PAGINE DI STORIA - 1861-2011
Un racconto sui Garibaldini ambientato nei paesi del Vallone - 2a
LE TRE VALLI DELLA SICILIA
Racconto di Gaetano Sangiorgio
VI.
(continua dal numero precedente)
- Viva la patria! aveva gridato Cletto irrompendo nel piazzale di Mussomeli, ed a quel grido i giovani del paese erano corsi all'arme.
--Viva il riscatto! risposero avanzandosi Bino e Fuoco.
-- Avanti! avanti! esclamarono tutti, e più rapidi della folgore cerchiarono il mercato e piantarono la bandiera.
Orlando dagli spari e dalle grida ammonito che gl'insorti già stavano nel borgo, chiuse i suoi gendarmi nel quartiere e messone uno in vedetta attese gli eventi. Forte gli batteva in petto il cuore, e ad ogni poco temeva che i soldati si rivoltassero e uscissero. I quali infatti, prima taciti e sommessi, cominciarono a mormorare, a chieder perchè il capitano non schiacciasse il nemico sprovveduto, a dubitar di lui e del riparo, a desiderar la lotta, a invocarla, a gridare, a minacciare.
Inutili comandi diede Orlando; i gendarmi spalancarono le porte e sbucarono sulla via. Una salva di fucilate li accolse; la mischia divenne subito terribile, e parecchi morti insanguinarono il selciato.
Orlando, vedutosi solo e certo del trionfo dei patrioti, corse innanzi ai compagni, e a tutta voce gridò:
- A me Cletto! Viva Italia!
- Orlando, a noi!--Bino replicò,
Ma i gendarmi non cedevano, e il fuoco aumentava. Feriti e scemati , essi opposero la più disperata resistenza, e pochi contro molti vendettero cara la vita; mancate le cariche ruotarono in giro l'armi vuote con furore crescente e sempre più raggruppandosi in cerchio. Era valore degno di scopo migliore, pur italiano; e gli stessi offensori li ammiravano e compativano. Quei prodi non sapevano altro nome che quello del re, non avevano idea dell'Italia e della libertà; non pensavano che col cervello dei comandanti; difendevano l'assisa , lo stemma, le spade! Nondimeno, affievoliti e oppressi, dopo un'ora di lotta, quegl'inferociti si contarono, si trovarono venti, e videro a sé intorno una siepe d'estinti. Le armi si erano spezzate, le fronti grondavano sudore e sangue, il numero degl'insorti cresceva ad ogni istante, provetti erano i loro duci, nessuna speranza di scampo.
Piegarono quindi, ma piegarono alteri; gettarono l'armi e senza dir parola né muover lamento s'arreser prigioni. Cessata la mischia, anco le ingiurie e le bestemmie cessarono. Il popolo sgombrò la via e si accordò qualche riposo. Le salme dei morti vennero gettate nel campo più vicino, ed ai vinti si concesse libertà col comando d'uscir da Mussomeli. Bino e Fuoco condussero Orlando in presenza di detto, ne lodarono l'amor pel paese e il coraggio con cui avea sfidate l'ire dei subordinati, e tanto fecero e dissero che Navarro (il quale temeva d'inganno ed odiava d'odio generoso la divisa che il capitano indossava) gli stese cordialmente la mano e l'abbracciò:
- Uniti da grande proposito, saremo sempre fratelli, Orlando!
- Ve ne son grato, Cletto. Quest'abbraccio mi riconforta...
- E vi ricompensa--interruppe Bino--avete molto sofferto!
- Oh sì, molto! L'assisa che vesto m'umiliava; vile fra vili temevo sempre l'oltraggio del patriota... due soli m'hanno dato speranze... coraggio... Bino e Pardo.
- Siete amico di Pardo?
- Me ne onoro, Cletto. Lui mi riabilitò, da lui ebbi consigli e sprone. Oh potessi baciarlo in volto!
- Pardo sarà presto con noi... domani, forse oggi... stanotte...
- Amici--gridò in quella, correndo loro incontro, un giovane montanaro--amici, sulla postale
di Cammarata appare una colonna di regii. Il denso polverio impedisce lo scorgerne il numero, ma temo sian molti!
- Soldati?... è dunque un assalto... su, su compagni, asserragliamo le vie... barrichiamo le porte...
- Volete combatter qui?--osservò Orlando--qui?... all'aperto?... tagliati dal fiume?... esposti ai loro colpi dall'alto? no, no Cletto... pieghiamo su Acquaviva...
