Il prefetto sfortunato e la bicicletta assassina
Agli inizi del 1927, dopo lo stravolgimento istituzionale della nazione attraverso le cosiddette leggi fascistissime, il prefetto era diventato la più alta carica dello stato e il rappresentante diretto del potere esecutivo centrale nelle province. Da quel momento sarebbero dovute cessare le intemperanze squadristiche e la dicotomia tra stato e partito, annullando la mezzadria tra il potere centrale del Duce e quello periferico dei ras e dei federali provinciali.
A Caltanissetta si erano da poco stabilizzati i rapporti all’interno del partito fascista ed erano state superate le crisi innescate dal medico gelese Francesco Savà che, nella seconda metà del 1923 era stato espulso dal partito per aver messo in discussione la leadership del federale Lipani e dall’espulsione dal partito dello stesso Lipani avvenuta alla fine del ’26 a seguito della campagna stampa “diffamatoria” del Nuovo Giornale d’Italia di Cassino sottilmente orchestrata dai notabili della provincia (Bongiorno, Gangitano, Savoca, Samperi) ed abilmente pilotata dal Principe di Scalea e da Ernesto Vassallo.
Anche Di Scalea aveva dovuto lasciare lo scanno di Ministro delle Colonie travolto dal rimpasto governativo successivo all’attentato contro Mussolini ed Ernesto Vassallo, non più assurto ad un ruolo di governo, aveva accettato la carica di Podestà di Caltanissetta che ne aveva ristretto il potere in ambito locale.
Fu in questo clima che i prefetti Giuseppe Palumbo e Giulio Brogi assunsero la direzione politico amministrativa della Provincia. Fu così che il primo luglio del 1928 venne nominato prefetto il dottor Francesco D’alena viceprefetto della provincia di Udine.
Il nuovo prefetto, nativo di Campobasso, avrebbe compiuto 55 anni alla fine del mese ed era alla sua prima nomina. Era stato per 13 anni sottoprefetto in varie località della penisola da San Severo a Sora, da Montepulciano, a Pistoia, dopo che nel 1915 era dovuto allontanarsi dall’amministrazione centrale, dove svolgeva le funzioni di primo segretario, per una nefrite che sembrava inguaribile.
La sua carriera, non del tutto brillante, aveva scontato l’instabilità del momento politico post bellico con le contraddizioni sociali ad esso conseguenti.
Il Prefetto di Foggia Sante Franzè ne aveva chiesto l’allontanamento da San Severo nel maggio del 1920 perché “ non all’altezza di risolvere i contenziosi tra gli agricoltori e gli agrari in quanto debole con la Camera del Lavoro”. Un anonimo a Montepulciano nell’agosto del 1922 lo aveva accusato di essere un protettore e simpatizzante dei fascisti che avevano assassinato un uomo non politicizzato.
Nel 1924, dopo essere stato nominato viceprefetto di Arezzo, era stato allontanato da quella residenza per non avere adeguatamente coadiuvato il prefetto in fatti di pubblica sicurezza.
Un’inchiesta però lo aveva scagionato ed il Ministero dell’Interno, che stava sostituendo le amministrazioni locali con commissioni reali, lo aveva trasferito a Parma per reggerne l’amministrazione provinciale.
A quel punto benché in ritardo rispetto alla carriera dei suoi colleghi coetanei, sembrava che la sua condizione di servizio e quella di salute fossero state risolte, specialmente dopo che ebbe superato i problemi connessi all’ingrossamento di una ghiandola del collo (che pare si trattasse di una scrofolosi tubercolare per la quale aveva cercato una destinazione vicina al mare) e dopo che il Re gli aveva concesso l’onorificenza di Commendatore della Corona.
Da Udine, sua ultima residenza, ormai rassegnato sarebbe voluto andare a Roma vicino alla sua famiglia in qualità di viceprefetto ispettore, ma la nomina a prefetto di seconda classe lo rimise in corsa e lo destinò a Caltanissetta.
Fu una nomina inaspettata perché l’anno precedente aveva ricevuto un rimprovero scritto da parte del Ministero che lo aveva costretto a smentire una raccomandazione dell’onorevole friulano Arrigo Barnaba in quanto non richiesta, in virtù del nuovo ruolo assegnato ai prefetti fascisti.
