira e di cui è molto orgoglioso.
C’è un legame di causa forse, tra il lavoro che ha svolto nella città come autista per la rete urbana (bus, come tram etc.) e le manifestazioni dell’8 dicembre, quando la città (le vie, le piazze e i ponti, le case e le finestre, i mezzi di trasporto e i viali) si orna di luminarie a festa. Prendiamo la funicolare che ci conduce a Fourvière; Marc fa conoscere, a me e a sua moglie, il livello avanzato dei trasporti a Lione. La visita al santuario di Notre Dame de Fourvière e ai quartieri storici di Lione si svolge come in un ammirato incanto. Di Lione sono caratteristiche due cose: il Guignol, un burattino dal temperamento focoso e dai modi insolenti, e i traboules, cioè dei corridoi che permettono di passare rapidamente da una via ad un’altra; i corridoi attraversano gli edifici e si aprono uno dopo l’altro. Del Guignol si vendono speciali edizioni in dvd che posso spedire ai miei nipoti; è il passo in avanti della tecnologia e delle poste. Dei traboules si può immaginare che siano stati utili a salvare vite umane, durante i giorni dell’eroica Resistenza francese contro i nazisti. Nella chiesa inferiore della basilica di Notre Dame de Fourvière si trova un mosaico dell’artista Larissa d’Odessa dedicato al cammino di Santiago de Compostela. La vita del santo apostolo è bene illustrata; si nota comunque un segno dei nostri tempi; il santo non è mai presentato come matamoros come si riscontra in certe edicole medievali di edifici e strade della Spagna meridionale. Inoltre si dà più attenzione al pellegrinaggio, cioè all’insieme degli uomini che cercano Dio, a partire dallo loro condizione. Il titolo dell’opera, non a caso, è La vita di San Giacomo di Compostela. E questo proprio nel giorno in cui la Chiesa cattolica festeggia san Giacomo apostolo.
Rientrati per il pranzo, a Communay, nel pomeriggio con Rosy vado a visitare la Cappella medievale dove si venera Notre Dame de Limon. Qui le donne associate nella recita abituale del Rosario diffondono un foglio di collegamento: Les Amîs de Notre Dame de Limon. In questo modesto santuario pare che sostassero molti predicatori missionari, diretti a nord e nel centro della Francia. Rosy mi conduce a visitare pure Saint Symphorien d’Ozon dove si trova la chiesa parrocchiale di S. Claude de la Colombière. È molto sentito questo legame tra realtà locali e spiritualità francese; il discorso che abbozziamo riguarda la spiritualità del Sacro Cuore che ebbe con Margherita Alacoque, monaca visitandina, e Claudio de la Colombière, sacerdote e gesuita, dei propagatori davvero speciali.

Sabato, 26 luglio
Alla stazione La Part-Dieu di Lione giungiamo verso le 7 del mattino; in sala d’attesa aspettiamo il treno per Ginevra; porta ritardo a causa di un incidente e pare finanche che ci sia stata una vittima. Dopo aver atteso quasi un’ora, scopriamo che c’è un altro treno diretto a Ginevra; allora di corsa raggiungiamo il binario. È qui che saluto Marc e Rosy, prima di salire in treno. Guardando dal finestrino i loro volti così lievi e colmi di limpida soddisfazione, mi sembra di capire cosa sia il tratto francese; l’unione felice di finezza nei modi e di giovialità nelle espressioni; in altre parole, è il gusto di vivere, che per i francesi diviene pure stile.
A Ginevra si passa la dogana; il controllo è formale, ma conferma il temperamento diligente e preciso degli svizzeri. Dalla stazione di Ginevra poi si prende il treno per la capitale, Berna. Una volta giunto alla stazione vengono a prelevarmi Rosetta e sua figlia Maria Rita e in automobile mi conducono nella loro casa a Worb, in via Ballenbuhlweg. Qui ci attende il capofamiglia, per così dire, Antonino. Marito e moglie sono originari di Campofranco, ma appartengono ad una diversa generazione di emigrati. Insieme al fratello, Antonino si era trasferito per lavorare a Berna negli anni ottanta. I loro figli sono Maria Rita e Sabrina, la più piccola, che è già partita per raggiungere i nonni in Sicilia. Dopodomani partirà pure la nipote Valeria per raggiungere i nonni. In pratica, alloggeranno ad Aragona e a Campofranco. Da queste mete raggiungeranno facilmente il mare.
