Verso la festa del 22 maggio

Una Rita diversa dinanzi al Signore

Il lutto ha sempre bisogno di essere elaborato, rivissuto, accettato. quasi masticato perché diventi fibra dell’essere. Allora anche il peggiore, il più forte può diventare “utile per una vita migliore". Così è per Rita Mancini: ormai sola al mondo, dopo sofferenze e lacrime ha accettato la morte dei suoi figli; il ricordo è nel suo cuore non più come ferita, ma come dolcezza; la sua maternità si è offerta ai poveri e ai malati, ora desidera il monastero. Bella forza - dirà qualcuno forse anche in paese - è sola, chi baderà alla sua vecchiaia in questo tempo di lupi? Tanto vale il rifugio, il porto sicuro, l’abbraccio consolatorio del monastero. Probabilmente ragionano così anche le monache del Monastero Agostiniano di S. Maria Maddalena che, per tre volte, rifiutano la sua domanda di ingresso. Perché?

Dubbi sulla sua vocazione? Paura di qualche ritorsione? Mancini è ancora un nome in grado di suscitare paura. le lotte tra frazioni non si sono placate. E un momento storico difficile: l’Italia si sta assestando in un equilibrio non ancora tale. il papato si rafforza dopo l’esperienza di Cola di Rienzo, il Rinascimento mette in discussione il passato medioevale, l’economia e la finanza cominciano a trainare gli Stati, a determinare alleati e nemici. Anche a Cascia, borgo remoto, si avverte questa effervescenza, questo profumo di nuovo? Forse sì, e per questo le monache temono che un cognome così dirompente possa turbare la quiete del monastero. E poi, ripete qualcuno, cosa offre Rita al Signore? Gli scarti? È vero: Rita non offre una giovinezza vergine, ingenua e ardente, ma una maturità piagata ma non piegata, una vita consapevole della gioia e del dolore, una preghiera che nasce da un roveto che arde nel suo cuore. Rita offre a Gesù il dolore accettato: “le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria che deve rivelarsi in noi", conosceva forse l'epistola ai Romani?

Non lo sappiamo ma la risposta di S. Paolo alle sofferenze di Giobbe è nel suo cuore e nella richiesta di entrare in monastero. Chiede, ottiene tre rifiuti: si rivolge a S. Giovanni Battista, a S. Agostino, a S. Nicola da Tolentino. Dice la leggenda che dallo Scoglio sia volata nel monastero. Bello a credersi: ali d'aquila l'hanno sollevata e deposta dinanzi alla porta, che finalmente nel 1417 si apre.

Giulia Fiorani

(Lo scoglio di Roccaporena, 12/2011)