Semi di senape
Vendicati da Dio?
Il tempo pasquale può instillare nei fedeli un senso di fierezza
gioiosa, talora inconsulta. Ora, agli inizi del cristianesimo ci sono state
delle tendenze a disinteressarsi dei problemi della società, dal momento che si
attendeva come prossima la fine del mondo, o meglio il ritorno glorioso di Gesù
Cristo; una tendenza presente in alcune lettere di san Paolo, il quale vi si
oppone. Si riteneva opportuno di pregare per i sovrani della terra, ed anzi per
l’imperatore, visto che anche lui era considerato sotto il giudizio di Dio.
Ma, visto che l’Impero romano faceva il suo corso, altra tendenza era
di pregare perché durasse il governo temporale; lo riporta Tertulliano negli
scritti apologetici Apologeticum e Ad Scapulam. Insomma, anche la fine
dell’Impero è rimandata e la catastrofe finale non si abbatterà sul mondo.
Al tempo di Tertulliano (II sec. d.C.) si risentiva ancora di due
tendenze tra loro in qualche modo
divergenti; essere sotto il giudizio di Dio si poteva interpretare in vario
modo. Difatti lo stesso Tertulliano, altrove, dice che i cristiani, memori
della gloriosa fine dei martiri, attendono ad una fine immediata, così da
essere finalmente vendicati da Dio, Colui che porta la vera giustizia nel
mondo.
Per alcuni pax romana e fides cristiana sembravano conciliabili, per
altri non si poteva andare fino in fondo in simile accordo. Questo sembra pure
il dramma dei nostri giorni; guardando alla crisi economica in cui versa
l’Italia, sorge un senso di disfattismo oppure la voglia di ripiegarsi in una
fede blanda, tanto quanto ne basta a condursi “finché la barca va”.
Nella Sacra Scrittura troviamo ben altro indirizzo. La prima lettera di
Pietro riporta che la fine di tutte le cose è vicina (1 Pt 4,1) e nel libro
dell’Apocalisse, invece, che le cose di prima sono passate e pertanto – dice il
Signore Dio – «io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 1ss). Queste due linee
sono come due fili portanti che si intrecciano nella stessa corda. La fede
cristiana comporta continuità e discontinuità; un dovere morale di agire verso
il mondo, buono o corrotto che sia, e un salto di qualità che porta a tenersi
sempre pronti per distaccarsi da questo mondo.
Non sembra possibile avallare l’idea che Dio venga a far valere i suoi
diritti di giustizia, a tal punto da sferrare il suo attacco di vendetta.
Traccia di questo si trova nel De oratione, 5, di Tertulliano; lo scrittore
africano, di tendenza fondamentalista, presentava i giusti sofferenti nell’atto
di pregare che presto si abbreviasse il tempo, cioè il saeculum, di modo che
Dio rendesse giustizia a tutti, come essi meritano.
In questo argomento il nostro scrittore si appoggiava ad Apocalisse 6,
9-11 là dove si dice che le vittime della fede cristiana esigono giustizia,
anzi vendetta da Dio; ma Dio fa sapere che occorre pazientare «finché sia
completo il numero dei compagni di servizio».
Quanto alla dissoluzione di tutte le cose lo stesso Gesù si è
sottomesso al giudizio di Dio Padre, dimostrando di trovarsi anche lui «sotto
il giudizio» (Mc 13,32). Di certo Dio viene nel mondo, il secolo, per
esercitare la sua regalità sovrana; nell’abbandono, fiudcioso e paziente al suo
giudizio, allora si può cogliere il senso della Divina Provvidenza.
Nel suo scritto sulla preghiera Tertulliano aveva inserito un’aggiunta.
L’apologeta vede le vittime del male, di sotto l’altare, gridano disonorando
Dio: «Fino a quando, o Signore, non vendicherai il nostro sangue sugli abitanti
della terra? La loro vendetta infatti è regolata a partire dalla fine del mondo».
Tertulliano aggiunge quel ‘disonorando’ che ha un tono sinistro.
Correggendo un po’ il tiro, potremmo dire così: quando non si avrà più offesa a nessuno, allora sì per ogni uomo e donna comincerà un cammino onorevole di fronte a Dio e di fronte agli uomini.
Salvatore Falzone sac.
scribadelregno@virgilio.it