- Avremo Sutera alle spalle... Pardo vedrà e verrà. Acquaviva è più sicura.
- È almeno meglio difendibile.
- Dunque ad Acquaviva!--tonò Cletto; e d'un salto fu in piazza.
Intanto gli armati di Vallelunga, Villalba e Mussomeli s'erano raccolti e schierati; ed allorché Navarro gridò loro che il nemico s'avvicinava e che giovava ordinarsi in battaglia sulle alture vicine ad una voce tutti risposero:
- Ad Acquaviva!
E ad Acquaviva giunsero mezz'ora dopo. E allora appunto Frazitto occupava Mussomeli.
VII
Vedesti mai un tramonto d'aprile? Il sole, dopo avere in tutta la sua pompa attraversata la valle, scendeva lento lento dietro le punte del Monte Cammarata, irraggiando quasi d'isforzo i boschi e i pendii. La parte più profonda della vallata era già immersa nelle tenebre, e il rumorio delle acque nascoste rompevano solo il silenzio. Ombre melanconiche ed uniformi velavano i dossi e le calate, e il morir quieto ma solenne del giorno le aumentava, mettendo nel villico una tristezza che non è dolore.
Le montagne all'ingiro, più umili del gran fratello, cerchiavano con muta eguaglianza la vasta scena, e dietro ad esse spiccava il ceruleo del cielo ingemmato dalle prime stelle. Qualche torre rompeva qua e là il monotono orizzonte, qualche squilla dava il saluto della sera, e il lontano canto del pastore addolciva la tetra calma della natura. A poco a poco però anco l'orbita infuocata del sole sparve, e con lui ogni luce animatrice. L'azzurro celeste brillò più vivo e tagliato, la luna concesse i suoi primi sorrisi, e quei raggi di argento spezzavano la tenebria e infondevano la vita pacata e solitaria della notte alle falde deserte. Le alture d'Acquaviva erano anch'esse inondate da quella luce, e perchè franate da ogni banda e segate dalla sommità ai declivii da torrentelli e gore , il contrasto dei dirupi colle spianate riusciva armonico e pittoresco. Vedute da lontano si sarebbero assomigliate a piccoli vulcani spenti, i rivoli delle cui lave impietrati brillassero al cospetto della luna, e di cui i crateri si fossero per potenza misteriosa riempiuti sotto uno smalto uniforme insieme e vago di lucidi massi e zolle fiorite. Nuotante in un oceano indefinito di splendore argenteo, il povero paesuolo s'ergeva sparso in rustici casali su quelle cime; contemplato da settentrione sembrava si librasse lassù quasi in atto di fuga, veduto da Sutera pareva rituffato da palmo invisibile nei gorghi della valle; nuova sirena, Acquaviva ingannava lo straniero; appariva bella e graziosa, era in realtà misera e poca. Abituro di mandriani e caprai, teneva aspetto di luogo delizioso, era all'incontro umile comune, eretto là in alto, fra le viscere della valle e le vette più giganti, siccome rifugio dalle bufere e dai turbini.
Questa scena alpestre, questa pace tutta montana, questa quiete riposata e tranquilla, venivano però spezzate e rotte da alte grida che partivano da Acquaviva e dalle alture vicine. Erano voci di guerra, erano urla di vittoria e rabbia, spari, rimbombi, suono d'armi percosse, lunghi sospiri soffocati, brevi bestemmie. Due schiere italiane, là, su quelle cime pure italiane, si straziavano, si uccidevano, vincevano, fuggivano, con ferri italiani, in nome d'Italia. Gli echi ripetevano quelle grida e quegli urli, e nel buio della notte avresti detto che uscissero dal seno stesso della terra, se qualche fuggitivo scorazzante alla cieca, se qualche ferito sanguinolento e sbaldanzito non fossero ad ogni poco apparsi a dar conferma alla dura realtà: nati tutti sotto lo stesso cielo, tutti parlanti l'istessa favella, tutti figliuoli della medesima patria, combattevano da ore parecchio al grido smisurato di Viva il re gli uni, Viva la libertà gli altri. Pur
«D'una terra son tutti: un linguaggio
Parlan tutti: fratelli li dice
Lo straniero: il comune lignaggio
A ognuno d'essi dal volto traspar.
Questa terra fu a tutti nutrice,
Questa terra, di sangue ora intrisa,
Che natura dall'altre ha divisa,
E ricinta coll'Alpe e col mar.