È sabato sera e raggiungiamo la Missione cattolica italiana di Berna dove si celebra la messa festiva. In Bovetstrasse 1, all’ingresso della chiesa, si trova un tondo in bronzo che riproduce il volto del beato Giovanni Battista Scalabrini, vescovo e padre degli emigrati italiani. All’interno, nei locali dei padri missionari scalabriniani, si trovano esposte delle grandi illustrazioni della vita del santo e delle missioni svolte dai suoi discepoli. Salutiamo i padri della Missione; si distingue Juan Carlos Tejada, in quanto conosce i coniugi Di Carlo. Si salutano con molto affetto. Alla fine della messa con alcuni emigrati, originari del nord Italia, si posa insieme per una fotografia. Un giornalino che descrive le attività delle missioni cattoliche per gli emigrati italiani in Svizzera viene distribuito in tutte le famiglie. Si tratta del periodico Insieme curato dai padri scalabriniani.
Con Antonino e Rosetta, prima che finisca la luce del giorno, raggiungiamo il Giardino delle rose; è un bellissimo parco, ricco di rose di tante specie che nel mese di luglio, quando ancora qualche pioggia si alterna al sole tiepido, fioriscono in modo splendido. È motivo di orgoglio per tutti i bernesi. Sulla via di ritorno osserviamo alcune insegne: Sunrise è la ditta di telecomunicazioni in cui lavora Maria Rita. Lei ha 25 anni, conosce 4 lingue e si specializzerà nel campo amministrativo; il suo lavoro le offre molte soddisfazioni.

Domenica, 27 luglio
Antonino mi porta di mattina a visitare il centro storico di Berna; visitiamo alcune chiese evangeliche della Riforma e le caratteristiche strade con fontane, in special modo Kramgasse. Ogni tanto mi dà qualche aggiornamento; la sua mente è rivolta alla festa patronale che si svolge al suo paese nativo e perciò mi avverte in certi momenti del giorno di quello che sta succedendo lì, in Sicilia.
Uno dei momenti evocati con Antonio e Rosetta è quando Sabrina ha ricevuto dal vescovo di Lugano la cresima, nel giugno 2005 nella chiesa di San Martino, a Worb; da allora conservo una splendida foto, inviatami dalla Svizzera con e-mail. Il fatto è divenuto come la causa occasionale dell’amicizia con la famiglia Di Carlo. Nel pomeriggio si compie una visita particolare; non lontano da Friburgo si trova una grotta che riproduce in dimensioni più piccole la Grotta di Lourdes. Il modesto santuario mariano, chiamato Lourdes Grotte, è nascosto in mezzo ad un bosco; oggi è molto frequentato dagli ispanici emigrati, sparsi nel cantone. Mi dice Antonino che anche a Friburgo si trovano molti emigrati di Campofranco e che nel cantone prevale il cattolicesimo.
Una escursione nelle contrade bernesi è d’obbligo per ammirare il paesaggio da favola. Per avere un termine di paragone è come la primavera nei primi giorni di maggio in Sicilia quando la natura esuberante fiorisce. Una passeggiata lungo il litorale di Murten offre l’incantevole intreccio di montagne e laghi, vegetazione e clima. A sera torniamo a casa. La casa è come il punto di riferimento per i pasti; mangiamo sempre alla maniera italiana, anche se in tavola non manca l’Emmental bernese. Il gusto italiano non è solo nel modo di mangiare; è nel cd musicale di Laura Pausini che ascoltiamo sempre in automobile; è pure nel fascino del Cisalpino, collegamento rapido in treno con l’Italia. Non poche volte Antonino e Rosetta superano la frontiera per vedere città italiane e acquistare dei prodotti di marca italiana.

