Seme di senape

Regno dei cieli e popoli della terra

C’è una fase della storia d’Israele in cui la regalità di Dio è più avvertita che mai; e questo, nel momento in cui si crea una forma di Stato per il popolo eletto, guidato ora da un re terreno. Ma già nel Pentateuco ci sono elementi che attestano la regalità di Dio; tuttavia, fra gli studiosi, la questione rimane aperta.
In ogni modo, Dio non è re solo per Israele; stando alla fede ebraica, è re per tutti i popoli. Un esegeta del calibro di R. Schnackenburg ha spiegato che il regno di Dio o regno dei cieli consiste di tre dimensioni: a) la regalità cosmica di Dio creatore, b) la regalità cultuale, emergente in certi salmi, c) la regalità escatologica.
Di regno di Dio si parlava anche dopo il III sec. a. C., allorché Israele era sul piano politico ed economico poco significativo; tuttavia l’aspirazione religiosa del giudaismo è che tutti i popoli, riconoscendo la superiorità d’Israele, quale popolo eletto, potranno beneficiare della salvezza.
L’annuncio del regno di Dio è stato il tema fondamentale della predicazione di Gesù; l’annuncio è accaduto in un puntuale momento storico e, attraverso il mistero di Gesù Cristo, con i suoi effetti raggiunge ancor oggi tutti gli uomini; in Mt 12,28 e Lc 11,20 si usa un verbo all’aoristo per esprimere un fatto così ben puntuale, mentre in Mc 1,15 troviamo un verbo al perfetto per esprimere gli effetti durevoli del regno «che si è avvicinato».
Giudeo-cristiani ed etnico-cristiani, ex-pagani convertiti e israeliti, rinnovati dal messaggio di Gesù, sono convogliati verso una terza stirpe; altrove si dice un «nuovo Israele»; non perché esista un «vecchio Israele» che si possa dismettere, ma in quanto nuova è la forma di radunarsi in assemblea; tutti, di qualunque stirpe siano, avendo purificato la loro vita e aderendo col cuore alla predicazione di Gesù, possono entrare nella casa celeste a godere i beni della salvezza. San Paolo vede nella comunità escatologica, prefigurata nella Pentecoste, l’«Israele di Dio» (cf. Gal 6,16).
Nella teologia cristiana, da alcuni decenni a questa parte, è acquisito ormai che regno di Dio e Chiesa non si identificano. Non sono la stessa cosa, ma l’uno richiama l’altro.
La faccia della terra è come la base di un arcobaleno multicolore che si protende verso il cielo. Così continua Schnackenburg nel suo discorso: la Chiesa è «il luogo normale deputato alla raccolta e alla formazione di coloro che intendono far parte del Regno di Dio». Potremmo dire ancora: la Chiesa è il locus theologicus del regno di Dio.
Un altro esegeta – un tedesco che durante gli anni di ascesa del nazismo aderì alla Chiesa confessante, e solo nel secondo dopoguerra da protestante divenne cattolico – studiando gli Atti degli apostoli, ha scritto che «la Chiesa è la presenza (das Anwesen) in terra del Regno di Dio resosi vicino (in Cristo)».
Il termine tedesco «anwesen» significa «podere»; esso è il luogo coltivato dagli uomini e talora nei pressi vi si trova un’abitazione; ebbene, come i braccianti escono di casa per lavorare il podere, così gli assistenti del regno sono coloro che custodiscono il giardino della salvezza.

Salvatore Falzone sac.