PAGINE DI STORIA - 1861-2011
LE TRE VALLI DELLA SICILIA – 1a
Un racconto sui Garibaldini ambientato nei paesi del Vallone – 1a
Abbiamo trovato un e-book interessante nel sito www.liberliber.it all’interno del progetto Manuzio. Titolo del libro è “Le Tre Valli della Sicilia” di Gaetano Sangiorgio pubblicato dagli editori Treves & C nel 1877; è custodito dalla Biblioteca nazionale braidense di Milano e distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
“Le Tre Valli della Sicilia” contengono tre racconti sulla spedizione di Garibaldi in Sicilia, uno per ogni valle in cui l’isola era divisa (Valdemone, Mazzara e Noto).
Lo scrittore milanese interruppe gli studi classici per partecipare all’impresa dei Mille passando con ogni probabilità anche dalle nostre parti, di cui mostra di conoscere luoghi, montagne e qualche abitudine (il mercato di Mussomeli). Era primavera e tutto contribuiva ad affascinare l’anima del Sangiorgio che ci lascia ogni tanto bellissime descrizioni paesaggistiche. La storia che egli ambienta tra Sutera, Mussomeli e Cammarata, con riferimenti a Villalba e Vallelunga, termina con una epica battaglia sulle alture di Acquaviva che vede protagonisti su sponde opposte soltanto picciotti siciliani. Raccontata da un milanese, che ha imparato a stimare la Sicilia ed i siciliani.
Finita la guerra, Gaetano Sangiorgio riprese gli studi a Pavia, che completa a Milano presso l’accademia scientifico-letteraria. Ma tornò a combattere ancora con Garibaldi nel Trentino durante la terza guerra di indipendenza (1866). Si dedicò, infine, stabilmente all’insegnamento ed alla scrittura pubblicando saggi letterari e di varia natura.
Invitiamo i lettori a soffermarsi, durante la lettura, sull’evoluzione della lingua italiana scritta (l’ortografia, soprattutto) che è avvenuta dopo 150 anni.
LE TRE VALLI DELLA SICILIA>
Racconto di Gaetano Sangiorgio>
PARDO
STORIA DI VAL MAZZARA.
«Purchè tu il voglia la catena è infranta
del tuo martiro.........» Alberto Buscaino Campo.
I
Sutera, 4 aprile 1860.
«La congiura è scoperta, m'è dunque forza fuggire. Ma lascio la mia Sutera non per viltà, non per codarda e vigliacca paura; ritornerò in giorni migliori, e allora grideremo a viso scoperto: Viva Italia! Frattanto ti lego la salute di questo borgo; non faccio di esso un Vigliena1 , eppure so di poter dire che molti patrioti l'onorano. Distruggi le cifre e segreto.»
Questa lettera scriveva nella sera di quel dì Pardo di Sutera a Bino di Mussomeli, e il giovane Fuoco a mezzanotte la recava. Pardo accompagnollo sino al ponte sul Platani e là accommiatandolo gli disse:
- Ricordati, o Fuoco, del povero esule. Domattina avrò lasciata la valle, ma ora, e sempre, sta saldo alla fede giurata. Più presto che tu non pensi mi rivedrai.
- Addio dunque, mio Pardo: ora e sempre sarò congiurato.
- Addio!
E mentre Fuoco scompariva entro la bruna callaia3 del monte, Pardo ritornava a passi veloci a Sutera.
II
Ma Buscemo, il traditore, aveva di lontano scorto Fuoco, e in cuor suo meditato di perderlo. Epperò appena Pardo fu rientrato nel villaggio, si calò con prestezza dalla rupe, sulla quale era celato, e correndo a tutta lena attraverso sentieruzzi e bistorti viottoli passò innanzi al messaggiero e raggiunse Mussomeli che appena spuntava l'alba. Ansante e trafelato superò la costa che sta tra il torrente e il paese, e quivi rifatto il respiro chiese del capo delle guardie del Re e mosse alla volta del suo alloggio.
Buscemo era uomo tra il vecchio e la mezza età, di persona ritta e tarchiata, calvo e senza barba, cogli occhi infossati e splendenti di luce sinistra, di portamento plebeo e maligno. Astuto e di malanimo, aveva venduti i segreti della congiura per pochi ducati e per bassi odii nutriti da istinti bassissimi, e fatto audace dal delitto avrebbe accusato il padre per lusinga di premi ed onori. Vile e perverso, credeva solo nell'oro, e cieco d'avarizia e lussuria, fidava nell'onnipotenza della servitù per la quale sacrificava onore e patria.
