Percorsi letterari di Sicilia - 1a parte
La Sicilia, dove l'origine dei primi abitatori è
leggendaria, offre agli occhi del visitatore il linguaggio del sogno.
"L'isola è pausa in cui rinasce la fantasia dell'ignoto",
così scriveva Vincenzo Consolo guidandoci sulle ali del mito che
nasce in epoche primordiali e si afferma nella grandiosa luce della
poesia di Omero che usa l'isola "verdeggiante e sconosciuta, di rara
bellezza, dove pascolano migliaia di mucche e di capre, tutte care al
dio Sole" come teatro delle avventure di Ulisse nell' Odissea. La
persistente sagoma dell' Etna, dove era collocato il regno di Efesto
aiutato dai ciclopi, i faraglioni di Acitrezza, che corrispondono agli
scogli lanciati da Polifemo, la magia delle isole Eolie, dove abitava
il dio dei venti, Scilla e Cariddi, i due mostri marini che la poesia
colloca così vicini, aiutano a capire come la Sicilia sia stata
terra di ambientazione epica.
Giovanni Pascoli, volendo reincarnare gli antichi aedi, rivive le
impressioni che l'isola suscita in lui durante gli anni trascorsi a
Messina : "Di fronte m'eri o Sicilia/ o nuvola di rosa sorta dal mare
!/ e nell'azzurro un monte: l' Etna nevosa/ salve o Sicilia!/ Ogni aura
che qui muove / pulsa una cetra od empie una zampogna/ e canta e
passa.... /Io ero giunto/ dove giunge chi sogna" ( ODI E INNI).
Crocevia di popoli che ne hanno plasmato l'anima, l'isola offre
splendide testimonianze di una grandezza artistica e culturale, dove
fin dai tempi più remoti la sicilianità fu un filtro che
interpretò i modelli venuti da fuori secondo il proprio genio.
L'isola che si presenta con enormi differenze per mutevolezza
geografica e ambientale, per pluralità di sedimentazioni
storiche, alla fine, mantiene solidissima una identità
inconfondibile che si cela dietro le sue profonde diversità.
Nel romanzo IL GATTOPARDO Giuseppe Tomasi, nel raccontare la vita del
principe Salina coinvolto negli avvenimenti che portarono alla caduta
del regno borbonico e alla sua annessione a quello piemontese, ci
fornisce la rappresentazione dell'ascesa di una nuova classe dirigente
avida e senza scrupoli, che prende il posto dell'aristocrazia, e
dell'ambiente storico sociale della Sicilia in quegli anni. Agli occhi
del principe la realtà sociale della Sicilia è rimasta
immutata nel corso dei millenni o almeno il mutamento è stato
così lento da risultare impercettibile. " In questa terra dove
da ogni zolla emana la sensazione di un desiderio infinito di bellezza,
sono venticinque secoli che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche
civiltà eterogenee, e tutte venute da fuori, nessuna germogliata
da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il la".
Lo sfogo del principe con Chevalley è
uno dei passi più importanti del romanzo per il giudizio che
viene dato sulle cause dell'arretratezza della Sicilia. Queste sono
attribuite a ragioni climatiche e storiche imputabili al carattere dei
siciliani : "Essi non miglioreranno mai per la semplice ragione che
credono di essere perfetti ". L'ambiente, il clima e il paesaggio" sono
le forze che insieme e forse più che le dominazioni straniere
hanno formato l'animo : questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra
la mollezza lasciva e l'arsura dannata". Tomasi dà risalto al
paesaggio le cui caratteristiche fisiche si presentano secondo il
particolare stato d'animo dei personaggi e molte espressioni
contribuiscono ad accentuare l'impressione di aridità e di
insopportabile inclemenza del clima, con quel sole offuscante che
insieme nasconde il paesaggio e lo rivela come una fotografia
cancellata da troppa luce. " Quando i cacciatori giunsero in cima al
monte apparve l'aspetto vero della Sicilia, quello nei cui riguardi
città barocche ed aranceti non sono che fronzoli trascurabili.
L'aspetto di una aridità ondulante all'infinito in groppe sopra
groppe sconfortate ed irrazionali delle quali la mente non poteva
afferrare le linee principali".
Mentre IL GATTOPARDO ha per oggetto la decadenza della nobiltà
feudale e l'ascesa della borghesia nella Sicilia della seconda
metà dell'Ottocento, Giovanni Verga si fa interprete di quella
verità primitiva rappresentata da quel ristretto territorio tra
la costa ionica e l'entroterra della provincia di Catania : vecchie
case di umili villaggi e il mare avaro e crudele dei pescatori, un
mondo che nel romanzo di Tomasi quasi non compare. E' la realtà
amara e senza speranza degli umili con la loro dura lotta per la vita,
dediti alla religione, agli affetti puri e semplici, all'amore per la
propria terra. Sono i personaggi che come "formiche" conducono una vita
faticosa e simili ad "ostriche" devono cercare di restare ancorati alla
famiglia, al paese, perché se si staccano dal " loro scoglio"
corrono seri rischi di essere ingoiati dal mondo.
Nella loro semplicità essi sono custodi delle virtù
domestiche e sono modelli di vita per la serietà con la quale
restano fedeli alle norme ricevute dalla tradizione. La cornice in cui
si svolgono le vicende del "ciclo dei vinti" è quella di una
Sicilia ricca di contrasti in cui il verde e i toni pastello degli
agrumeti fanno da contraltare alle campagne aspre e desolate e al nero
delle rocce laviche che si riflettono sul mare. La natura in Verga
è ostile e tirannica poiché distribuisce ciecamente vita
e morte : "Il lago vi dà e il lago vi piglia". La terra è
avara e capricciosa, compagna della natura che troppo spesso scatena la
forza dei suoi elementi contro una umanità inerte.
