La comunità ecclesiale di Montedoro da tempo riflette sul
libro del profeta Ezechiele, assegnatole a motivo del biennio biblico diocesano
che si concluderà nel maggio 2012. Durante un cenacolo biblico sul libro di
Ezechiele è nata un’intuizione che si deve al senso comune di tante buone mamme
di famiglia.
Si legge in Ez 11,15b che in Gerusalemme i sopravvissuti alla deportazione in Babilonia si vantano, dicendo «a noi è stata data in possesso questa terra». Orbene, la terra ricevuta
in possesso, anche Dio può sottrarla al popolo. È probabile che il profeta si rivolga ai sacerdoti rimasti in Palestina dopo ilIn seguito agli studi di Martin Noth sulla storia
d’Israele alcuni studiosi hanno comunque rivalutato il contributo dei
superstiti di Gerusalemme, in favore della rinascita del popolo e della
fondazione del giudaismo. In ogni caso, l’ammonizione di Ezechiele è di valore
teologico e non storico; nella radicale prospettiva divina il diritto morale su
una proprietà è solo di Dio.
Dio si acquista un popolo in mezzo ai dispersi; o
meglio, da un resto fa rinascere Israele. E acquistarsi un popolo equivale nel
linguaggio biblico all’opera di una donna che generando un figlio, se
l’acquista; è una fraseologia che anche nel siciliano è presente.
Si nota pure che il termine ebraico morasah indica
«proprietà»; il termine ha un significato giuridico. Invece il popolo che Dio
si è acquistato è sì un «popolo di proprietà», ma nel senso morale come quando
si realizza un’adozione di bambini. E infatti nel vocabolario ebraico si usa un
altro termine.
L’espressione «popolo che Dio si è acquistato» ritorna
nella prima lettera di Pietro (
Il popolo privilegiato è quello che Dio s’è procurato, in
senso morale; alla maniera di una donna che ha un’autorità legittima sul figlio
da lei generato. In questo caso la fraseologia ebraica prevede segullah. La
radice verbale sagal significa «acquistare», «accumulare»; ma riferendosi a Dio
non esprime un contratto, quanto l’opera da Lui compiuta per acquistarsi un popolo,
salvandolo dalla rovina.
Il diritto di proprietà che Dio tiene su ciò che è suo
ritorna in un passo del vangelo di Giovanni: «Dio venne tra la sua gente» o più
letteralmente «venne nella sua proprietà» (cf. Gv 1,11a). Qui «proprietà» è
reso con il greco ta idia che indica la casa privata e il diritto che il
legittimo possessore vi esercita.
In breve, nella Bibbia distinguendo la proprietà legale
da quella morale si ribadisce sempre l’assoluta signoria di Dio: per tutti i
fedeli impegnati nella nostra diocesi nell’apostolato biblico si rinnovi la
fiducia nel Dio che accompagna il suo popolo.