Tosto il chiamato apparve. Altero nel portamento, dignitoso nei moti, acuto nel discorso, il capitano mostrava animo ben maggiore all'ufficio commessogli; e di un sol sguardo misurato Buscemo, capì che aveva a fare con un farabutto.
- Capitano... leal servo del Re, mi tengo in dovere d'avvisarvi che uno dei noti rivoluzionari di Sutera sta in cammino a questa volta ...
- Ha oltrepassata Acquaviva?
- Non so. Pur lo credo! Pigliatelo, capitano, temo sia latore di serie carte...
- Appartenete alla Sorveglianza di colaggiù?
- No... cioè... capitano, da fedel suddito... amico dell'ordine... la tranquillità...
- Ho capito, ho capito... quali promesse...?!
- No, no, mio capitano... l'ossequio mio per l'autorità...
- Il vostro nome?...
- Buscemo Stampace.
Il soldato scosse il campanello, e un gendarme entrò.
- Tenete custodito costui sino al mio ritorno... alle guardie date l'allarme...--e, salutato gravemente Stampace, uscì.
Bino stava chiuso segnando lettere per la provincia, allorché poco dopo questo dialogo si batté alla di lui porta. Appena si vide interrotto nascose un gran fascio di esse entro un vano coperto da stuoia, e levatosi aprì. Introdotto il visitatore, Bino serrò a chiavistello, e precedendo lo invitò a sedere in una delle due seggiole che fiancheggiavano lo scrittoio.
- Perchè sì presto?
- Oh Bino... grave pericolo vi minaccia... la congiura è scoperta... e lo spione si chiama Buscemo Stampace.
- Buscemo?!... impossibile, Orlando!...
- Così è... il traditore è guardato da' miei gendarmi... fra un'ora, o Bino, dovrei eseguire i comandi del Re... lasciate la valle... e raggiungete, se sta in vostro potere, maestro Pardo...
- Dunque, Pardo?!...
- Avvisato sin da ieri, sta mettendosi in salvo...
- Oh quanto vi dobbiamo, Orlando!... forse un dì...
- Presto... sì, Bino... presto assai!
- Lascerò dunque il mio paese?
- O la fuga... o il carcere!
- Addio, capitano!
- Coraggio, Bino!
Si strinsero con affettuosa tenerezza la mano e si separarono.
Il cospiratore uscì dal salotto e salì le scale, il capitano si calò il berretto sugli occhi e ritornò al quartiere. Buscemo gli mosse incontro pauroso e insieme confidente, e siccome gli occhi d'Orlando lampeggiavano per gioia mal sopita, soffregossi tripudiando le mani e gridò:
- ...Preso?
- Sì, Stampace. Prima di sera partirà sotto buona scorta per Corleone.
- ...E là?...
- Il comandante lo condannerà... o che temete, amico mio? la giustizia scoprirà il resto. A voi intanto penserò io stesso.
- Capitano... accettate i miei servigi...
- Ora e sempre... n'è vero Buscemo?
L'iniquo rabbrividì, ed alzò gli sguardi in viso al gendarme. Ma questo, immobile, tenne fissi i suoi negli occhi di lui, nel mentre un sorriso gelato e sprezzante gli errò sulle labbra ghiacciando il sangue in cuore al delatore .
Stampace, avvilito e tremante, volse le spalle all'uffiziale e s'allontanò. Fuoco frattanto, spesseggiando i passi e sempre pensando al fatale destino, arrivò. Giunto innanzi all'umile dimora di Bino, pose piede nel piccolo atrio, e stava per proceder oltre allorché lo stesso ospite apparve. Si riconobbero tosto, e gettatisi l'un nelle braccia dell'altro, quasiché si fossero già confidati paure e segreti, sclamarono insieme:--Povero Fuoco!--Povero Bino!
Fuoco trasse dal giustacuore lo scritto di Pardo e lo presentò all'amico, ma Bino senza nemmen leggerlo strinse con fratellevole violenza la mano del giovane e disse:
- Lo so Fuoco. Tutto è scoperto, e or appunto mi porrò in salvo.
- Sapete tutto?...
- Tutto, tutto. Seguimi; piglieremo i sentieri di monte Ficazzo, e prima di notte caleremo per la china di Vallelunga.