Ahi sventura! sventura! sventura!
I fratelli hanno ucciso i fratelli:
Questa orrenda novella vi do!.
Un giovane col petto squarciato, col viso sanguinoso, coi panni bruciati dal fuoco e dalla polvere, scendeva in mezzo a quel disperato turbinio dal paese lungo il corso di un piccolo torrente.
Ad ogni passo inciampava, piegava le ginocchia, e se forse per solo istinto non poggiava la persona sulle mani stese al suolo cadeva e cadendo precipitava dall'alta ripa. Gli occhi smarriti, la pallida fronte, il respiro angosciato, il tremito delle membra, il sudore gelato che gli gocciava, ben dicevano che a quel misero ferito era presso la morte. Pur volle contemplare ancora un istante il triste spettacolo, e comprimendo colla destra l'affanno del cuore, si rizzò e stese la libera mano in atto di supremo saluto al paesuolo. A quello sforzo però svenne, e caduto boccheggiante sull'erba arrossata mormorò;--Italia, ricevi l'addio ultimo d'Arnoldo--e spirò. Nato e cresciuto in Acquaviva, moriva cittadino-soldato col nome di patria sulle labbra!
Guidati da Pardo, gl'insorti ributtavano con ostinato valore gli uomini di Frazitto; il quale, irato di cedere innanzi a un pugno di montanari, incuorava colle parole e coll'esempio i soldati a tener salda la bandiera del Monarca e far onore all'assisa che vestivano. E per verità combattevano da prodi, ben mostravano d'esser nipoti di quegli eroi che Murat aveva lanciati fra i ghiacci della Russia a sostegno dell'aquila francese; ma Pardo, coraggioso ed audace, ardito nelle avvisaglie e prudente ai ripari, collo sguardo rianimatore, colla parola infocata, colla mano di ferro, a tutto era pronto, tutto faceva, ordinava tutto; portato da focoso destriero, correva tutti i lati del campo, si gettava nel più folto della mischia, qui riparava i colpi diretti a un fante, là quelli minacciosi all'amico, sereno in viso siccome uomo che tenga in pugno la vittoria, orgoglioso di onorare il nome italiano. Il cavallo, quasi esso pure dividesse la gioia e l'ardenza del padrone, s'imbaldiva, impennava, correva, volava; e là dove più stretta era la tenzone, dove il fumo era più denso, dove gli spari rivaleggiavan col tuono, piombava a precipizio, questo atterrando, quello pestando.
Già da tre ore si battagliava; perocché appena Frazitto ebbe veduto Mussomeli spoglio e deserto, aveva inseguito Cletto e raggiuntolo sulle alture. Ma la fatica non avevagli concesso di assaltar subito le barricate degl'insorti, e solo a sera potette dar il segno dell'attacco. Pardo intanto aveva raggiunta Acquaviva, raccolte le diverse brigate, distribuite armi e munizioni, dati capi e comandi, eccitati gli spiriti, studiato il terreno; e Frazitto al primo urto s'era accorto di lottare con prodi, di aver sfidato l'ingegno del più prode di Val Mazzara. Posti l'uno a fronte dell'altro, il rinnegato di Marsala e il cospiratore di Sutera, soldati di due opposte bandiere, devoti a principii ostili, fedeli a giuri avversi, non potevano né piegare né cedere; dal cozzo delle loro spade dovevano scaturire o la libertà delle Madonie o il servaggio della valle. Frazitto e Pardo lo sapevano; e perciò aspra e dura era la guerra; avrebber lottato sino all'infinito piuttosto che dirsi vinti e gettare le armi.
Mancava solo un'ora a mezzanotte, e Pardo voleva vincere. Serrò dunque le fila de' suoi, comandò a Cletto che ad ogni costo spezzasse la doppia schiera dei regii, ed a Diego affidò un'eletta squadra di bravi perchè cogliesse all'imprevista nelle sue ali il nemico e sfondandolo si cacciasse nel centro. Egli poi, seguito da Fuoco e Bino, e da pochi arditi, alzò il grido d'allarme e a gran furore piombò addosso al Frazitto. Fu un urto spaventevole; molti come falciati dalla morte caddero per non più risorgere. Pardo compié prodigi; colla spada nella destra, nella sinistra la pistola, faceva largo innanzi a sé e urlando ad ogni tratto:--Muojano i nemici!--gettava di sella i cavalieri e stramazzava i pedoni. Eccitati dal calor della pugna e dal valore di Pardo, anche Bino e Fuoco rivaleggiarono coi più prodi; quei tre tanto menaron colpi e spossarono che ben presto i regi perdetter terreno e spauriti piegarono. Fu un delirio di rabbia, un violento ricambiar di fendenti e imprecazioni; nessuno rimase illeso, e il campo fu veduto seminato di agonizzanti e cadaveri, tutti feriti nel petto, caduti tutti coll'onor del valore; Cletto e Diego, degni esecutori di Pardo, tempestarono il nemico nei lati e di fronte.
