Seme di senape

Immagine o presenza?

 

Quando arriva l’estate i nostri paesi fervono di feste patronali; si esce in processione accompagnando il simulacro. San Calogero, san Giuseppe… e tanti altri, sono i santi protettori; le statue però rimangono un segno e il segno è mortale.

Porta la morte, se la festa patronale è manipolata da cosche mafiose; porta l’inganno nella misura che la devozione cristiana s’attacca al rito esteriore.

La parola «simulacro» indica il manufatto scultoreo; appunto, l’opera delle mani dell’uomo; una festa patronale è rappresentazione di un rito collettivo con i suoi giochi di potere e di interesse.

In latino «simulacrum» significa infatti fantasma, ombra; così nella lingua italiana più antica. Simulacro può significare immagine, rappresentazione, apparenza, inganno.

Conosco un tale che alcuni anni fa, a Venezia, ha partecipato ad una mostra d’arte cinematografica, buttandosi da mattina a sera nelle sale dove in anteprima si proiettavano film d’autore. Quel tipo rimaneva al Lido fino a tarda notte; e andava via prima dell’aurora. Nei ritagli di tempo consumava un pasto frugale con gli amici; in quei giorni le immagini sembravano saziarlo di più.

Si potrebbe applicare qui il passo della Bibbia che dice di un uomo che al risveglio si sazierà dell’immagine di Dio? Nel salmo 16 (17), 15 si racconta di un uomo perseguitato che attende fiducioso la liberazione di Dio ed infine esclama: «per la tua giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine». Per l’esegeta Gunkel qui c’è un accenno alla speranza che il Signore Dio appaia; ma è pure possibile che il pio israelita alluda allo svegliarsi in senso metaforico, quando cioè sarà liberato dalle sue disgrazie.

Nella traduzione latina si aveva «satiabor cum apparuerit gloria tua». Qui si aveva una traduzione più teologica, non letterale. La realtà che può soddisfare le aspirazioni dell’uomo è la gloria di Dio.

Il passo in questione veniva prima tradotto «mi sazierò della tua presenza». Il vocabolo ebraico (temunah) è usato in Num. 12, 8 e Deut. 4, 12.15 allorché si parla delle «sembianze di Dio»; oppure in Gb 4, 16 di una visione notturna. In Num 12 si riferisce di Mosé che egli solo è in grado di guardare Dio; cioè egli può stare alla presenza del Signore e contemplare la sua gloria.

Qual è la realtà più vera: l’immagine o la presenza? Rispondiamo con le parole di un inno della Liturgia delle ore: «trasformati a tua immagine/ noi vedremo il tuo volto;/ e sarà gioia piena/ nei secoli dei secoli».

Insomma, un uomo giusto attende ad un risveglio di giustizia; non pensa solo all’alba, quando si fa giorno, ma ai suoi stessi occhi che si riaprono nella vita eterna, quando Dio stesso si farà vedere «in tutta la sua forma di gloria».

Dio, giusto e misericordioso, accoglie in sé la causa del giusto che sin da questa vita persevera sulla via del bene. L’opera di giustizia che in questa terra si compie, non è persa agli occhi di quel Dio che conosce ogni barlume della sua giustizia riflettersi sulla terra, ogni traccia luminosa della rettitudine, ogni immagine della giustizia sociale quale rappresentazione di quella divina.

Don Salvatore Falzone