- E come passare inosservati nel borgo?
- Non temere, Fuoco mio. Abbiamo un amico anco fra i gendarmi. Ci vedesse, alzerebbe gli occhi e piglierebbe altra via.
- Allora, o Bino, partiamo.
- Eccomi!
Ridiscesero la gran via, e giunti sul piazzale del convento viddero che già era aperto il mercato e molte guardie tenevano l'ordine. Sorpresi e dubitosi si nascosero fra l'ombre delle ultime arcate del portico e di là gettarono uno sguardo lungo ed ardente sulla bella scena che lor davanti si spiegava. Era un va e vieni bizzarro e multiforme; bovari, mulattieri, pecorai, cantastorie, montanine, merciaiuoli, girandoli, uomini e donne d'ogni aspetto e d'ogni colore, si mescevano, si confondevano, si salutavano, partivano, arrivavano; era un susurrìo vago e indistinto, un bisbiglio or alto or fioco, ma continuo; attraente spettacolo, che avrebbe messo il riso sulle labbra e a Nino e a Fuoco, se contrari affetti non tempestavan nel cuore. Pur con indicibile commozione mirarono quel largo lor noto, quella stretta per la quale sovente eran passati, quella gradinata bianca e maestosa, quel portico sotto cui spesso all'imperversar della pioggia riparavano, quell'ampiezza di cielo che s'apriva nell'alto, quelle brune montagne che chiudevano tutt'intorno l'orizzonte!
- Su, su, Fuoco. Usciamo dal portico e pigliamo il viale... questi sollazzi non son più per noi... a che dunque invidiarli?
- Dite bene, Bino. Più a lungo restiam qui maggior doglia ne avremo.
- Seguimi!
E i due fuggitivi a passi concitati partirono.
Se non che un lontano e vago rumore, il quale accresceva e s'avvicinava soffermolli . A guisa della bufera, che sbucando dai monti, segnala il suo arrivo col cupo rimbombo dei tuoni ripetuti e ripercossi dagli echi prolungati e rischiara le tenebre addensate col guizzo replicato dei lampi, quel rumore andava vieppiù aumentando, s'allargava, si faceva distinto e vivo, e qui e là interrotto da spari improvvisi ricordava le sommosse di popolo inferocito ed assetato di sangue. Un urlo di trionfo d'un tratto scoppiò, e poco dopo il cozzo incomposto dell'armi colpì chiaro e sonoro le orecchie di Fuoco e Bino. E nell'istante medesimo Cletto di Villalba sbucava dal viale al grido di: Viva la patria!
III
Allora appunto Pardo abbandonava Sutera. Abbigliato da viaggio, colla fedel carabina ad armacollo, col valigiotto sospeso qual zaino alle spalle, egli ai primi albori uscì dalla casa e per via rimota raggiunse il fiume. Ed allorché si fu messo sul sentiero che lo costeggia voltosi alla giovin donna che lo seguiva, così abbracciandola singhiozzò:
- Ritorna al paese Iza ed abbi cura della vecchia Rosalia. Non guardarmi sì mesta... mi fai piangere.... suvvia, cara, lasciami. Fra non molto rivedrò questi monti... ed allora, oh sì, Iza, grande, assai grande, sarà la mia gioia nel baciarti! Vattene, riedi a Sutera.
- Oh Pardo!... le lagrime mi fanno intoppo... qui... Oh, addio, ritorna presto... e dovunque ti celi ricordati della sposa...
- Oh Iza, e come potrei scordarti?
- Pardo, Pardo, addio!
- Iza, Iza, addio, addio!
E fatti muti dal dolore, i giovani sposi si baciarono ancora una volta, mestamente sorrisero, e quasi di fuga s'allontanarono.
Pardo la seguì coll'occhio sino a che fu scomparsa su per l'erta della montagna, e dato uno sguardo lagrimoso alla sua terra diletta, a quella povera valle in cui suo padre, la madre sua, un amato fratello eran morti, e che ospitava bella e solinga la pura sua Iza, affrettò i passi e colla tempesta nel cuore scese sino al pian d'Aragona, e sempre costeggiando il Platani si diresse alla volta di Felice. Il fiume gonfiato dagli acquazzoni che pochi dì avanti avevano fradicie le vette di Casteltermini e Prizzi, rumoreggiava spumeggiante e rotto fra i massi e le frane, e quel sordo e cupo muggito dell'onde impetuose accresceva d'assai la tristezza del fuggiasco e gli metteva in cuore la rabbia della sventura. Pardo fissava con occhi paurosi il precipizio che s'apriva a lui daccanto, e neppur la bella e lussureggiante vaghezza dei pendii che dal Cammarata andava morendo giù giù sino a Ribera gli apriva l'animo a sentimenti di pace e perdono: piangeva, e del suo pianto vergognava!
