Pagine di Storia
Il nostro Risorgimento
La Sicilia che si dona all’Italia


Nel 2011 si celebreranno i 150 anni dell'Unità d'Italia, e non è vano ricordare come dopo secoli di divisione politica e di lotte si venne maturando il pensiero di questo miracolo che, purtroppo, si è smarrito nel tempo attraverso discordie di parte e vanti regionali.
Il Risorgimento, risultato di lunghe e meditate aspirazioni ed avvenimento di grande valore storico fu un passo irrevocabile nel processo di liberazione e di unificazione della patria italiana, dove comunanza di lingua, di religione, di vincoli di razza, di pensiero e di sentimenti, costituivano le radici della tendenza all'unificazione politica. Nella nostra memoria rimangono i versi del Manzoni (Marzo 1821), fra i più alti della produzione letteraria risorgimentale, che ribadivano all'Italia l'idea di nazione:
"Una d'arme, di lingua, d'altare, di memorie, di sangue, di cor".
Gli insuccessi dei moti 1820/1848 contro il regime oppressivo e corrotto dei Borboni convinsero i liberali siciliani della necessità di sacrificare la tradizionale aspirazione regionalistica alla grande patria italiana e a creare quella coscienza unitaria che fiorirà in tutta la sua interezza nel 1860. Attivi propagandisti come Crispi, La Farina, Pilo, con la loro opera guadagnavano alle nuove idee proseliti di tutti gli strati sociali, mentre letterati e storici rappresentavano il contenuto caratteristico del movimento risorgimentale, prospettando le esigenze di cambiamento nella società politica e civile. Senza la predicazione unitaria e repubblicana di Mazzini che insegnò a concepire il riscatto della patria come dovere e il compito specifico politico, che agli Italiani, allora, incombeva come una missione, non si sarebbe mai giunti alla formula "Italia e Vittorio Emanuele", alla collaborazione di Garibaldi con la monarchia sabauda, a quell'unità che un genio politico come Cavour considerava tra le possibilità concrete. L'epopea garibaldina in Sicilia, luogo ideale per una insurrezione, dove le masse contadine si sarebbero sollevate purchè si fossero accolte le loro richieste (un pezzo di terra e una maggiore giustizia) aprì la nuova stagione dell'Italia unitaria. Fu il genio militare ed organizzativo di Garibaldi, "venuto a scarcerare l’anima dell'isola", che ebbe il sopravvento sulle milizie borboniche dalla proverbiale lentezza, che capitolarono di fronte a poche migliaia di uomini pressoché sprovvisti di tutto, ma trascinati da una fede per la quale sentivano dietro a sé l'anima di tutto un popolo. Garibaldi, proclamatosi a Salemi “Dittatore in nome di Vittorio Emanuele II”, rimosse da ogni titubanza il ceto borghese e la vecchia casta di baroni, che, ruffianeggiando con la rivoluzione, ne imbrigliarono la passione che avrebbe potuto generare gravi sconvolgimenti, e schiacciarono la brama di giustizia dei contadini, sfruttando 1'ingenuo slancio patriottico dei giovani. Il Condottiero dei Mille nel quale il popolo vedeva un mito vivente, rivestì di una finalità politica il movente economico e sociale, che aveva spinto il popolo ad insorgere. Per impedire ogni eventuale sviluppo della rivoluzione, i possidenti si impadronirono del nuovo ordine e corsero a legalizzarlo organizzando al più presto il Plebiscito che integrava e sanzionava con la volontà popolare l'opera militare della monarchia piemontese, portavoce delle aspirazioni liberali e nazionali. L'isola che votò con 422.0453 SI' contro 66.740 NO rinunciava alla sua individualità politica e sacrificava la sua sovranità alla grande idea dell'Unità. Lo Stato italiano, ancora debole, si costituì con una centralizzazione di poteri sempre maggiori e con l'uniformità legislativa senza riguardi alle diversità regionali. Si trattava di leggi non elaborate in vista dell'Italia unita e secondo le nuove esigenze dei tempi, ma di leggi dello Stato Subalpino, estese con ben pochi adattamenti al resto dell'Italia, che non erano interpreti per la loro natura aristocratico borghese delle aspirazioni alla democrazia, delle culture, delle tradizioni di ogni singola popolazione aderente al nuovo Regno d'Italia. Lo spirito siciliano fu investito da un profondo disagio negli anni post risorgimentali allorchè, venuto meno l'entusiasmo che aveva promosso le lotte per la libertà e spentisi i grandi ideali patriottici e civili, una sorta di scoramento invase le coscienze di fronte ai gravissimi problemi di ogni ordine, che l'Unità comportava e di fronte ad una situazione economica e sociale che la nuova realtà veniva a prospettare con drammatica evidenza. Coloro che già erano benestanti poterono aumentare il loro stato di agiatezza, mentre quanti erano miseri e rappresentavano la stragrande maggioranza del popolo, rimasero nella loro miseria. Da ciò il manifestarsi dei fenomeni di origine prettamente sociale, del brigantaggio, della mafia. E da ciò, l'origine di un fatto nuovo nella storia del nostro Paese: l'emigrazione. La rivoluzione avrebbe dovuto segnare la fine di ogni privilegio ed instaurare una nuova era di libertà e di giustizia, ma in cambio del contributo decisivo dato all'Unità, l'isola potè avere solo ricompense di incomprensione e di sfruttamento. Il primo gennaio 1865 il giornale L'AMICO DEL POPOLO così scriveva: "quattro anni di malgoverno hanno lavorato per cancellare la pagina gloriosa del 1860, intingendo la mano nel sangue e nelle lacrime del popolo". Commentando la situazione, Garibaldi, considerato il difensore dei diritti di libertà, che aveva promesso nei suoi proclami le terre ai contadini, scriveva nel 1868 a Adelaide Cairoli: "non rifarei la via del sud, temendo di essere preso a sassate".
A 150 anni di distanza dalla proclamazione del 1° Parlamento italiano (Torino, 18 febbraio, 1861), l'Unità nazionale si è fatta più articolata nelle classi e nei ceti sociali, più complessa nelle istituzioni, più vivace e dinamica nella tensione delle idee e degli interessi, di un equilibrio più delicato nella lotta politica di ogni giorno. L'Unità nazionale, valore preminente con il suo contenuto di libertà, democrazia e apertura sociale, non può considerarsi una realizzazione compiuta, deve essere pensata anche come un compito sempre nuovo che impegna individui e gruppi, deve essere fondata sulla tolleranza, sullo sforzo di mutua com¬prensione delle esigenze altrui, su una visione sempre più ampia dei problemi nazionali, con un vivo senso di solidarietà con tutti i popoli. A 150 anni dalla nascita dell'Italia ci è caro ripensare agli eventi del riscatto, anche per redimerci da certi decadimenti e ritrovare la fede in un giusto cammino nell'opera di rinnovamento civile e di unificazione spirituale e morale del popolo italiano, la cui volontà di cambiamento ha fatto grandi passi avanti.
Questo compito ci è stato affidato dagli artefici del Risorgimento.

Lucio Bartolotta
(da “Il Centro Storico”, giugno 2010)


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