Storia locale

Sutera coltivazioni e pastorizia nei primi anni del Novecento

 

Coltivazioni. — Dal catasto fondiario di Sutera con facilità si osserva che la maggior parte del suolo è destinato alla coltura dei cereali, tra i quali tiene il primato il frumento, nella quale industria sono versati tutti gli abitanti.

Le varietà dei frumenti coltivati appartengono alla sezione dei grani duri : le due varietà più pregiate sono : primo il frumento detto lìeaìforte e tiene il secondo posto la varietà detta Sammartinara, e sono entrambi frumenti autunnali. Come frumento marzuolo si coltiva il frumento turgido, o grano grosso, detto anche di S. Elena, e che qui viene denominato Timilia; è coltura di ristovigliatura, cioè succede immediatamente ad altro frumento.

In ristrettissima quantità si coltiva il frumento mutico gentile, avente ariste incipienti, e prende il nome di Maiorica.

Il lìeaìforte, il Sammartinara ed il Maiorica si seminano in novembre e dicembre ; il Timilia da gennaio a

marzo.

In giugno e luglio si procede alla mietitura a mano.

Sul finire di luglio e prima quindicina di agosto si fa la trebbiatura facendo calpestare le spighe dall'unghia degli animali (equini), e con la forcatura e col paleggiamento si separa dalla paglia (tanto la mietitura quanto la trebbiatura, sono fatte con metodi preadamitici e non corrispondenti ai nostri tempi).

L'orzo si semina come il grano, ma un po' prima, e prima pure lo si miete ; per esso vi si spende minor coltura del grano.

La fava, destinata a foraggio secco per il bestiame da lavoro e per alimentazione del contadino durante l'inverno, è anch'essa uno dei prodotti principali del suolo. Questa cultura è seriamente danneggiata dall' orobanche — in vernacolo lupa — che in certe località rende impossibile tale coltura.

Si semina pure il cece, la cicerchia, il pisello, la lenticchia, ma in poca quantità, quanta è necessaria per gli usi di famiglia.

La coltivazione della vite non è in uso, ed esistono nel territorio due soli vigneti degni di nota, di proprietà dei signori fratelli Bongiorno. I due vigneti misurano in totale circa 20 ettari, ma sono invasi dalla fillossera, però si sta sostituendoli con vitigni americani suggeriti dallo scrivente.

Assai ristretta è pure la coltivazione degli ortaggi e degli agrumi. La bachicoltura è sconosciuta.

La coltivazione del lino non molto estesa, dà pure poco reddito.

Si coltivano con successo mandorli, ulivi, fichi, peschi e peri. I mandorli sono i più numerosi.

Abbonda il fico d'India, dei cui frutti i suteresi sono ghiotti.

Il territorio è sprovvisto di boschi e foreste.

Delle materie concimanti in Sutera si conoscono soltanto gli escrementi solidi del bestiame da lavoro, muli, asini, poche vaccine, capre e pecore. Questi escrementi si raccolgono ammucchiandoli all'aperto, sono rimossi nel settembre di ogni anno, nella quale epoca si portano nei campi, lasciandoli così sparsi ed esposti alle intemperie fino al novembre e dicembre quando si cominciano le semine.

Qui però mi è caro ricordare il nome di un benemerito signore, il signor Antonino Bongiorno, che da molti anni dedica attività personale e capitali ingenti al miglioramento del suo esteso feudo. Io ebbi occasione di conoscere a fondo questo egregio signore, il quale si sottomette ad un esilio volontario, passando tutto l'anno nelle sue campagne, conducendo una vita da eremita e privandosi di ogni comodo. Vive solitario e separato dall'umana società, scorrendo i suoi giorni tra i numerosi coloni ed operai ai quali dà lavoro dal primo all'ultimo giorno dell'anno.

In lui non so se debbasi più ammirare la costanza od il coraggio.

Egli ha profuso nelle montuose sue terre ingenti capitali dei quali non ha certo equo compenso, si sacrifica di persona, e, ciò non ostante, sempre animoso procede nella via intrapresa.

È solo a deplorare che un tal uomo non abbia avuto al suo fianco qualche tecnico in agronomia che lo consigliasse, giacché avrebbe potuto impiegare assai meglio i suoi forti capitali, costruendo opere e facendo lavori più razionali. Solo, senza consiglio di sorta, seppe tuttavia fare dissodamenti, fognature, strade, argini, e costrusse una stalla per bovini allo scopo di ritirare gli animali nella stagione invernale, cosa qui affatto sconosciuta.

Quando ebbi il piacere di conoscere il prelodato signor Bongiorno, questi studiava il mezzo di bandire il maggese dalle sue terre.

Dietro mio consiglio, il proprietario in discorso effettuò la rotazione di cereali e leguminose, introducendo con profitto la semina, su vasta scala, della Sulla, — usando seme sgusciato, pratica sconosciuta in queste contrade — e se ne trova benissimo.