- Povera patria,--diceva a sè stesso--Povera Sicilia! E dunque le ire di Maniscalco ti terranno sempre la speranza? che abbino ad esser per te fatali come le maledizioni dello sgozzato? E come mai egli scoprì?!... nessuno, nessuno ci può aver scoperti!... fosse Enzo?... oh no, il mio sospetto è calunnioso!... Arnoldo?... neppure! buon Arnoldo, perdona all'amico straziato il solo dubbio!...dunque, dunque chi?... Avesse Iza parlato?... oh no, Iza... giammai! sciagurato ch'io sono a sospettare di te!... dunque? sempre questo dunque?!... Cletto? quel cuor generoso, quell'animo di fuoco?.. Ah, eccolo, eccolo... è Lapo... sì, è lui!... infame! ci ha venduti?! e quant'oro t'ha promesso il manigoldo? Lapo, Lapo, trema!... e se non fosse lui?... se nessuno avesse tradita la congiura? in Palermo, in Alicata... in Caltanisetta... qualcuno avrà messo a repentaglio il segreto della trama... no, non è possibile... è Lapo che ci ha venduti! Lapo, Lapo, trema!--E Pardo fremeva di sdegno...poveretto; nemmanco pensava al vero iniquo!
Camminava, camminava, ed ai ricordi di patria e libertà si mischiavano i nomi d'Iza e Sutera. Soffriva davvero, e cacciato da pensieri tanto angosciosi, il suo passo era incerto e febbrile; divorava la via e le Madonie vieppiù si perdevano nel lontano orizzonte. Ma il sole già alto aveva spossate le forze di Pardo;sudato e stanco non avrebbe toccato il lido che a sera, epperò si gettò supino appié d'un albero enorme e presto s'addormentò.
Che giova dirti, o lettore, quali strani sogni, quali orribili casi gli si dipingessero nella fantasia? Tutti si fanno beati di narrar fantasmi e ubbie , io invece passerò oltre e lascierò che Pardo gusti quel poco riposo. Tre ore dormì, e forse più a lungo avrebbe dormito se lo scalpito sonoro di un cavallo non lo svegliava. Si rizzò e con moto involontario pose mano alla carabina; ma rasserenossi allo scorgere che il nuovo viandante eragli conosciuto. eragli anzi amico.
- Diego!--esclamò, e avanzandosi nel mezzo della strada gli fece cenno s'arrestasse.
- Tu Pardo, qui?
- Sì, Diego, vo in salvo.
- Fuggi?... ma non sai dunque la gran novella?
- No.
- Palermo stanotte è insorta. A Piana, a Monreale, i patrioti stan cacciando la sbirraglia...certo a quest'ora gli spari echeggiano fra le valli delle Madonie... Trapani e Salemi forse hanno imitata la capitale... la rivoluzione sta scoppiando ovunque... e tu fuggi?
- Oh vittoria! Diego, Diego, mi ridoni la vita!
- Orsù, Pardo, benché fossi diretto a Cattolica, rifarò la mia via. Sali in groppa e fra due ore siamo a Sutera.
- Diego mio... grazie, grazie... oh qual gioia!
- Suvvia, monta qui.
E il cavallo punto dagli sproni, risalì di corsa l'erta, sollevando un nembo di polvere. Suonavano cinque ore dopo mezzodì alla torre di Sutera allorché l'ansante animale arrivò. Gran turba di popolani circondò Diego e riconosciuto nel travestito il lor Pardo, tutti ad una voce gridarono: Viva Pardo! Viva Pardo! E con essi una donna, la quale si precipitò nelle braccia dell'acclamato; Iza ribaciava il suo sposo.
IV
- All'armi! all'armi! tonò Pardo, e dato l'amplesso d'addio ad Iza, sfoderò la spada; poi strappata di pugno ad un navichiero la bandiera tricolore, si avviò correndo alla piazza e là sventolandola ripeté ad alta voce:
- All'armi! all'armi!