Lunedì, 28 luglio
Alla stazione di Berna viene ad accompagnarmi Antonino; sul marciapiede incontriamo Sabrina, pronta a partire con il suo fidanzato. Ci salutiamo con molto affetto. Sono diretto a Ginevra. Alle 9.30 ho un appuntamento con Vanderlei Freimüller. Con lui, cittadino svizzero ed emigrante di ritorno, vado alla scoperta della città di Calvino. Il mio amico, mentre passeggiamo nel parco dell’Università, mi avverte dell’uso di fare frequenti referendum. Mi porta a visitare il monumento dei 4 padri del Calvinismo. Inoltre in una cappella della Cattedrale Saint Pierre si legge un’iscrizione su una parete: Post Tenebras Lux. Questo la dice lunga dell’orgoglio dei ginevrini. Qual è il carattere sociale dei ginevrini? cos’è per loro il calvinismo? – chiedo ad una mia cugina che ho rintracciato a Ginevra. Patrizia Scannella mi risponde che dei ginevrini autentici si avverte lo spirito di impegno nel lavoro e il senso dell’austerità. Ginevra non è meno di Berna; risente del messaggio di un’iscrizione realizzata sulla parete di una casa, nel centro storico di Berna: Labor omnia vincit. Ginevra è pure la città di Rousseau, del sentimento di uguaglianza degli uomini e di libertà dei cittadini. La ricerca della volontà popolare è un tratto caratteristico di Ginevra. La città è internazionale, a motivo della sede dell’Onu; non è molto grande, ma è comunque una qualità che Patrizia apprezza, potendo trovare tutti i servizi di una città moderna e funzionale, al punto da preferirla ormai a Londra. Un discorso fra tutti si impone nella nostra conversazione: l’abolizione della pena di morte, ambito in cui l’organizzazione di Amnesty impegna le sue forze. Patrizia lavora come rappresentante di Amnesty international presso le Nazioni Unite.
Andiamo tutti e tre a visitare la Missione cattolica di Ginevra; anche qui troviamo i padri scalabriniani. Don Luciano Cocco ci riceve con molta simpatia e come ogni italiano ama offrire un buon caffè. Lui è di Bassano del Grappa. Patrizia è interessata a visitare la chiesa perché pensa al matrimonio da concludere il prossimo anno con Ed, il suo fidanzato di origine inglese. Vanderlei intanto conferma a don Luciano di essere impegnato per gli emigrati portoghesi che si trovano a Ginevra; conosce il portoghese in quanto è cresciuto in Brasile, Paese nel quale il nonno era emigrato. Dopo un’esperienza nella Congregazione della Copiosa Redenzione e nel Seminario di Caltanissetta ha deciso di uscire dalla Congregazione. Io sono stato per tre anni il suo vice-rettore. Ora a Ginevra sta valutando tutte le opportunità per il suo avvenire. Si sente portato, e non gli mancano doti, per l’ingegneria elettronica. Non sono più il suo superiore; ora si consolida un buon legame di amicizia.
Nel centro di Ginevra si svolge la nostra passeggiata. Patrizia ci conduce in una gelateria di sua fiducia; ci offre un gelato e sostiamo in una banchina a guardare il lago. Conosciamo pure il ristorantino Dario’s. Questo è un locale per buffet et vins de Sicile e si trova al 4 di rue de Montchoisy. Dario Fantauzzo, originario di Palermo, sembra esserne il proprietario. Vanderlei scatta una foto ai tre siciliani. Il paese nativo è pure argomento di discussione tra me e mia cugina; proviamo a farne emergere l’identità sociale. La visita a Ginevra si conclude nel pomeriggio; Patrizia rientra al suo lavoro, mentre in compagnia di Vanderlei vado a vedere, almeno dall’esterno, la sede della Croce Rossa e la sede dell’Onu. A sera raggiungo in treno Grenoble.