Gli suggerii, ed accettò, di raccogliere la paglia che si usa lasciare dispersa nei campi, e valersene per fare lettiera agli animali. Gli feci pure adottare i conci-chimici, il gesso ed il perfosfato sulla lettiera e nei concimi; cosicché produce ora un abbondante e razionale concime.

Insegnai la fabbricazione del burro; feci introdurre degli aratri voltaorecchio in sostituzione degli aratri preadamitici qui in uso ; e infine, su progetto dello scrivente si costruì ancora un grande apiario modello con arnie razionali, apiario che forse per grandezza, razionalità e ricchezza di arnie non ha l'eguale in tutta la Sicilia.

Mi sono compiaciuto di citare il nome del signor Antonino Bongiorno, non per debito di cortesia, benché da Lui e sua famiglia tutta, io abbia ricevuto e continui ricevere le più squisite gentilezze, nemmeno per fargli reclame, di cui non abbisogna, e che per me sarebbe totalmente gratuita, bensì per additarlo come esempio ad incitare altri ricchi proprietari a spendere e dare lavoro ai poveri operai e a trattarli come li tratta il signor Bongiorno costituendo una bella eccezione fra questi proprietari.

Benché latifondista, il signor Bongiorno, mira a costrurre delle case coloniche per ogni appezzamento di 8-10 ettari di terreno, onde stabilirvi mezzadri e così formare la piccola proprietà.

Tanto perché non mi si tacci di adulatore e di corteggiatore, dirò ancora ch'io, in fatto di agricoltura ho, in molti punti, idee diametralmente opposte a quelle del signor Bongiorno, tanto che certe volte ho seco lui delle vivacissime dispute.

Ma se non approvo la linea di condotta, ben inteso in fatto d'agraria, di questo signore, ammiro la sua ferrea tenacia, e la sua grande volontà di far bene e di migliorarsi, e, benché egli non abbia sempre idee chiare e razionali, pur divergendo da lui in molti casi, tuttavia sarei lieto se gli altri latifondisti siciliani l'imitassero nel buono, giacché allora non occorrerebbe più di sentire miseria nella massa dei lavoratori, che ad essi non mancherebbe più il lavoro, e per conseguenza il pane ; ed oltre a ciò l'agricoltura siciliana avrebbe fatto un gran passo in avanti.

Speriamo che l'esempio venga imitato, e che questo pioniere dell'agricoltura faccia molti proseliti.

L'agricoltura in Sutera è ancora bambina. Si coltiva la terra coi sistemi antichi, antidiluviani, e tutto si compie sul puro e tradizionale empirismo. Gli arnesi e gli strumenti agrari credo siano ancora quelli dei Romani, e l'aratro quello stesso descritto da Virgilio nelle sue Georgiche.

Le conquiste della scienza agraria sono lettera morta per i suteresi, i quali si adoprano alla meglio per fare fruttare la terra, ma non ricavano quel compenso necessario al loro lavoro, vuoi per i sistemi sbagliati, vuoi ancora per la quantità di terra che i coloni prendono in affìtto o si fanno cedere a mezzadria, non ricordandosi del provèrbio « fa quanto puoi, non far quanto vuoi » e di quell'altro così espresso : « ansi poco e bene, che molto e male. »

La classe dei braccianti od agricoltori a giornata è una delle più estese, i pastori sono in numero ristretto. Fra costoro predomina il numero dei caprai, essi allevano il bestiame e coltivano quest'industria come secoli addietro.

 

"Usi agricoli e patti colonici.

-  Siccome predomina il maggese, si costuma vendere le terre a maggese e quelle maggesate ad uso di pascolo.

Il pascolo viene ordinariamente concesso per un anno in ragione di onze 6 (lire 76,55, poiché l'onza vale lire 12.75) per salma (ettari 3,72) in media ; in certi casi chi affitta il pascolo, dà al proprietario dell'erba, 2 rotoli (1 rotolo, uguaglia grammi 800.) — Kg. 1.600 — di cacio per ogni salma di terreno, e ciò vien detto carnaggio oltre ad una data somma in danaro. Dal pascolo si intendono sempre esclusi i suini.

Il pagamento si fa in due epoche, il primo al 15 maggio; il secondo al 15 agosto.

Questi pascoli sono campi stati seminati a frumento, si lasciano un anno incolti, cioè a maggese completo, servendo come pascolo, ed indi si seminano fave, poi frumento, facendo la rotazione seguente :

1° anno, maggese intiero — 2° anno, fave — 3° anno, frumento, poi maggese nuovamente, seminando sempre senza concimare.

I pecorai calcolano che in generale per ogni 100 pecore e per un anno, occorrono 10 salme di terreno a tutterba; (per tutterba intendesi il maggese intiero nudo, cioè che il campo non viene arato fino al momento della semina), e 5 salme a mezz'erba, (per mezz'erba si intende il campo che dal 6 gennaio in poi, il padrone ha diritto di lavorarlo a suo piacimento, cioè di compiervi dei lavori per distruggere le male erbe, e preparare il terreno per la semina).

Tutto sommato porta una spesa di onze 60 per la tutt'erba, e onze 15 1/2 per la mezz' erba, il che equivale a lire 956,00.