- All'armi! all'armi! rispose la turba, e più di cento gli s'affollarono intorno, con zagaglie e falci alcuni, altri con schioppi e pistoni, pochi con carabine. Animati da spirito battagliero, eccitati dall'annunzio della nuova libertà, scossi dalle parole ardenti dei patrioti, quei montanari bramavan davvero di misurarsi col nemico; epperò al grido di guerra di Pardo si serrarono in colonna e sfilarono. Lo sposo d'Iza e Diego misersi a guida dei Suterani, e salutati i vecchi e le donne lasciarono il paese alla volta di Acquaviva. Quella brigata di montanari, veduta da lungi, avrebbe stupito l'osservatore; perocchè il luccicare delle armi ai raggi del sole scendente e il canto marziale degli inni mettevano in cuore un tripudio tutto nuovo, indefinibile. Camminavano allegri, e su quelle fronti abbrunate brillava la gioia e si specchiava il proposito fermo di vincere o morire. Baldi e spediti , serravano al petto con militare letizia le povere armi che loro era fatto portare, ed un sorriso di benevolo plauso sarebbe spuntato sulle labbra del mio lettore nello scorgere i dieci o quindici provvisti di carabina pulirlo marciando, spazzarne l'anima, nettarne il focone , caricarla, metterne il cane a mezzo punto, aggiustar ai fianchi la palliniera. Ed anco gli altri davano occhiate agli arnesi, apprestandoli e passandoli al più vicino commilitone in esame. Era proprio il coraggio italiano che li animava; e lo stesso Pardo, cacciatore provato, d'animo bellicoso, uso alle fatiche e alle lotte, ne inorgoglì;... giovani tutti, infiammati dal sacro amor di patria, desiosi di quella libertà per la quale avevano cospirato e sofferto, incoraggiati dai baci e dagli evviva, mescevano speranze e conforti, auguravano insieme alla lor terra ed ai confratelli felicità e gaudio!
- Oh Diego--dopo lungo silenzio disse Pardo all'amico--oh Diego, fra poco saremo alle mani cogli oppressori. Il tuo annuncio mi ha sollevato; ora spero!
- Non credo che Mussomeli sia ancor tenuto dai regi. Cletto stamane li ha cacciati.... e i gendarmi eran quaranta.
- E pensi abbian sloggiato? si saranno serrati nella torre.
- La quale è comandata....
- Da Orlando.... ma anche a lui non è dato scoprirsi ad una numerosa brigata di sgherri!
- Orlando è audace. Avrà resa la torre....
- A dispetto dei soldati?!.... a quest'ora sarebbe morto.
- E Cletto avrebbe potuto rimaner inerte spettatore dello strazio d'un fratello?....
- Cletto non sa che Orlando è dei nostri.
- Dunque?...--insiste Diego commosso--dunque?
- Ne sarà nato uno scontro e noi giungeremo opportuni a finirlo.
- E se il capitano è morto?
- Non ha Italia l'albo dei martiri?--e queste parole Pardo pronunziò in tuono solenne e in atto di convinzione profonda.
Ambedue tacquero, e per alcuni istanti non s'udì che il grave passo del drappello. Ma di lì a poco due fra i seguaci ruppero il monotono silenzio e parlarono assai rapidamente questo dialogo:
- Senti, Sandro, credi che la vittoria sarà nostra?
- Che dici, Maso, hai paura?
- No, non temo... abbiamo a capo Pardo, lui...
- Lui sì bravo, sì valente...
- Ardito e prode, ci condurrà a certo trionfo... non sai quanto valga il nostro Pardo... tre anni or sono... te ne ricordi?
- O che, Maso, pensi che non m'abbia memoria? L'amico Pasquale fu liberato...
- I gendarmi ebber la peggio...
- Lasciaron due morti... e si nascosero su quel di monte Puccio. Pardo tambussò per quattro...
- E quel che più monta inspirò coraggio a noi... e ci diresse bene.
- Animo, compagni... gridava lui... animo... salviamo l'amico!
- Pardo sarà sempre il nostro capo; anche quei di Villalba e Castronuovo eleggeranno lui!... tutti lo sanno bravo.
- Viva Pardo!
- Si, viva il nostro capo--disse forte Maso--Viva!
- Anche voi fidate in Pardo?--interruppe un terzo.
- Senza dubbio, Ascenso, nessuno in Sutera merita più di Pardo la nostra fiducia...
