L'omaggio di una scrittrice a Sutera ed al Presepe

 

Donne segnate Vite Negate è il romanzo di Rosa Bonomo uscito per conto delle edizioni Arianna nell'ultimo scorcio del 2013. La scrittrice, che è nata a Mussomeli e vive a Caltanissetta, ha avuto modo di conoscere bene sia il paese natale che i paesi della provincia a lei più vicini, come Delia e Sutera, di cui conosce bene storie ed usanze che descrive fedelmente attribuendole ad Ileana, giornalista come l'autrice, incaricata di scrivere alcune storie di donne che hanno subito vicende traumatiche senza loro colpa, ma che le avevano portate ugualmente ad autopunirsi.

Rosa Bonomo non è alla sua prima fatica letteraria. Ha pubblicato nel 1980 “Fili d’erba”, seguita qualche anno dopo da "Storia di un gemellaggio”, "L’altra metà del cielo” (in collaborazione con altri scrittori), “Un fior di loto nel Bahar belà mà”, “Vie e vite” e, recentemente, "Odonomastica sancataldese”.

Ileana, la giornalista a cui la scrittrice presta i suoi ricordi e le sue conoscenze, si reca a Sutera alla ricerca di notizie di una ragazza, Nuccia. Ripercorre le vie del presepe, visita la chiesa madre, di cui ammira il vestito dell'Assunta, offerto da Maria Cristina di Savoia, regina delle due Sicilie, che di recente, il 25 gennaio 2014, nel corso di un solenne pontificale nella chiesa di Santa Chiara di Napoli (la chiesa dei Borboni dove è seppellita), è stata dichiarata beata.

Un romanzo che i suteresi potrebbero leggere volentieri ed apprezzare.

Mario Tona

"Per giorni e giorni (Ileana) pensò a quello straordinario racconto e siccome si avvicinava la festa di Natale e a Sutera realizzavano, ormai da anni, il presepe vivente, decise di recarvisi.

Riteneva di essere in forma abbastanza da potere affrontare un viaggio in una serie di strade con scarsa manutenzione e soprattutto piene di curve e tornanti, ma voleva ugualmente recarvisi per rendersi conto di persona degli eventi: è dovere di una brava giornalista accertarsi di persona degli eventi di cui deve parlare e verificarli, pensò. Avrebbe interrogato le persone più anziane, poi si sarebbe recata nella chiesa della Madrice per vedere se esisteva veramente il vestito che la regina Maria Cristina di Savoia aveva regalato al simulacro della Vergine Assunta. Se così fosse stato, poteva essere anche vero che Nuccia l’aveva restaurato. La regina Maria Cristina Savoia-Borbone era morta nel 1836, da allora al periodo in cui si erano verificati gli eventi raccontati da Paolina era passato oltre un secolo, quindi plausibile la notizia di un restauro dell’abito dell’Assunta e così pure della ricamatrice che l’aveva eseguito.

Il mese di Dicembre volgeva al termine e Ileana il giorno prima della festa di Natale, in un assolato pomeriggio, che rendeva piacevole la temperatura d’inizio inverno, in compagnia di amici di Club, partì alla volta di Sutera, il paese cresciuto alle falde del Monte San Paolino. Fu accolta dal suono delle cornamuse, mentre un video proiettava su un maxi schermo un saluto di benvenuto nel paese bandiera arancione che si era trasformato in un presepe vivente dove in varie postazioni venivano riproposti gli antichi mestieri della civiltà contadina.

Iniziando il percorso consigliato, Ileana si trovò a rivivere la vita dei primi anni del ‘900 tra paninara, viddani, pastura, conzapiatti, falegnami, canalari, osterie, carrittera, tessitrici e filatrici, i praticanti ogni mestiere erano in attività: il canalaru lavorava l'argilla, paglia di fave e sale e faceva le tegole; il carrettiere riparava carretti, mezzo indispensabile per il trasporto, l’oste preparava capperi, olive, frittate di finocchi e asparagi, la lana veniva filata con conocchia e fuso e la matassa formata veniva avvolta nel rabbatiddu e la timpa. Come immersa in un’atmosfera onirica, Ileana passava da una postazione a un'altra e accettava ciò che di commestibile le era offerto, piatti tipici della società contadina: pasta cu lu maccu, ciciri, pani cunzatu con olio di oliva e formaggio pecorino, gnocchi, tagliarina e linticchi, lasagne, pitirri con cavoli e finocchi il tutto innaffiato dal buon vino delle colline suteresi. Alla fine del percorso, dulcis in fundo, il suo raffinato palato fu addolcito da ottime sfingi conditi con miele e ricotta.

Quando già si era fatta notte, arrivò nella capanna dove una Madonna, un San Giuseppe e un delizioso bambinello in carne ed ossa l’accolsero, mentre fuori le fiaccole mosse da un leggero venticello illuminavano quel paese trasformato in una nuova Betlemme e le cornamuse elevavano alle stelle una lieta ninna nanna, un “Tu scendi dalle stelle” e altre nenie natalizie che toccano il cuore di piccoli e grandi e sciolgono anche gli animi più induriti di fronte al mistero della natività.

