Personaggi di storia locale

Antonino Carruba, rettore ed avvocato

Il più grande e disinteressato benefattore dei suteresi

Il rettore ANTONINO CARRUBA è nato  a  Caltanissetta il 15 febbraio del 1896, figlio di Giuseppe e Francesca Tuzzè. Suo padre si era spostato da Sutera, suo luogo abituale di residenza, per seguire  il fratello prete don Gerlando Carruba nel capoluogo provinciale, e coadiuvarlo  come sagrista nell’esercizio della sua missione sacerdotale. Dopo avere frequentato le scuole primarie in città, Nino, come lo chiamano in famiglia, si trasferisce a Palermo dove consegue la laurea in giurisprudenza. Entra a far parte quasi immediatamente dell’organico del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II in qualità di Istitutore  e ne percorre in breve tempo tutte le tappe. Viene trasferito a Cividale del Friuli come vicerettore e successivamente a Bolzano. In quella città conosce Iole Fleim sorella di un convittore discolo, che era stato sottoposto ad un provvedimento disciplinare per la falsificazione della firma su una giustificazione scolastica. Con lei intensifica la sua frequenza fino a giungere al matrimonio che viene celebrato a Bolzano,  in piena guerra,  nel 1942. Era stato già trasferito presso il Convitto Nazionale di Lovere in provincia di Bergamo con la qualifica di rettore. Come racconta la figlia Anna Maria “Si trovò a guidare un convitto al quale erano stati affidati per la maggior parte orfani di guerra e ragazzi con  penose situazioni familiari: i problemi furono molteplici, l’impegno maggiore di papà fu quello di  dare conforto e cibo ai ragazzi. In questo l’aiuto della mamma fu determinante, grazie alla sua attitudine naturale ad aiutare chi avesse avuto  bisogno. Dopo il ‘43 si assistette al tentativo di occupazione del Convitto da parte dei tedeschi, per farne alloggio per le truppe, mettendo fuori i ragazzi.  La mediazione della mamma, di madre lingua tedesca, fece  si che si arrivasse  ad un compromesso: le truppe requisirono soltanto metà dell’edificio statale, con immaginabili problemi di convivenza tra truppe invasori e orfani di guerra” E’ in quella circostanza che il rettore Carruba matura il proposito di aiutare i bisognosi del suo paese ad acquisire la preparazione culturale ed il titolo di studio necessari a migliorare la propria condizione sociale. Sono gli anni difficili della guerra civile quando, dopo l’8 settembre del 1943, all’Italia liberata dagli alleati si contrappose la Repubblica Sociale Italiana sorretta dalle truppe nazifasciste. E’ il momento più drammatico  sia della sua vita pubblica che della sua vita privata, trovandosi a dover coprire lo sbandamento dei suoi due  fratelli  militari Gerlando e Michele e a superare il dramma di una infruttuosa gravidanza della moglie. Azzarda persino ad assumere  come istitutore presso il Convitto Nazionale suo fratello Michele per sottrarlo  all’obbligo di arruolamento con i repubblichini.

Nel 1945 nasce il suo primo figlio che chiama Giuseppe ( Peppino ) come suo padre. Il rettore Carruba è un tradizionalista legato agli usi e ai costumi del suo paese. E’ molto attaccato alla sua famiglia: alla madre al padre, ai suoi fratelli e alle sue sorelle. Ancora Anna Maria racconta che “la fine della guerra lo portò al Convitto Nazionale “Torquato Tasso” di Salerno  dove ebbe l’impegno  di ricostruire un edificio  distrutto dai bombardamenti.  Portò avanti il suo lavoro con grande dedizione e passione: instaurò con i suoi collaboratori (vicerettore, economo, funzionari, suore addette al guardaroba) e con i ragazzi, rapporti quasi familiari per concorrere insieme all’attuazione del difficile compito. Il corredo di casa venne impiegato nelle camerate. Nacquero Michele, Maria Rita e Anna Maria.. In quel periodo ospitò nell’istituto i primi studenti  suteresi: Totò Alongi, Nonò Salamone, Ostelio Carruba, Vittorio Carruba spesso a cena a casa nostra, trattati da papà con particolare affetto e familiarità.

Nel 1956 venne trasferito a Roma, ultima tappa della sua carriera, dove guidò il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II fino al 1966. Superata l’emergenza bellica si dedicò, in quella sede, ad incrementare anche la  cultura e lo sport extrascolastico per arricchire la formazione dei giovani. La gestione del convitto perse il carattere di familiarità e diventò  di tipo più istituzionale. Anche Peppino divenne  convittore. Papà, apportò alcune importanti innovazioni anche organizzative: per i convittori, ormai sempre meno numerosi, progettò alloggi singoli, al posto delle camerate; aprì la scuola statale agli esterni, e ad i semiconvittori; favorì la formazione di gruppi sportivi di eccellenza quali l’hokey sul prato (12 elementi parteciperanno alle Olimpiadi del 1960), l’equitazione (fratelli D’Inzeo) e la scherma; istituì le classi miste (soltanto dopo aver iscritto me e mia sorella ad una scuola di suore!).

In quegli  anni collaborò anche  col Ministero della Pubblica Istruzione come ispettore per progetti educativi innovativi; divenne  direttore del Centro di Formazione e Aggiornamento per impiegati statali, a Monteporzio Catone. Papà è morto il 18 luglio del 1980,  la mamma 1l 16 gennaio del 1997. Entrambi sono seppelliti a Sutera nella tomba di famiglia.

 

 Durante la sua attività  professionale, al rettore Antonino Carruba furono attribuite le onorificenze al merito della Repubblica Italiana di Cavaliere, Commendatore, Grande ufficiale. Ebbe inoltre i maggiori riconoscimenti dello Stato del Vaticano.  Fu Medaglia d’oro della Repubblica Italiana per i benemeriti della cultura e dell’arte.

Il  suo paese d’origine,  cui tanto bene fece con dedizione disinteressata, dopo avergli intitolata la  piazza posta tra i due  edifici scolastici del quartiere Badiavechhia, lo ha insignito della benemerenza civica di  “ Cittadino Benemerito alla memoria”.

Una memoria che non perirà mai: come hanno promesso i genitori dei  convittori  che per merito suo hanno frequentato gratuitamente i convitti nazionali di Palermo, Catania, Salerno, Arezzo, nelle lettere di ringraziamento speditegli a più riprese. Una memoria che durerà in eterno perché la sua intelligenza, la sua disponibilità e la sua bontà d’animo hanno  consentito al suo paese ed ad altri paesi della Valle del Platani come Bompensiere, Milena e Campofranco un miglioramento culturale e sociale impareggiabile.

Il convittore Gero Difrancesco