- Non in Sutera soltanto... anche a Cammarata... a Termini, nella valle... l'ho sentito lodare... e ne godevo come d'elogio fatto a me stesso.
- Nell'inverno passato a me mancò il grano e Pardo me lo donò.
- Ed a me rifornì il casale.
- Alla mia vecchia mamma... lo sapete Maso?... regalò coltri e lenzuola...
- Tutti nella valle lo amano e lo salutano.
- Con lui vinceremo.
- Dovremo a Pardo la libertà delle Madonie.
- Viva Pardo!
- Viva!--gridarono tutti. Viva! ripeté senz'altro Diego. Pardo (chi nol sapesse) non era facile agli improvvisi entusiasmi, per il che all'osanna de' suoi rispose:--Amici, grideremo viva sull'orme del tiranno... allora soltanto! oggi fa d'uopo ordine e coraggio.
- Coraggio! coraggio!
V
Dalle vette eccelse di monte Puccio sorgeva il sole colla sua corona di fuoco a diffondere la luce dorata de' raggi sui boschi e sui vigneti. Irradiati da quel sublime splendore i ruscelli brillavano serpeggianti fra i prati verde-biancastri smaltati dall'armonico velo dei fiorellini azzurri e gialli, e gli uccelletti svegliati dal leggier fruscio delle foglie agitate dalla brezza del mattino volavano liberi e garruli nell'aria tepida per poi posarsi festanti sulle cime degli alberi più alti. Era la natura che, riposata nella pace della notte, si risvegliava e ritornava per l'influsso arcano del disco fondatore alla vita del dì; erano i figliuoli della terra che col cessar delle tenebre cessavano dal sonno, e uniti in poetica concordia innalzavano il saluto degli effluvi e dei canti. Era proprio la primavera, col rigoglio della gioventù, colla bellezza del cielo e del creato, col balsamo degli zefiri delle montagne; e là fra i reconditi Appennini della ferace Sicilia il mattino d'aprile rinnova davvero i colori alle piante, il miele alle acque, le forze all'uomo!
Sulla piazza di Cammarata bivaccava un battaglione di soldati che Salzano avea spedito per tener tranquilla la provincia. Levate le tende di buon'ora, la truppa girandolava intorno ai fasci delle armi, e gli uffiziali ciarlavano raccolti in crocchio nell'atrio del palazzo del Comune.
D'architettura severa e massiccia, vasto, annerito dall'età e dalle piogge, quel palazzo metteva in animo un tal quale ribrezzo che incuteva e spauriva; avanzo grandioso dei tempi feudali ricordava le gesta splendide insieme ed inique dei duchi e dei re angioini ed aragonesi; triste monumento di anni troppo celebrati, illustri per sciagure ed infamie. Quel palazzo rammentava l'esosa boria dei forti e i vigliacchi fremiti degli oppressi; quelle arcate maestose e cupe, quelle volte polverose, quelle lunghe pareti sulle quali erano dipinti i fasti dei signori, ritornavano al pensiero la servitù della plebe avvilita, l'audacia dei protetti, la millanteria dei bravazzi, l'ignoranza superba dei fortunati, la dispotica inviolabilità dei frati e dei conventi, la partigiana indipendenza del clero.
In una sala a pian terreno, che dava sul giardino, passeggiava a lunghi passi il maggiore, e ritta presso la porta del cortile stava la guardia. Era il maggiore un tal Frazitto di Marsala, uno dei pochi isolani che tenessero alti posti nell'esercito del re di Napoli. Più birro che soldato, il Frazitto ubbidiva ciecamente ai comandi dei capi, e servo dei gigli aveva rinnegata la bandiera nazionale non per odio ma per viltà; liberticida senza saperlo, egli seguiva con scrupolosa devozione la sorte di chi lo pagava. Il sovrano non aveva più devoto suddito di quello, e con croci e danaro ricompensava le sevizie al paese nativo. Frazitto era amato dagli uomini della reggia , e specialmente raccomandato a Salzano godeva distinzioni e privilegi. Il visire di Palermo, certo della fedeltà del cagnotto , lo aveva quindi designato a custode dell'ordine in val di Platani ed investito della massima autorità, imponendo ad ognuno che lui riconoscessero per capo ed obbedissero. Teneva spiegata fra mani una carta, ma non leggeva: l'avviso dello scoppio della rivoluzione gli aveva cacciato il demonio nelle vene e nella fantasia pigliavan forma e corpo le più strane idee di sangue e vendetta. Meditava, fremeva, e assai tempo sarebbe rimasto in preda a quella febbre di rabbia e impotenza se un gridio improvviso non l'avesse scosso ed un uffiziale non si fosse allora appunto precipitato nella sala. Si rivolse brusco brusco, e ficcando negli occhi dell'apparso due sguardi smarriti, balbettò:
- Altre novità?!