Era contenta Ileana, sembrava tornata bambina, le riaffioravano alla mente lontani Natali quando, nella notte della natività, si recava nella chiesa del suo paese nativo e insieme a sua sorella e ai fratelli partecipava alle funzioni che si celebravano intorno alla mezzanotte. Ricordava il grande freddo ed il vento gelido che rendeva il suo viso paonazzo, ma era tanto felice che, a piedi, dopo aver passato la serata a giocare a carte e consumato virciddati fatti in casa dalla sorella maggiore, portavano con loro ceci abbrustoliti e fave cotte e li mangiavano per strada e, a volte, anche in chiesa.

Ileana uscì dalla capanna della natività, guardò l’orologio che segnava le 23.00. Quella sera era troppo tardi per fare altro, sarebbe rimasta in paese e il giorno seguente avrebbe continuato la sua ricerca. Quante emozioni aveva provato quel pomeriggio! La mattina seguente si alzò presto, al sorgere del sole che poté ammirare dalla finestra della camera di un grazioso bed ed breakfast, dove oltre a dormire le venne servita un'abbondante colazione.

Si avvicinò alla finestra e rimase affascinata dallo spettacolo che si offrì ai suoi occhi. Ad oriente vide il castello chiaramontano, illuminato da un brillante sole nascente, in lontananza il pennacchio di fumo dell’Etna, mentre volgendo lo sguardo a sinistra, poté intravedere i riverberi delle acque del mare agrigentino, più vicino il monte Cammarata ed in basso gli agrumeti della valle del Platani.

Indossò un caldo impermeabile e si avviò alla ricerca del monastero femminile delle benedettine.

Si aggirò tra vie e viuzze, ma nessun edifico somigliava a quello che doveva essere stato il Monastero.

Non poteva non notarsi tra case e casupole. Dalle informazioni attinte era venuta a conoscenza che dal quartiere Palmintello, poi chiamato Badiavecchia, dove sorgeva all’inizio, ospitato in un complesso di fabbricati con annesso un orto e una chiesa propria, per le precarie condizioni di stabilità, era stato trasferito in centro, molto vicino alla parrocchia di sant’Agata. In quella ulteriore

sede, il monastero era isolato da tutti i lati ed era circondato da un giardino con un pozzo. Si elevava su due piani.Al piano terra aveva il parlatorio, la chiesa, la cucina, il forno, e la lavanderia. Adiacente alla cucina cresceva un piccolo orto.Le celle delle suore erano collocate al primo piano ed avevano accanto la sala per il lavoro comune.

Un edificio così imponente non poteva non distaccarsi dal resto delle costruzioni!

Ileana un po’ delusa continuò la sua ricerca pensando che avrebbe trovato almeno i resti di quella che una volta era stata l’abbazia, ma dopo diverse ore durante le quali aveva cercato, osservando attentamente ogni angolo della zona vicino alla chiesa di sant’Agata, si convinse che non avrebbe trovato niente.

Forse, pensò, quando per la vetustà della costruzione, le monache non furono in condizione di fare eseguire necessari lavori di restauro, fu abbandonato, e quando chi doveva costruire ne prelevò le pietre e le utilizzò, scomparve così sia l’edificio sia, via via, anche il ricordo della sua esistenza: tante persone a cui aveva chiesto informazioni, soprattutto se giovani, ne ignoravano l’esistenza.

Era già pomeriggio inoltrato proprio il 24 dicembre, fra poche ore sarebbe stata la notte di Natale, non poteva rimanere fuori casa, doveva rientrare in città. Ma era l’ora in cui veniva celebrata la messa vespertina, pensò di recarsi nella Chiesa Madre e lì si sarebbe accertata se esisteva il famoso abito indossato dalla vergine Assunta, dono della regina Maria Cristina, che agli inizi del secolo era stato restaurato da Nuccia.

Spostarsi tra le vie in salita le risultò alquanto stancante, ma doveva completare la sua indagine, quindi fermandosi ogni tanto per riprendere le forze, finalmente, dopo oltre un’ora, giunse davanti alla chiesa Madre. Ne osservò le linee architettoniche, era una chiesa barocca del Settecento.

Ne trovò conferma leggendo una targhetta gialla collocata nella parete esterna di sinistra della facciata.Entrò e prima che iniziassero le funzioni religiose, lesse un foglietto che ne illustrava i dati principali. Dopo averlo letto, si avvicinò all’altare maggiore. Nella parte inferiore vide che era collocata, dentro una urna lignea, adagiata su un sottile materasso, una donna dormiente: era l’Assunta che indossava un bianco abito ricamato in oro, proprio l’abito che le aveva donato la regina Maria Cristina di Savoia, l’abito del suo matrimonio realizzato nelle seterie di San Leucio e restaurato qualche secolo dopo da Nuccia.

Tutto tornava."