Pieni di coraggio ed entusiasti, esposero sempre sè stessi per salvar la vita dei compagni, li eccitarono ad atti di valore incredibili, apriron loro la via. E tutti, gridando Viva Italia, Viva Pardo, insegnarono ai soldati che l'amor della patria infonde in animi generosi coraggio e virtù; uccisero i feritori, feriti uccidevano. Giovani imbelli su quelle alture divennero veterani, i loro bracci parevano di ferro, i loro petti invulnerabili. Allorché uno cadeva l'altro serrava la fila, e sempre cacciandosi innanzi portavano la strage nelle nemiche; assottigliati, raddoppiavano il valore e ben aveva diritto Pardo di gridare dal folto della carneficina:--Su, su, bravi, fatevi onore, ancora pochi colpi e nostra sarà la vittoria. -
E Orlando?
Il buon Orlando, condotti sulle alture Cletto e gli amici, era disceso in paese, e salvato dalle ire soldatesche per la divisa di capitano, aveva raccolti altri giovani e stavali alla lesta, ed il meglio possibile, ordinando, allorquando Enzo cogl'insorti di Cammarata comparve. La presenza dei fratelli dell'alto monte, di un uomo sì ardito, sì ostinato qual era Enzo, ravvivò il desiderio di menar le mani e in Orlando e nei patrioti rimasti in Mussomeli. Epperò, dato bando a qualunque assetto, tutti uniti volser le spalle al sobborgo e salirono alla volta d'Acquaviva. Ivi giunsero nell'ora in cui più dubbia ed accanita ferveva la battaglia, ed il loro arrivo (non eran molti, ma freschi e prodi) assicurò a Pardo il trionfo. Orlando ed Enzo, scorto Pardo, lo seguirono in mezzo ad un turbine di spari e polvere, e sguainate le sciabole e spianate le carabine caricarono il nemico coll'audacia dei magnanimi, onorarono sé stessi, s'accrebbero lustro. E la mischia terminava, e le grida di vittoria echeggiavano dovunque, allorché Orlando come percosso da un pugno barcollò e cadde rovescioni:
Buscemo Stampace vedutolo l'aveva preso di mira e gettato morto da sella!
Caduto Orlando, Buscemo, cacciato dal demone dell'odio, fatto coraggioso dalla paura, spronò il cavallo contro Fuoco ed avventandosegli addosso, disse con voce irata e rabbiosa:
- Fuoco, Fuoco, e la lettera l'hai recata?
- Voi Stampace?
- Rendi l'arme, gaglioffo.
- Ah, furfante!--e Fuoco, colto all'improvviso da un colpo scaricatogli alle spalle, gettò la spada e dato furiosamente di piglio al fucile, immerse la baionetta nel ventre al traditore, e sì d'impeto che il sangue sprizzato dalla larga ferita gl'insudiciò mani e viso. Frazitto, che poco lungi duellava con Pardo, si scagliò livido di rabbia sul giovinetto, e, rizzatosi sull'animale, calò un fendente tanto assestato sul cranio di lui che il filo della spada tagliato il cerebro ripercosse sulle mascelle, Fuoco, orribilmente mutilato, stramazzò al suolo; ed intanto Buscemo veniva sollevato dai soldati e recato in salvamento. Pardo vide, intravvide, avvampò d'ira, impallidì, ed urlando
vendetta piombò sul maggiore.
