Seme di senape
Saper vedere
Al capitolo 11 del Libro di Tobia troviamo l’episodio
in cui il giovane Tobia, scortato dall’angelo Raffaele, rientra
nella sua patria portando con sé un farmaco per curare gli occhi
del padre. Il figlio, applicando del fiele di pesce, riesce ad estrarre
come delle squame dagli occhi del padre e così l’anziano
uomo recupera la vista e la salute.
L’episodio biblico veniva poi commentato nella teologia
patristica come simbolo della grazia che non dà all’uomo
nuovi occhi, ma viene solo a togliere le squame della concupiscenza
dall’occhio guasto. Insomma, la grazia divina risana e riabilita
la natura umana ferita dal peccato; anzi, la “terapia”
divina consiste nel restituire all’uomo luce d’intelletto,
secondo la condizione di natura.
La vista degli angeli non sembra mai essersi annebbiata; il loro
sguardo si affonda nel mistero divino che bramano di conoscere. Si
ricava questo da un passo della prima Lettera di Pietro (1,12): qui, si
dice che gli angeli bramano scrutare in modo attento i misteri divini.
Si usa pure un verbo (epithymein) che include il desiderio impulsivo;
tale significato è bilanciato dal modo diligente in cui gli
angeli fissano lo sguardo (parakypsai) nel mistero.
Ciò rimanda all’argomento dell’occhio spirituale di
cui si parla nella letteratura ascetica cristiana; è il tema del
discernimento ovvero della vista dell’anima che vive nella grazia
di Dio.
Ad esempio Baldovino di Canterbury, vescovo, in un suo trattato vi
accenna con parole dense di significato. L’occhio spirituale
compie il vero discernimento; «è occhio perché vede
per mezzo di un retto sentire cosa si debba fare, ed è semplice
perché agisce con pia intenzione escludendo la doppiezza. Il
retto sentire non cede all’errore. La pia intenzione esclude la
finzione. Questo è dunque il discernimento, l’unione del
retto pensiero e della virtuosa intenzione».
Il discernimento consiste di saggiare ciò che capita e di tenere
solo ciò che giova al bene morale della persona. Ci può
essere qualche tecnica e qualche aspetto di metodo nel discernimento,
ma esso è soprattutto una dimensione interiore nella quale
l’anima si relaziona in modo costante a Dio.
La dice lunga il fatto che gli autori spirituali antichi non abbiano
scritto istruzioni per saper vedere nell’anima, poiché
ritenevano che questa virtù si acquistasse solo con la
consuetudine spirituale ovvero mediante l’iter con cui un
discepolo si affidava ad un padre spirituale.