Semi di senape

Riflettendo sul biennio biblico

La comunità ecclesiale di Montedoro da tempo riflette sul libro del profeta Ezechiele, assegnatole a motivo del biennio biblico diocesano che si concluderà nel maggio 2012. Durante un cenacolo biblico sul libro di Ezechiele è nata un’intuizione che si deve al senso comune di tante buone mamme di famiglia.

Si legge in Ez 11,15b che in Gerusalemme i sopravvissuti alla deportazione in Babilonia si vantano, dicendo «a noi è stata data in possesso questa terra». Orbene, la terra ricevuta in possesso, anche Dio può sottrarla al popolo. È probabile che il profeta si rivolga ai sacerdoti rimasti in Palestina dopo il 597 a. C. Essi tengono una proprietà giuridica, mentre Dio procede in esilio con il suo popolo. Dio stesso si fa esule e missionario.

In seguito agli studi di Martin Noth sulla storia d’Israele alcuni studiosi hanno comunque rivalutato il contributo dei superstiti di Gerusalemme, in favore della rinascita del popolo e della fondazione del giudaismo. In ogni caso, l’ammonizione di Ezechiele è di valore teologico e non storico; nella radicale prospettiva divina il diritto morale su una proprietà è solo di Dio.

Dio si acquista un popolo in mezzo ai dispersi; o meglio, da un resto fa rinascere Israele. E acquistarsi un popolo equivale nel linguaggio biblico all’opera di una donna che generando un figlio, se l’acquista; è una fraseologia che anche nel siciliano è presente.

Si nota pure che il termine ebraico morasah indica «proprietà»; il termine ha un significato giuridico. Invece il popolo che Dio si è acquistato è sì un «popolo di proprietà», ma nel senso morale come quando si realizza un’adozione di bambini. E infatti nel vocabolario ebraico si usa un altro termine.

L’espressione «popolo che Dio si è acquistato» ritorna nella prima lettera di Pietro (1 Pt 2,9); il nuovo popolo è ancora la nazione santa, la stirpe eletta, il popolo di sua conquista.

Il popolo privilegiato è quello che Dio s’è procurato, in senso morale; alla maniera di una donna che ha un’autorità legittima sul figlio da lei generato. In questo caso la fraseologia ebraica prevede segullah. La radice verbale sagal significa «acquistare», «accumulare»; ma riferendosi a Dio non esprime un contratto, quanto l’opera da Lui compiuta per acquistarsi un popolo, salvandolo dalla rovina.

Il diritto di proprietà che Dio tiene su ciò che è suo ritorna in un passo del vangelo di Giovanni: «Dio venne tra la sua gente» o più letteralmente «venne nella sua proprietà» (cf. Gv 1,11a). Qui «proprietà» è reso con il greco ta idia che indica la casa privata e il diritto che il legittimo possessore vi esercita.

In breve, nella Bibbia distinguendo la proprietà legale da quella morale si ribadisce sempre l’assoluta signoria di Dio: per tutti i fedeli impegnati nella nostra diocesi nell’apostolato biblico si rinnovi la fiducia nel Dio che accompagna il suo popolo.

Salvatore Falzone