Cento pecore in una buona annata danno in cacio un peso di 10 cantari (il cantaro vale 80 chili.), che può valere 85 lire al cantaro, e cioè un valore di ... L. 850,00.

Più 400 Cg. (=kg) di ricotta che si vende d'ordinario a L. 0,40 al Cg (=kg) » 160,00.

Supposto che 100 pecore, deduzione fatta dei montoni, di quelli che non prolificano, perdite, ecc. diano 70 agnelli, dei quali secondo la consuetudine si deve dedurre il 35% che si usa di allevare a ringiovanimento dell'armento, avremo 70 meno 35% = 24; restano 36 agnelli pel macello, che all'ordinario prezzo di lire 2 cadauno ammontano a » 72,00

Dalle 100 pecore ricaveremo in media 160 Kg. di lana, cioè Kg. 1,600 di lana per pecora, il che uguaglia 2 rotoli per pecora, ed in tutto 2 cantari ad onze 5 per cantaro valgono ...» 127,50  L. 1209,50

Il concime non si può calcolare perché resta al proprietario del fondo che vende il pascolo.

Utile lordo sulle 100 pecore. . L. 1209,50

Spesa per affitto pascolo . . » 956,00

Utile netto 100 pecore . . . L. 253,50

E con neanche una lira al giorno di guadagno devono, vivere, calzarsi, vestirsi i membri di un'intiera famiglia, che, data la prolificità delle donne suteresi, è quasi sempre numerosissima ; questa è la vita dei caprai, ma quella del contadino nel più dei casi è più triste ancora !

I patti colonici più in uso sono i seguenti :

a) il proprietario concede al borgese (il borgese è un misto di affìttavolo e mezzadro) una salma

(ettari 3,72) di terra, per 2 anni. Secondo la qualità, bontà e posizione del terreno, il borgese per il primo anno corrisponde al proprietario una somma che varia dalle lire 38,25 alle 100, cioè da 3 a 6 onze per salma di terra;

somma che viene pagata al raccolto del frumento nel secondo anno ; ed il borgese nel primo anno è padrone di tutto il raccolto che può ricavare dal terreno, seminando però esclusivamente legumi con prevalenza in fave. Se il borgese ha le sementi, allora il raccolto è tutto suo ; però certi proprietarii si ritengono le paglie. Se invece il borgese è sprovvisto di sementi, allora le prende ad imprestito dal proprietario del terreno, ed alla raccolta il borgese restituisce la semenza con lauto interesse, cioè 4 tumuli (il tumulo vale litri 17,5) per ogni salma (la salma è di 16 tumoli) di semenza avuta in prestito.

Nel 2 1 anno, il proprietario dà al borgese, per ogni salma di terra, salme 1.6 od anche 1.8 di semenza di frumento ramato, e il borgese è obbligato a seminarlo, sarchiarlo, mieterlo e trebbiarlo. Il proprietario prende la metà della granella e della paglia, ed il borgese è obbligato di consegnargli il prodotto in granella nel granaio.

Le semenza fornita dal proprietario è data a fondo perso. Se però durante il corso dell'anno il borgese prende cereali o legumi in soccorso dal proprietario, all' epoca del raccolto del frumento restituisce tutta in natura, pagando i debiti interessi.

In generale il proprietario fornisce ad imprestito ai suoi "borgesi 1 salma di frumento per ogni salma di terra che hanno in coltura ;

b) Dopo una coltivazione di fave, e dopo un raccolto di erba sulla, il terreno è ricco di azoto, e perciò molto ferace.

In questo caso il proprietario concede al borgese il terreno coll'obbligo di fare due arature prima della semina.

Il proprietario anticipa la semenza occorrente, ed il borgese fa tutti i lavori di semina, raccolta ed allestimento del prodotto.

Al raccolto il proprietario preleva la semenza data, più tumoli 1 iU ogni salma, per la cernitura ; ed il rimanente viene diviso a metà tra proprietario e coltivatore.

Con questi patti il povero borgese è sempre in debito verso il proprietario il quale considera il borgese come un vero schiavo.

Informazioni riportate integralmente dal libro: D. Silvio Bonansea, L'agricoltura in Sicilia e la situazione economico-politica dell'Isola (Inchiesta fatta per iniziativa del Movimento Agricolo di Milano), 1900 Remo SandronEditore, Milano-Palermo.

L'agronomo Bonansea era Professore di Botanica alla Scuola Pratica di Agricoltura in Rivoli ed aveva uno studio agricolo tecnico a Campofranco. E da Campofranco nel dicembre 1899 scrive la dedica del libro in onore del ministro della pubblica istruzione Guido Baccelli.

L'autore parla dell'agricoltura come si presenta nelle varie province siciliane. Per quanto riguarda la nostra provincia fa riferimento ad un libro del Vaccaro di cui riporta ampi stralci integrandolo ampiamente con osservazioni sue. Parla dei fratelli Bongiorno e comunque afferma che quanto dice per Sutera può realisticamente attribuirsi anche al resto della provincia.

Mario Tona