Personaggi
Don Mariano Diprima di
Sutera e la via di Mangiabue
Lasciato Bompensiere alle spalle, il pellegrino
che si dirige a Sutera si preoccupa di superare il fiume Salito; attraversato
un ponte può addentrarsi per un sentiero sterrato che da sud est si inerpica
verso il monte S. Paolino, in cima al quale c’è un santuario.
È questa la via che frequentano anche quelli che
scendono da Montedoro e, superata contrada Mangiabue, da valle salgono a piedi,
diretti a Sutera; così fa ad es. don Giovanni Rizzo che per un breve tempo si
trova a guidare la parrocchia di Sutera.
A questo episodio accenna il chierico Mariano
Diprima in una lettera a don Rizzo; il chierico, che si trova al paese natìo,
scrive il 31 luglio 1931: « […] questo paese è ancor suo […] qui quasi tutti i
sacerdoti sono musici: P. Carruba ha dato lezioni di armonio ad orecchio al P.
Firrone e al P. Raimondi e se vedesse, mattina e sera strimbellano (sic). L’asilo va avanti; in questi
giorni le Suore aspettano
Mariano Diprima è tra quei chierici che il 9
aprile del 1931 sottoscrivono un Indirizzo
di omaggio a don Vito Alfano. I giovani del Seminario ringraziano
l’arciprete parroco per l’accoglienza ricevuta in occasione di una gita svolta
a Montedoro, nei giorni 7 e 8; sono edificati pure per lo zelo dimostrato da
valenti fedeli e operosi sacerdoti; ne hanno tratto un esempio di vita
apostolica, tanto più considerando che tra le due guerre don Rizzo nativo di
Montedoro e nipote diretto di don Vito è il rettore del Seminario di Caltanissetta,
oltre che l’animatore di tante attività pastorali che si svolgono in diocesi.
I chierici suteresi di quegli anni sono Vincenzo
Monella, Giuseppe Mistretta, Onofrio Schillaci. I giovani chierici, specie nel
periodo estivo che si trascorre a Sutera, hanno l’abitudine di raggiungere
Tranne qualche uscita per predicare o sostituire
dei sacerdoti nei paesi del Vallone, don Mariano trascorre per intero la sua vita
a Sutera; possiamo immaginare che anche lui per raggiungere Bompensiere si
metta in cammino, e risalga la via di Mangiabue. Ben diverso è il corso della
vita di Vincenzo Monella (classe 1908); l’azione è tra Palermo, paese natìo e
capoluogo nisseno; ordinato sacerdote da mons. Giovanni Jacono, il 19 marzo
1932, nel giugno 1947 si trasferisce negli Stati Uniti.[1]
A Campofranco, c’è pure un sacerdote che trascorre
quasi tutto il suo ministero nel paese natio; don Nazareno S. Falletta (classe
1910) vi si dedica dal 1935 al 1995, quasi; anche lui compie solo qualche breve
periodo di servizio fuori da Campofranco; e, non a caso, a Sutera, il paese più
vicino. E mentre don Nazareno trascorre il periodo della prima giovinezza solo
nel seminario nisseno, don Mariano ha già un’esperienza più ampia. Nel 1919 è
entrato nel vocazionario salesiano di Pedara, vicino Catania. Qui svolge le
prime tre classi di ginnasio e poi passa al seminario di missioni estere, di
San Gregorio di Catania. Nell’autunno del 1924 entra nel seminario di
Caltanissetta. Simili percorsi accomunano molti giovani sacerdoti del seminario
di Caltanissetta, specie nel periodo tra le due guerre. La generazione dei
preti degli anni venti e trenta si forma a contatto con personalità spirituali,
come il vescovo Jacono, Pietro Capizzi, direttore spirituale del seminario e
poi vescovo di Caltagirone; Giovanni Rizzo rettore del seminario e poi vescovo
di Rossano Calabro.
