Seme di senape
L'altare dell'Incarnazione e il deserto di Antonio abate

In una lettera di sant'Antonio abate si trova un'esortazione a prendere il nostro corpo mortale per trasformare la condizione di peccatori in un altare; il monaco del deserto ne spiega così la ragione: "il Padre delle creature fu mosso a pietà per questa nostra ferita che non poteva essere guarita da nessuna creatura, ma solamente dalla bontà del Padre. Ci mandò allora il suo Figlio unigenito che, a motivo della nostra schiavitù, ha assunto la condizione di servo e ha consegnato se stesso per i nostri peccati" (Lettera 4, 7-8).
Il motivo per cui il Verbo divino s'è incarnato è tracciato dall'abate del deserto egiziano; è il mistero del Natale a trasmettere una gioia sicura nella vita di Antonio. Atanasio, vescovo di Alessandria, descrive così la condizione di Antonio che "non appariva né triste né svigorito dal piacere, né dominato dal riso o dall'afflizione"; dinanzi a un gruppo di ospiti, Antonio "non gioiva perché salutato da tanta gente, ma era in perfetto equilibrio, governato dal Verbo, nella sua condizione naturale" (Vita Antonii, 14,3).
Recuperare la condizione di vita "secondo natura" era trasmesso nella teologia patristica greca come un segno dello stato dell'uomo prima del peccato; ed anzi, il consacrarsi a Dio con i voti di povertà, castità e obbedienza, è stato sempre visto nella Chiesa come un pieno sviluppo della vita naturale; la natura umana, però, ferita dal peccato, si reintegra a Dio per mezzo del Verbo incarnato. Il mistero del Natale è la celebrazione del Figlio di natura divina, nato da Maria Vergine secondo natura umana. La nostra condizione umana diviene insomma degno altare dell'Incarnazione, in quanto la natura umana è assunta dal Figlio che s'incarna per compiervi un sacrificio di lode.
È un disegno di vita che nella teologia è chiamato reductio ad unum: in altre parole, tutti i misteri della vita di Gesù Cristo riassumono tutti i misteri della vita dell'uomo, tutte le vicende della storia e tutte le aspirazioni dei popoli. Questo concetto non sfuggiva ai primi interpreti della Bibbia; facendo una traduzione più libera, troviamo al passo del salmo 86,11b, nella versione greca di Aquila troviamo ad esempio: "rendi monaco il mio cuore". Con questa traduzione si riprendeva l'insegnamento monastico. A voler seguire il testo ebraico si avrebbe: "rendi raccolto il mio cuore nel timore del tuo nome". È una preghiera rivolta a Dio e il salmo traccia un programma di vita spirituale. Al passo indicato il verbo ebraico è un imperativo piel; può l'uomo ordinare qualcosa a Dio? Più avanti giunge la chiave interpretativa del salmo: "concedi forza al tuo servo e salva il figlio della tua ancella" (v. 16).
È un passaggio che impegna a riconoscere il mirabile mistero nel quale il Verbo divino accetta la condizione di divenire servo dell'umanità e per compiere tale missione ricevuta dal Padre si consegna in Spirito Santo ad una creatura, la più eccelsa, "umile e alta, più che creatura" - (Dante Alighieri). Maria Vergine è dunque l'ancella che concorre alla salvezza del mondo per la ragione di essere Madre di Gesù redentore.
La vita di Antonio abate fu sotto il segno del Verbo incarnato; l'austero monaco del deserto, come testimonia sant'Atanasio, invitava ad abbandonarsi con serena fiducia al crocifisso per vincere le insidie del demonio e a trepidare di premurosa esultanza per trasmettere l'annunzio del Signore risorto. È per questo motivo che Antonio abate (come altri del resto) si spingeva a vivere fin nel deserto, per annunziare anche in un luogo aspro la vittoria del Risorto glorioso.
La tradizione liturgica e monastica, francese in particolare, invita a vedere in Antonio abate non tanto l'eroe solitario, "ammirevole" per virtù di fronte alle tentazioni, ma il mistero "mirabile" del Verbo che incarnandosi ha manifestato nella condizione umana i "mirabilia Dei". Antonio abate non è l'atleta delle tentazioni. La "vita mirabilis" di Antonio è prolungamento dell'Incarnazione del Verbo divino.
Concludiamo con un'altra possibile, e non meno fedele, traduzione di Sal 86,11b: "il cuore si rallegri e tema il tuo nome". Questa esortazione diventi una forma di vita.

Don Salvatore Falzone



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