Seme di senape

 

Per una preghiera trinitaria

Le domeniche dopo Pentecoste illustrano alcuni misteri centrali della pietà cristiana; c’è da dire che la domenica della SS. Trinità non illustra un aspetto della pietà cristiana, ma anzi contempla il fondamento della stessa fede.

Ignazio di Loyola amava il mistero della SS. Trinità; nel suo Diario sono numerosi i passi che si riferiscono a Dio; per il buon hidalgo spagnolo, convertito ai combattimenti ascetici, vivere nella SS. Trinità significava ascendere con Gesù Signore verso Dio Padre; vivere di una preghiera trinitaria significa compiere le scelte più opportune mediante un discernimento compiuto nello Spirito Santo.

Circa la preghiere rivolte a Dio così si legge nella Autobiografia di Ignazio: «Nelle orazioni al Padre mi pareva che Gesù le presentasse o che le accompagnasse mentre io le recitavo, con un sentire o un vedere che le parole non possono esprimere».

Egli in qualche modo conferma l’antica regola liturgica secondo cui la preghiera si dirige sempre verso il Padre: «omnis oratio dirigitur ad Patrem».

In effetti negli esercizi spirituali Ignazio propone di accedere al Padre con Cristo e mediante Cristo: «insieme a Cristo» è finanche preferito a «per mezzo di Cristo».

In parole da catechismo per i fanciulli, ci potremmo chiedere se Gesù Cristo pregasse Dio Padre; per rispondere di sì basti pensare alcuni episodi del vangelo in cui Gesù si rivolge a Dio Padre esprimendo lode, benedizione, supplica etc. L’episodio più interessante sembra quello dell’orazione di Gesù nell’orto degli ulivi, prima che cominci la passione. Eppure alcuni autori si sono chiesti che senso avesse pregare per Gesù se egli, vero Dio e vero uomo, era ed è onnipotente come Dio Padre.

San Tommaso d’Aquino supera l’obiezione secondo cui Gesù non potesse pregare (nel senso che non aveva motivo di pregare, essendo pure lui onnipotente), affermando che Gesù pregava per modo che la volontà divina sostenesse la volontà umana; e del resto, senza la potenza divina neppure la volontà umana sarebbe in grado di realizzare ciò che desidera.

Risolutivo è stato il Concilio Lateranense IV, celebrato nel novembre 1215; è un concilio in cui vescovi e teologi si occupano di precisare il dogma trinitario. C’è un brano molto eloquente che riguarda la preghiera trinitaria; conviene riportarlo per intero.

«Quando la Verità [Gesù Signore, Figlio di Dio] prega il Padre per i suoi fedeli, dicendo: “Voglio, Padre, che essi siano una cosa sola in noi, come noi siamo una cosa sola” [Gv 17,22], il termine ‘una cosa sola’ riferito ai fedeli si deve intendere nel senso di unione di carità nella grazia, riferito alle persone divine indica l’unità di identità nella natura, come dice la Verità in un altro passo: “Siate voi dunque perfetti com’è perfetto il Padre vostro celeste” [Mt 5,48], come se dicesse, più chiaramente: “Siate perfetti” della perfezione della grazia, “come il Padre vostro celeste è perfetto” della perfezione della natura, cioè ciascuno a suo modo, perché tra il creatore e la creatura, per quanto grande sia la somiglianza, maggiore è la differenza (non potest tanta similitudo notari, quin inter eos maior sit dissimilitudo notanda)».

Il brano si trova nel cap. 2 del documento che condanna gli errori dell’abate Gioacchino da Fiore; e include una espressione finale divenuta celebre, spesso citata in latino come un assioma della teologia. Qui importa solo affermare che la preghiera di Cristo è sì rivolta a Dio Padre con il quale Gesù Figlio di Dio non è comunque “da meno”; farsi “da meno” è proprio del Verbo che s’è incarnato nella persona di Gesù Cristo. E tutta la vita di Gesù è sotto l’azione dello Spirito santo; anzi diventa un solo «gemito inenarrabile». Ma su questo già una volta è apparso un «seme di senape».

Salvatore Falzone sac.