Seme di senape
Non muore mai: la nazione o la patria?


Nel libro del profeta Daniele si annuncia che il Figlio dell’uomo sarà adorato da «popoli, tribù e lingue»; nel Nuovo Testamento, è nell’Apocalisse che si trovano frequenti passi in cui si dice che la salvezza di Cristo riguarda tutti gli uomini di ogni razza, lingua e paese.
La versione greca della Bibbia, chiamata Settanta, preferisce in genere l’enumerazione «nazioni, tribù e lingue»; la parola greca ethnos, usata poi al plurale per denominare le genti, è preferita quasi sempre dai Settanta per tradurre l’ebraico goj, o meglio il plurale; gojim significa infatti popoli, e goj pagano/etnico.
Fuori d’Israele ci sono le Genti pagane, le etnie che
costellano poi l’Impero romano; il popolo ebraico riferendosi a se stesso preferisce il termine ‘am, cioè «Popolo di Dio». Israele avverte di essere un popolo speciale, una nazione santa, di proprietà del Signore.
Si legge in Numeri 23,9b: «ecco un popolo (‘am) che dimora solo e tra le nazioni (gojim) non si annovera».
Anche i cristiani nell’antichità erano considerati Popolo di Dio; si assumeva però un significato universalistico, dacché i fedeli nascevano tanto fra gli Israeliti, quanto fra le Genti.
I primi pensatori cristiani parlavano allora di un tertium genus; il terzo popolo, costituito di mezzo a ebrei e pagani.
La vocazione universale d’Israele eletto tra tutti i popoli era unita alla promessa di Dio di convocare tutte le stirpi nel Popolo santo; Israele dunque come mediatore grazie al quale le Genti sono chiamate sul monte Sion; da qui il diritto del popolo biblico alla patria degli ebrei.
Istituendo la nuova alleanza, si legge in Lumen gentium 9b, «Cristo raccolse un popolo dai Giudei e dalle Nazioni affinché si coalizzasse nell’unità, non secondo la carne ma nello Spirito, e si costituisse il nuovo Popolo di Dio».
Ancora: nella messa per i migranti il sacerdote cattolico invoca Dio, dicendo «Padre santo, che da ogni lingua e nazione hai voluto creare un solo popolo nuovo»; è un’espressione che richiama Lumen gentium 13b. Quando una massa di gente costituisce unità di lingua e cultura e realizza un insieme di valori civili e morali, diciamo pure che quel popolo si riconosce nell’ambito di un territorio come patria; là dove poi il popolo si organizza e si dà delle istituzioni diciamo che si identifica come nazione; infine sul terreno della nazione può nascere una forma di Stato.
Ora si attribuisce a papa Benedetto XV la frase «le nazioni non muoiono»; fu tratta dall’appello papale del 28 luglio 1915, rivolto: Ai popoli ora belligeranti ed ai loro capi. Con questo messaggio il papa Giacomo Della Chiesa scongiurava di porre fine alla «orrenda carneficina» della guerra; e invitava a riflettere sul fatto che «…le nazioni non muoiono: umiliate ed oppresse, portano frementi il giogo loro imposto, preparando la riscossa e trasmettendo di generazione in generazione un triste retaggio di odio e vendetta».
Le parole del papa, manipolate dalla propaganda, furono elevate come portabandiera dei nazionalismi delle genti che si sollevavano contro gli oppressori.
All’amor di patria esclusivo e immoderato il papa opponeva l’universalismo della carità cristiana. Il papa-diplomatico non incoraggiava il principio di nazionalità e l’autodeterminazione dei popoli; sosteneva solo che è insopprimibile il diritto dei popoli ad esistere.
I nazionalismi di primo Novecento frenarono poi una teologia dei popoli.
Un popolo vive della patria; la patria è l’eredità civile e spirituale; il «patrimonio» come l’insieme dei beni intangibili che un popolo riceve, genera e trasmette. E ciò riguarda il suolo patrio e i figli della «madrepatria». Queste idee Giovanni Paolo II espresse nel suo libro Identità e memoria. Inoltre, in un celebre discorso all’Unesco, del 2 giugno 1980, il papa polacco sottolineò pure il fatto che i Polacchi, quando nel XVIII sec. si videro privati del territorio, mentre la nazione veniva smantellata, non perdettero il senso del patrimonio spirituale e della cultura ricevuta dai loro padri.
Forse potremmo dire così: «la patria non muore mai» perché un popolo, pur oppresso per motivi etnici, razziali e religiosi, e conculcato nella lingua e nelle istituzioni, non cessa di avvertirsi come identità collettiva.
Seppure cessi di essere una nazione, un popolo - si tratti di armeni cristiani o di palestinesi arabi- non perde l’aspirazione alla patria.
Da questa prospettiva guardiamo all’impegno della Chiesa italiana per il Paese; e la Settimana Sociale dei cattolici italiani, che si tiene in ottobre a Reggio Calabria, è un segno in favore della crescita civile e morale dell’Italia.

Sac. Salvatore Falzone


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