Nella chiesa di sant’Agata don Mariano introduce
la statua di don Bosco e, ispirandosi all’apostolo della gioventù, si dedica
con generoso impegno ai giovani e ai ragazzi delle associazioni di Azione
Cattolica. Nella chiesa di S. Agata, del resto è stato battezzato da don
Giuseppe Nicastro, dopo la nascita avvenuta il 16 novembre 1907, al quartiere
Rabato, in Via Normanni, nella casa paterna. I genitori si chiamano Stefano,
commerciante di tessuti e membro della Confraternita degli agonizzanti, e
Calogera Montalto Monella.
Della chiesa di sant’Aagata, a nord ovest del
monte S. Paolino, don Mariano diviene primo parroco nel marzo 1952; qui
sviluppa il suo ardente zelo per la formazione dei giovani, la cura degli
ammalati, il culto e il decoro della chiesa, la catechesi ai fanciulli, la
direzione spirituale ai fedeli. Coltiva pure il canto e la musica, per
incrementare le attività di oratorio; scrive pure poesie in dialetto e si
diletta di pittura. Cura pure la casa canonica, la bibliotechina e la sala
parrocchiale, dove è pure animatore di tante rappresentazioni teatrali
d’occasione.
Per la posizione geografica che tiene il suo
paese, soffre un poco di un certo isolamento e di una certa routine; all’indomani della sua morte
(11 febbraio 1974) emerge però in modo pieno la memoria ecclesiale di don
Mariano. Una fedele discepola, Gesua Amico, raccoglie nel corposo
dattiloscritto Una scia luminosa
numerose e affettuose testimonianze, nonché varie pagine di diari intimi.
Tra le testimonianze si segnala quella benevola di
padre Ermenegildo Salvatore Giarrizzo, dell’Ordine dei frati minori, autore di
un vocabolario della lingua siciliana; una circostanza, degna di nota è il 25°
anniversario di sacerdozio di don Marianno (10 luglio 1957); per l’occasione
accorrono le autorità cittadine, i sacerdoti secolari e i frati cappuccini in
servizio a Sutera, le associazioni di Azione Cattolica, i membri delle
confraternite. Una istantanea di quel fausto avvenimento vede riuniti anche
diversi sacerdoti da Mussomeli, da Campofranco, e finanche da Montedoro; ora è
don Angelo Rizzo a passare il Salito in automobile e non più a piedi o con muli
sul vecchio tracciato di Mangiabue.
Il servizio parrocchiale di don Mariano è
semplice: è molto radicato nelle tradizioni locali e popolari del
cristianesimo, si effonde nella devozione ai santi e alla Madonna. La sua
predicazione è semplice; anche le carte private, lettere e diari, che rivelano
un certo tono sentimentale, contengono messaggi modesti, adatti a edificare e
incoraggiare; la sua catechesi è divulgativa, priva di grandi riferimenti ai
Padri della Chiesa o di dotte citazioni dei maestri della spiritualità moderna.
I fedeli sono esortati alla virtù, sostenuti nel cammino e corretti negli
errori.
Un simile modello pastorale si nota pure
nell’opera di don Nazareno Falletta che dalle colonne della «Voce di
Campofranco» scrive numerosi editoriali; il mensile viene pubblicato a partire
dal settembre 1961 e don Nazareno dà ai suoi articoli un’impostazione
esistenziale; i messaggi morali e le catechesi dottrinali sono pure molto
semplici.[2]
La devozione era rivolta ai santi, ad es. s. Rita
e s. Teresa di Lisieux, e in special modo alla Madonna; letture preferite erano
le vite dei santi, senza escludere i bollettini locali come «
Così scrive don Mariano in una lettera ad
Antonietta Infantino, orsolina, il 15 maggio 1968, quando già declinano le sue
condizioni di salute: «Durante la malattia credevo che non avrei mai più
celebrato
La vita di don Mariano è trascorsa nell’apostolato
fervoroso e nella semplicità morale; di lui un giudizio ben misurato dà don
Giuseppe Sorce Sapia, in occasione del trigesimo della morte: «poteva sembrare
lento ed era invece prudente; meticoloso ed era invece giusto; distaccato ed
era tanto onesto».
Salvatore Falzone