Martedì, 29 luglio
Trovo alloggio presso la Missione cattolica italiana dove c’è padre Gianni Bordignòn ad accogliermi. Anche lui è di Bassano del Grappa ed un poster della sua città si trova esposto nella sala da pranzo. La cosa più interessante da osservare mi sembra il fatto che nella Missione sia ospitato qualche giovane italiano. Questi vengono non tanto per trovare lavoro, quanto per perfezionare i loro studi universitari; sono già laureati e alcuni proprio nelle discipline dell’ingegneria elettronica, campo nel quale la città di Grenoble può vantare istituti di ricerca di alto livello. È sì una specie di emigrazione, ma di altro tipo rispetto a quella degli anni cinquanta o degli anni ottanta. La loro permanenza a Grenoble è più limitata; in parte si guadagnano già da vivere, ma in parte rimane di trovare un più proficuo status professionale. Ad esempio, Erica proviene da Asolo; s’è laureata in Scienze diplomatiche a Gorizia e ora si trova a Grenoble impegnata in un ufficio del patronato delle Acli.
La situazione è ben diversa da quella successiva all’ultimo dopoguerra, quando per esempio molti minatori dall’entroterra siciliano emigravano verso i bacini minerari del centro Europa. Una cordata di emigrati per esempio partirono da Sommatino; sicché oggi si trova una colonia di sommatinesi a Grenoble, o meglio oltre il fiume Isère, a Fontaine. Vengo a conoscere un uomo di media età che per motivi di lavoro si trova a passare dalla Missione; di fronte a me sta un tecnico specializzato per elettrodomestici. È figlio di quella generazione storica. Resto ammirato poi di un altro fatto: trovare in una libreria della Missione il libro curato da mons. Cataldo Naro Chiesa e zolfatari a Caltanissetta nel secondo dopoguerra.

Mercoledì, 30 luglio
Con padre Gianni e la sorella Daniela, giunta a Grenoble per trascorrere alcuni giorni, parto dopo pranzo per raggiungere la Grande Chartreuse; lasciamo il caldo umido della città e, imboccata una strada in salita, oltre l’Isère, noi si raggiunge la montagna. Ci sono molte villette, belle, moderne, in posizione incantevole. Molti salgono su in montagna solo per cambiare aria e rinfrescarsi. Il fascino di questa Certosa è per me di grande richiamo; un recente film documentario (Il grande silenzio di Philip Gröning) ha immortalato per il cinema la vita e l’ambiente dei monaci. L’area in cui san Bruno fu inviato dal vescovo di Grenoble era chiamata «deserto» in quanto era una zona montagnosa e disabitata, caratterizzata da boschi e pareti di roccia. Oggi vi sorge la Certosa più importante del mondo; è una vera cittadella monastica che attrae molti turisti in estate. A questi è concesso solo di visitare il Museo della Certosa. Sulla via di ritorno facciamo una deviazione per raggiungere un monastero di domenicane. A sud del massiccio della Chartreuse si trova un convento di clausura; per i fedeli è possibile visitare solo dall’esterno il luogo ce domina la valle dell’Isère. Si può entrare comunque in una boutique fornita di articoli religiosi; i dolci secchi sono davvero speciali. Don Gianni compra quattro scatole di biscuits de chalais.
Rientriamo tardi, per la cena; l’indomani presto, devo prendere un autobus della Transisère Services per raggiungere l’aeroporto Saint-Exupéry di Lione. Sarà l’ultimo giorno di luglio. All’aeroporto, già alle 7 del mattino ci saranno molte persone; il volo partirà in ritardo ed anche a Roma Fiumicino, dove è necessario per me cambiare aereo, attenderò un po’ di tempo sia per imbarcarmi sia per vedere decollare l’aereo che mi porterà a Catania. Molti turisti si dirigeranno a Taormina, molti emigrati siciliani ai loro paesi nativi; a me toccherà raggiungere Caltanissetta per partecipare l’indomani ad un funerale. Proprio con questa cara persona, qualche settimana prima, avevo parlato del viaggio a Lione e a Grenoble, dove anche lui era stato sia per visitare certi parenti di Sommatino sia per vedere alcuni santuari e monumenti. L’avvenire sarà diverso, ormai; il ricordo dei giorni trascorsi in Alta Savoia si formerà in seguito, quando sarò più consapevole di ciò che luoghi così belli e persone così generose diventano nel processo della memoria.


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