Il paesaggio che è animato da quella stessa triste religione che
muove i sentimenti varia con l'alternarsi delle stagioni, oppresso
dalla stessa pena e fatalità della gente e giace immerso in un
senso di desolazione. E' un universo immobile, affogato nella calura e
nei vapori opprimenti dell'estate come è immobile e infelice la
vita degli abitanti, specialmente nella zona della malaria, una delle
piaghe che caratterizzarono nell'800 la piana di Catania: "Il sole di
brace e la luna smorta, l'estate arsa, un paesaggio disanimato come gli
uomini che lo popolano, le case scalcinate dal sole, gli uomini
tremanti di febbre sotto il pastrano, le strade mangiate dal sole, i
cavalli con l'occhio spento, gli eucalipti magri e grigi sono presenti
in quel mortorio".
La Sicilia è ISOLA PLURALE dalle molte anime dove è
sensibile l'influsso di culture molteplici. E, tuttavia, per la sua
natura geografica è anche sede di "isolitudine" come la definiva
Gesualdo Bufalino, cioè, di una peculiare forma di isolamento e
di una autoctona rielaborazione culturale, propria delle isole. Le
Sicilie autentiche e ammaliatrici evocate da Bufalino dove il paesaggio
è di vigore e dolcezza come la natura l'ha partorito e l'arte
l'ha fatto e disfatto ", sono tante : vi è la Sicilia verde di
viti, ulivi, aranceti, carrubi, quella della luce che esalta lo
spettacolare paesaggio ibleo con le sue quiete valli tra l'ergersi
desertico di basalti e di tufi, di scenografici ruscelli di scale, di
piazze dal profilo avventuroso, quella bianca delle saline, dove i
mulini a vento sembrano attendere i loro Don Chisciotte, quella
abbagliata di mare delle coste, quella del biondo delle pietre pronte a
consolare il visitatore che ha ancora negli occhi il grigio della
sciara, quella del miele degli alveari iblei cari a Virgilio, che
ancora oggi insapora l'aria del suo stillare. C'è la Sicilia
gialla dello zolfo dove per un paio di secoli si consumò una
tragedia di sfruttamento umano con i carusi come Ciaula dell'omonima
novella di tragedia di sfruttamento umano di Pirandello. Fatica, lotte,
amarezze rivivono percorrendo i cunicoli e le gallerie ormai deserti
delle zolfare, testimoni silenti di vita e di morte. C'è la
Sicilia purpurea della lava definita da Edmondo De Amicis " un paradiso
terrestre interrotto qua e là da zone d'inferno".
Sotto il vulcano che annienta e toglie ogni speranza e che influisce
sul carattere degli abitanti nasce e trova plausibile dimora il
fatalismo verghiano. Spinto dall'amarezza della vita presente,
perché in Lombardia ogni giorno affonda nel rimpianto, Salvatore
Quasimodo torna a respirare i profumi della sua terra e dei "gelsomini
d'Arabia ". La sua è la tristezza immediata del siciliano
sradicato, che si traduce in un canto di nostalgia. La Sicilia per
Quasimodo significa infanzia, adolescenza, paesaggio del mito
mediterraneo, sogno di un passato perfetto e introvabile: il paesaggio
avvolto dal vento, le colonne dei templi greci, la fierezza isolana, i
miseri villaggi, le strade polverose tra gli uliveti, l'aspra musica
delle onde del mare e dei corni dei pastori sono le evidenze di una
terra particolare e le figurazioni della memoria mitica. L'anima del
poeta sente il peso di tutte le vicende storiche di cui è stata
teatro la Sicilia, che hanno lasciato tracce di dolore nella sua
gente:" Oh, il Sud è stanco di trascinare morti/ in riva alle
paludi di malaria / è stanco di solitudine, stanco di catene /
è stanco nella sua bocca /delle bestemmie di tutte le razze/ ".
In Quasimodo c'è la coesistenza di una Sicilia, "terra
impareggiabile ", spaziata nelle sue dimensioni di bellezza solare,
animata da paesaggi mitici e di un'altra Sicilia amara, " calda di
lacrime e di lutti ", chiusa nella sua sofferta ricerca di
comprensione, nel suo bisogno di essere amata. L'amore per la sua terra
nobile diventa sdegno e furore, mesta elegia per le sue condizioni : "E
qui ripeto a te / il mio contrappunto / di dolcezze e di furori / un
lamento d'amore senza amore ". In un libro di notazioni critiche (IL
POETA E IL POLITICO ) Quasimodo scriveva : "Quale poeta non ha posto la
sua siepe come limite dove il suo sguardo arriva più
distintamente ? La mia siepe è la Sicilia; una siepe che chiude
antichissime civiltà e necropoli e latomie e telamoni spezzati
sull'erba e cave di salgemma e zolfo e donne in pianto da secoli per i
figli uccisi e furori contenuti o scatenati ...... Là c'è
Anapo e Imera e il Platani e il Ciane con i papiri e gli eucaliptus,
là c'è Pantalica con le sue tane tombali scavate 45
secoli prima di Cristo, fitte come celle d'alveari, là
c'è Gela e Megara Iblea e Lentini: un amore che non può
dire alla memoria di fuggire da quei luoghi".
Lucio Bartolotta