Riflessioni
La Parola
In questo tempo in cui troppe parole arrivavano alle nostre
orecchie e molte immagini ai nostri occhi vorrei proporre a voi che
leggete come me “La Voce di Campofranco” alcune riflessioni
sulla Parola di Dio, non ho la pretesa di essere molto esaustivo, ma mi
sforzerò di essere molto semplice e completo.
“Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte
e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in
questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito
erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo.
Questo Figlio, che è irradiazione della sua sostanza e sostiene
tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la
purificazione dei peccati si è assiso alla destra della
maestà nell’alto dei cieli, ed è diventato tanto
superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il
nome che ha ereditato” (Eb, 1-4)
Da questo brano della lettera agli Ebrei, si può comprendere che
tutto quello che è avvenuto nel Vecchio testamento come nel
Nuovo è da comprendere solo a partire da Gesù Cristo che
muore e risorge mostrando con chiarezza il vero volto del Padre.
Vorrei iniziare un percorso biblico su questo tema, che ci
guiderà ad approfondire il dialogo di alleanza tra Dio e
l’uomo che anima la storia della salvezza, fino al culmine, alla
parola definitiva che è Gesù Cristo. Questo cammino ci
porterà a soffermarci su alcuni importanti testi e figure
paradigmatiche dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sarà
Abramo, il grande Patriarca, padre di tutti i credenti (cfr Rm
4,11-12.16-17), ad offrirci un primo esempio di preghiera,
nell’episodio dell’intercessione per le città di
Sodoma e Gomorra. Mosè il condottiero che intercede sempre
per il popolo eletto. Davide, Samuele, Ezechia, Elia, Ezechiele e
Geremia, sono altre figure di intercessori. Nel Nuovo testamento
emergono due figure importantissime che sono Maria e Gesù.
Scorrendo le pagine dell’Antico testamento s’intravvedono
diverse figure di intercessori. Ma i due esempi classici di preghiera
di intercessione hanno come protagonìsti Abramo e
Mosè.
La scena descritta nel capitolo 18 della genesi rimane impressa nella
memoria. Dio vuole distruggere gli abitanti di Sodoma e Gomorra, per i
loro numerosi peccati, ma Abramo cerca in ogni modo di intercedere,
chiedendo al Signore di perdonarli, se avesse trovato almeno 50 giusti,
o solo 45, o 40, o 30, o 20, o infine solo 10!
In questa “trattativa” di Abramo il Signore acconsente ad
ogni sua richiesta, sempre più grande e lo fa in virtù
della sua fede, insistenza, coraggio, fiducia. Abramo non si rivolge a
Dio da pari a pari, ma con grande umiltà: riconoscendosi
“polvere e cenere” (“Vedi come ardisco parlare al mio
Signore, io che sono polvere e cenere… “).
Il suo linguaggio è caratterizzato dalla modestia, ma anche
dall’instancabilità, poiché comprende che la
generosità di Dio prevale sulla volontà di punire. La
giustizia di Dio disposta a dare spazio al perdono, viene assicurata
dalla grande fede di Abramo, dai suoi meriti o dalle sue virtù.
Abramo imposta subito il problema in tutta la sua gravità, e
dice al Signore: «Davvero sterminerai il giusto con
l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città:
davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo
ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il
giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come
l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non
praticherà la giustizia?» (vv. 23-25).
Con queste parole, con grande coraggio, Abramo mette davanti a Dio la
necessità di evitare una giustizia sommaria: se la città
è colpevole, è giusto condannare il suo reato e
infliggere la pena, ma – afferma il grande Patriarca –
sarebbe ingiusto punire in modo indiscriminato tutti gli abitanti. Se
nella città ci sono degli innocenti, questi non possono essere
trattati come i colpevoli. Dio, che è un giudice giusto, non
può agire così, dice Abramo giustamente a Dio.
Se leggiamo, però, più attentamente il testo, ci rendiamo
conto che la richiesta di Abramo è ancora più seria e
più profonda, perché non si limita a domandare la
salvezza per gli innocenti. Abramo chiede il perdono per tutta la
città e lo fa appellandosi alla giustizia di Dio; dice, infatti,
al Signore: «E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai
cinquanta giusti che vi si trovano?» (v. 24b). Così
facendo, mette in gioco una nuova idea di giustizia: non quella che si
limita a punire i colpevoli, come fanno gli uomini, ma una giustizia
diversa, divina, che cerca il bene e lo crea attraverso il perdono che
trasforma il peccatore, lo converte e lo salva. Con la sua preghiera,
dunque, Abramo non invoca una giustizia meramente retributiva, ma un
intervento di salvezza che, tenendo conto degli innocenti, liberi dalla
colpa anche gli empi, perdonandoli.
È il perdono che interrompe la spirale del peccato, e Abramo,
nel suo dialogo con Dio, si appella esattamente a questo. E quando il
Signore accetta di perdonare la città se vi troverà i
cinquanta giusti, la sua preghiera di intercessione comincia a scendere
verso gli abissi della misericordia divina.
Più piccolo diventa il numero, più grande si svela e si
manifesta la misericordia di Dio, che ascolta con pazienza la
preghiera, l’accoglie e ripete ad ogni supplica:
«perdonerò, … non distruggerò, … non
farò» (cfr vv. 26.28.29.30.31.32).
“Il Signore non vuole la morte del peccatore, ma che si converta
e viva (cfr Ez 18,23; 33,11)”; il suo desiderio è sempre
quello di perdonare, salvare, dare vita, trasformare il male in bene.
Ebbene, è proprio questo desiderio divino che, nella preghiera,
diventa desiderio dell’uomo e si esprime attraverso le parole
dell’intercessione. Con la sua supplica, Abramo sta prestando la
propria voce, ma anche il proprio cuore, alla volontà divina: il
desiderio di Dio è misericordia, amore e volontà di
salvezza, e questo desiderio di Dio ha trovato in Abramo e nella sua
preghiera la possibilità di manifestarsi in modo concreto
all’interno della storia degli uomini, per essere presente dove
c’è bisogno di grazia. Con la voce della sua preghiera,
Abramo sta dando voce al desiderio di Dio, che non è quello di
distruggere, ma di salvare Sodoma, di dare vita al peccatore convertito.
Il Signore era disposto a perdonare, desiderava farlo, ma le
città erano chiuse in un male totalizzante e paralizzante, senza
neppure pochi innocenti da cui partire per trasformare il male in bene.
Perché è proprio questo il cammino della salvezza che
anche Abramo chiedeva: essere salvati non vuol dire semplicemente
sfuggire alla punizione, ma essere liberati dal male che ci abita. Non
è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel
rifiuto di Dio e dell’amore che porta già in sé il
castigo.
Il Signore è disposto a perdonare, desidera farlo, il
mondo di oggi è attraversato da un male totalizzante e
paralizzante, oggi Dio è disposto per non pochi innocenti da cui
partire per trasformare il male in bene e il castigo che tantissime
volte noi meritiamo in un’occasione di salvezza.
Continueremo ancora con altre figure di intercessori del Vecchio
Testamento come del Nuovo a riflettere assieme nel prossimo numero ci
soffermeremo sulla figura di Mosè, in attesa auguro a tutti i
lettori della “Voce di Campofranco” un mondo di bene e la
pace del Signore nostro Gesù Cristo.
Diac. Vincenzo Esposito