Semi di senape
Santa Rita e il genio femminile


20 maggio del 2000: Piazza San Pietro. Giovanni Paolo II rivolge ai devoti di santa Rita, venuti in pellegrinaggio a Roma un discorso che già nel titolo si rivela particolare: «Rita ha bene interpretato il “genio femminile”: l’ha vissuto intensamente sia nella maternità fisica che in quella spirituale». Con tale pensiero il Papa confermava in qualche modo alcune intuizioni espresse già nella sua lettera apostolica Mulieris dignitatem (1988).
24 maggio del 1900: Papa Leone XIII, nell’anno del Giubileo, eleva agli onori degli altari Rita da Cascia; per la precisione, il processo canonico si era svolto nel 1626, mentre la santa era morta nel 1447, il 24 maggio; ma già dieci dopo la morte della monaca, il popolo aveva incrementato il culto pubblico per la stigmatizzata. La monaca agostiniana fu la prima donna ad essere canonizzata all’inizio del ’900. Questo evento suscitò nella Chiesa universale uno sviluppo notevole della pietà popolare. La lettera apostolica Umbria gloriosa sanctorum parens di Leone XIII sigillò la fama intorno a santa Rita; e in molti paesi, contrade e borghi della penisola italiana si diffuse la devozione verso una santa da portare come modello della formazione cristiana delle donne.
Santa Rita fu chiamata da Leone XIII «perla preziosa dell’Umbria» e negli insegnamenti di Giovanni Paolo II veniva accostata a san Benedetto e a san Francesco, quasi a comporre un trittico ideale. Il papa polacco chiamò santa Rita «sorella minore» dei due grandi padri dell’Umbria; la ragione di fondo è che la monaca agostiniana incarnò nella sua vita l’amore a Gesù crocifisso. Il segno della spina rivela nella vita di Rita una sofferta e intima unione vissuta per molti anni, trascorsi in ritiro e penitenza, nel monastero dopo essere stata rifiutata tre volte. «La stimmata che brilla sulla sua fronte è l’autenticazione della sua maturità cristiana».
Possiamo chiederci in che cosa consista la maturità cristiana per la donna e che rapporto ci sia tra Rita, madre-vedova, e il “genio femminile”. Una prima risposta si ricava da una lettera del 15 marzo 1982 che Giovanni Paolo II inviò all’arcivescovo mons. Ottorino Pietro Alberti; il papa riconosce che la fama di santità di Rita più che alla sua potente intercessione si lega alla «stupefacente ‘normalità’ dell’esistenza quotidiana, da lei vissuta prima come sposa e madre, poi come vedova, e infine come monaca agostiniana». Si sa quanto e come il Papa dell’ultimo Giubileo abbia lavorato per manifestare che la via straordinaria della santità è la via ordinaria. In altre parole, scoprire e accettare che la santificazione personale si manifesta attraverso le circostanze ordinarie della vita; o meglio, che le condizioni esistenziali, anche le più drammatiche, sono la via da percorrere con autentico spirito cristiano affinché lo stato di vita in cui un fedele si trova sia santificato con l’aiuto della grazia divina.
Geniale si potrebbe dire la qualità, tipicamente femminile, delle scelte compiute da Rita: frenare lo spirito di vendetta nei figli e offrire il perdono all’uccisore del marito non è segno di debolezza femminile, ma di fortezza cristiana. Perseverare nella richiesta a divenire monaca di clausura, è una svolta verso la responsabilità, quando i figli sono già morti e, non senza ragione, si temono altre vendette nelle famiglie implicate in delitti passati. Accettare di vivere, quale monaca corista, secondo la regola delle Agostiniane di S. Maria Maddalena e condividere lo stile di penitenza e di preghiera, è prova ardua da impegnare ogni donna a spogliarsi da ogni forma di narcisismo ascetico.
Rita è modello della donna perché in lei emerge il “genio della santità”; esso ha un carattere soprannaturale, come rivela il mistero di ogni stigmatizzazione, ma pure una dimensione realistica: basti riflettere sul fatto che l’unico viaggio compiuto da Rita fu quello in cui insieme alla monache si recò a Roma per vedere in pellegrinaggio i luoghi santi; ebbene, in quell’occasione le monache esitavano a partire, a causa della piaga purulenta di cui Rita soffriva alla fronte, ma a motivo del viaggio (chiamato dalle monache impropriamente «giubileo») la piaga si richiuse. Il “genio femminile” è la speciale forma di fede vissuta da Rita in modo tale da assecondare la grazia divina e lasciarsene sublimare. Nel libro della Genesi (Gen 2,18-25) la donna è chiamata ‘ezer dell’uomo; e significa aiuto. La donna è aiuto dell’uomo in quanto l’uomo si completa mediante la donna; a lei si rivolge per chiedere aiuto. Ora nella Bibbia ‘ezer è riferito pure a Dio che come aiuto vitale interviene in favore dei suoi fedeli (Es 18,4; Sal 9-10,35). È una relazione di reciprocità complementare che trova nelle nozze e nella sponsalità l’espressione più piena. L’uomo e la donna sono chiamati a vivere reciprocamente l’uno per l’altro sulla base della relazione di ‘ezer che Dio pone per il suo popolo; tanto più possiamo avanzare che tale relazione è stata potenziata nella vita di Maria, vergine madre, nei riguardi del Figlio suo, il Verbo incarnato; da simile paradigma possiamo comprendere anche l’esperienza di santa Rita.

Don Salvatore Falzone


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