Diego e Cletto accorsi essi pure allo strazio del povero Fuoco, perdettero il lume della ragione, e mugghiando terribilmente si precipitarono in mezzo ai nemici. I cavalli, crivellati da palle e punture, caddero bocconi, ed i due temerari, impigliati nelle staffe, furono per loro gran malanno subito circondati. Percossi coi calci delle carabine e sforacchiati da una pioggia di colpi, Cletto e Diego penarono lunga pezza a trarsi di sotto ai morti corridori, ma appena ebbero libera la persona saltarono in piedi e alla gragnuola risposero con una fitta di botte che mai si vide la più disperata. Benché due contro dieci, pur si difesero da eroi, e vivo sangue lor spicciava da ogni dove. Mani, coscie, reni, collo, faccia, tutto il corpo fu loro ferito, e così grondanti e sfatti incutevano spavento agli stessi assalitori. Infiacchiti e stremati, percossi senza tregua, sentirono però vacillar le ginocchia, s'accosciarono, e già moribondi tenevano in rispetto quella mano di codardi. E codardi eran davvero, perocché ammazzavano due morti..... Non hai ancor letti i nomi di Diego e Cletto scritti a caratteri d'oro nel sacro libro dei nostri martiri?
La battaglia ora terminata, i regii in fuga, gl'insorti padroni delle alture avevano inalberato lo stendardo tricolore sul campanile. Nondimeno Pardo e Frazitto combattevano ancora, e il loro era duello a morte; serrati l'un contro l'altro, avevano le armi e le vesti spezzate, e col solo troncone della spada si squarciavano le membra chiazzandosele di sangue in omaggio d'eguaglianza selvaggia. Gli occhi volevano schizzare dalle orbite, i denti battevano, il palpito de' due cuori era febbrile e violento, un tremito di convulso livore correva loro attraverso la persona: il delirio della tenzone riusciva al suo colmo, e però fu giocoforza finissero. Raccolte tutte le sue forze Pardo abbracciò stretto l'avversario, l'atterrò, e cadendogli sopra gli tuffò e rituffò con gioia suprema l'avanzo del ferro nel petto. Frazitto non dié un grido, non mosse palpebra, e morì brandendo tuttavia stretta in pugno la sciabola gocciante. Pardo a lenti passi s'allontanò e appié della torre poco discosta cadde svenuto.
VIII
Spuntava l'alba del 6 e gran folla di popolo s'accalcava sul piazzale d'Acquaviva. Adagiato su poca paglia lungo i gradini della chiesa, un uomo, tutto insanguinato, lottava colla morte, e nella sua agonia sorrideva. Inginocchiata a lui d'accanto, una giovane donna piangente e discinta gli tergeva con pannolino il sudore, e con affetto sublime lo baciava in fronte. Dolore acuto e profondo era quello della donna, e ne' suoi occhi velati e gonfi dalle lagrime ognun leggeva la storia d'un amore sviscerato e imperituro. Chini sul morente, due giovani montanari ne contemplavano con visibile angoscia le ferite fasciate e le labbra semiaperte; avrebber di cuore sacrificata parte della loro vigoria per salvar la vita dell'amico; non piangevano, ma i loro sospiri e l'agitazione de' loro sembianti attestavano il cupo e mal celato strazio dell'animo. La folla stessa singhiozzava; il prematuro e fatale morir di quell'uomo era dunque un affanno comune, tutti sentivano che in lui si spegneva un'esistenza preziosa, si recidevano speranze lungamente nutrite, affezioni cementate dai fatti.
- Addio, Iza mia... addio Enzo, Bino addio... ed a voi pure popolani... addio! muoio... ma muoio contento... la mia valle è risorta... e l'isola respira! Abbiate sempre cara la libertà... sull'altare di essa deponete rancori ed odii... amatela, la patria... questa terra nostra... questa terra... Oh, sento mancarmi le ultime forze... addio amici... Iza, Iza mia, ricordati del tuo Pardo... amalo anche morto... e spesso parla di me alla vecchia Rosalia... ai villici di Sutera... Oh Sutera!... ieri fuggivo... esulavo... oggi eccomi ucciso... Addio Iza... Iza!... dammi l'ultimo bacio!
E colle braccia strinse al seno la desolata sposa, baciandola, ribaciandola, coll'impeto dell'abbandono estremo. Iza, vinta da tanto dolore, teneva fissi gli sguardi negli occhi di Pardo; e le suppliche d'Enzo e Bino perchè di là si levasse, si togliesse a quel luttuoso spettacolo, a nulla valsero; nessun conforto, consolazione nessuna ascoltò... abbracciava ancora le spoglie del marito che le campane salutavano con mesta melodia il sole risorto.
IX.
Nove mesi dopo la tragedia d'Acquaviva Buscemo entrava commissario d'ordine e pace in Barletta. Riverito siccome personaggio potente, la città fu parata a letizia per festeggiare l'eroe di Val Mazzara!
Così era salutato nelle Puglie Buscemo Stampace.
2 - Fine
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