- Pur troppo, maggiore; Vallelunga, Villalba, i pecorai di monte Ficazzo... sono insorti stanotte.
- Insorti?... e le armi?... e i capi?...
- Le armi eran giunte di nascosto da Girgenti... loro capo è Cletto Navarro.
- Cletto?...
- Sì, maggiore.
- Maledizione! tutto a rovescio! oh foss'io il monarca!
- Maggiore...
- Che volete, tenente?
- Attendo gli ordini.
- Comandate la raccolta... fra mezz'ora... a Villalba.
Frazitto, allorché l'uffiziale fu lontano, gettò la carta in atto di dispetto, e tolta rabbiosamente dalla tavola la spada se la cinse percuotendola sull'ammattonato. Trasse poi dalle borse le pistole, le sgrillettò, caricolle e riposele. Indi rivolto alla guardia, ordinò che gli sellasse il cavallo, ed uscì.
Al suo comparire i tamburi rullarono, squillarono le trombe. I soldati al segno circondarono i fasci, e riprese le armi, si disposero in fila. I capitani li ordinarono in colonna e sguainate le sciabole salutarono la bandiera.
Poco dopo il maggiore salì a cavallo, e postosi alla testa della truppa, lasciò la piazza e calò alla volta del fiume. Ma Frazitto non aveva ancora percorsa l'ultima via di Cammarata, che un uomo tutto polveroso e sudato gli gridò fermandolo collo smaniar dei cenni:
- Maggiore, Cletto Navarro è a Mussomeli... la mischia vi è impegnata... correte all'aiuto...
Quell'uomo era Buscemo Stampace.
Uscito dal quartiere del capitano Orlando, tutto pauroso d'incontrar qualche cittadino che gli scorgesse incisa in fronte la grave nota dell'infamia, aveva attraversato per viottoli e viuzze il sobborgo ed era sbucato sulla piazza dei portici, appunto nel medesimo istante in cui vi ponevan piede Fuoco e Bino. Benchè messo in sospetto dalla presenza di tanta moltitudine, Buscemo ebbe presto ravvisati i due patrioti; epperò sguizzando curvo e tremante tra persona e persona sgattaiolò e raggiunse assai prima di essi il viale, fermo nella speranza d'intanarsi a Villalba. Le grida di guerra delle genti di Cletto gli tolsero ogni fiducia di scampo, quindi scavalcata la siepe s'appiattò nell'oscurità dei campi e lasciò che gl'insorti, correndo e vociando, entrassero in paese e s'allontanassero. Passato il pericolo, si rizzò, prese a tutta corsa la via del monte e senza mai darsi riposo, ombroso e trepido sempre, ravvisò ben presto i tetti di Cammarata. Rifatto il respiro, già entrava nel villaggio, allorché s'incontrò, come viddimo, nel Frazitto, cui infatto s'indirizzava.
- A Mussomeli dunque!--gridò il maggiore; ed indicato a Stampace un cavallo a lui vicino perché lo montasse, e così seguisse con qualche agio la colonna, riordinò la partenza e a passi celeri camminò verso il borgo ribelle.
Appena costoro ebbero perduto di vista Cammarata, sul balcone del palazzo stesso nel quale Frazitto era soggiornato fu inalberato lo stendardo tricolore, ed Enzo apparendo nel vano delle imposte spalancate salutò la folla col sacro grido:
- Viva la libertà!
- Evviva Enzo!--rispose il popolo, e accalcatosi nella corte fe' suo capo l'ardito cospiratore.
Il quale, solitario e prudente, aveva osservato e calcolato, scritto a Pardo, tenute salde le fila della congiura tra Palermo e Sutera, mantenuto vivo il fuoco della rivoluzione, provvedute armi, raccolto polvere e ducati. Degno seguace dello sposo di Iza, fedele ed attento esecutore de' costui ordini, aveva atteso con ansia e gioia il 5 aprile; l'allontanarsi di Frazitto fu per lui il segnale d'insorgere, e insorse.
Continua - 1
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