“ Il prefetto fascista” declamava infatti una circolare “ non è più il prefetto dei tempi demoliberali. Allora il prefetto era soprattutto un agente elettorale. Ora che di elezioni non si parla il prefetto cambia figura e stile…”
Per D’alena che aveva sempre cercato raccomandazioni per ogni suo bisogno istituzionale e in ogni partito politico, dal popolare Filippo Meda al fascista Giovanni Marchi, fu uno schiaffo morale compensato soltanto, da lì a poco, dal nuovo, insperato, traguardo.
A Caltanissetta giunse senza clamori quasi in sordina deciso a riscattare con l’alacre lavoro la sua grigia carriera.
Visse per cinque mesi tra le assidue cure del suo ufficio ignorando persino i pubblici ritrovi e non avendo altro scopo immediato che di ristabilire l’autorità della legge e di circondare il nome del rappresentante del governo di quell’austerità dignitosa.
Approntò diverse iniziative di tipo amministrativo e politico come la questione solfifera “con ispeciale riguardo alla condizione dei lavoratori”, l’esecuzione della legge sulla bonifica integrale e la costituzione del consorzio obbligatorio per il grande comprensorio di Gela che gli resero il rispetto della gerarchia provinciale fascista.
Nel mese di settembre fu ricevuto da Mussolini per circa mezz’ora a seguito di una accurata relazione sulle condizioni della provincia fattagli pervenire in precedenza ed riuscì ad avere la disponibilità da parte del presidente della Cassa Nazionale per le Assicurazioni Nazionali per un mutuo di oltre 11 milioni di lire da investire in opere pubbliche.
Ormai era entrato nelle grazie di tutti e finalmente il giornale della federazione “ Battaglie Fasciste “ poteva annunciare ai suoi lettori che Caltanissetta aveva trovato in lui “la tempra di operoso e energico ricostruttore che avrebbe con competenza e ardore affrontati i problemi da tempo insoluti”.
Ma non fu così ed il destino con lui non fu generoso!
La mattina del 13 dicembre essendosi recato a Roma, convocato ancora una volta da Mussolini, dopo aver lasciato l’albergo Massimo D’Azeglio in via Cavour ed aver percorso la via Nazionale sul marciapiede sinistro, prima di imboccare la traversa che lo avrebbe condotto al Viminale il prefetto D’Alena, venne investito da una bicicletta che lo scaraventò violentemente a terra facendogli sbattere in malo modo la testa sul selciato. Riportò ferite lacero contuse in varie parti del capo, ematomi sopraorbitari, una forte commozione cerebrale e, malgrado lo avessero trasportato subito al pronto soccorso del Policlinico, dopo due giorni d’agonia, morì.
La costernazione fu forte e il lutto generale! La stampa della capitale raccontò che la salma fu vestita di nero ed adagiata sul bianco lettuccio nella camera dell’Ospedale trasformata in camera ardente: che ci fu un via vai di autorità e gerarchi.
Il podestà Ernesto Vassallo ed il segretario federale Pietro Cascino che si trovavano a Roma, dopo il funerale, accompagnarono il feretro al cimitero del Verano
Anche nel Duomo di Caltanissetta il 17 dicembre ad iniziativa delle Federazione Provinciale Fascista, dell’Amministrazione Provinciale, del Consiglio dell’Economia e del Consiglio Comunale, fu celebrata una solenne messa funebre con la capillare partecipazione delle istituzioni periferiche, della prefettura, della questura, dei militari, e di molti altri uffici
“Battaglie Fasciste”, che aveva fatto un ampio e dettagliato resoconto dell’intera vicenda a livello locale, espresse il suo vivo cordoglio “ a Donna Armida D’Altobello consorte degna del prefetto compianto e a Donna Elisa Zincone unica e prediletta figlia. Creature entrambe di molta signorilità, semplici nella dovizia del nome, composte e silenziose nel grande ministero di compagne di un Uomo che era venuto tra noi per dare esempio di sobrietà pubblica e privata” mettendo in risalto il nobile ruolo di entrambe che era stato quello di fare apprezzare “che il funzionario del governo è soprattutto un’ottima gemma nella famiglia”.
Ad esse il Consiglio d’Amministrazione del personale del Ministero dell’Interno, con la presenza del sottosegretario Michele Bianchi e del capo della polizia Arturo Bocchini, riconobbe la reversibilità della pensione per causa di servizio…di quel servizio interrotto prematuramente e bruscamente da una bicicletta assassina.
Gero Difrancesco
Sindaco di Sutera
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