Seme di senape

Il santo tributo

Nel vangelo di Matteo si trova l’episodio in cui alcuni vanno a chiedere a Gesù se egli paghi il tributo per il tempio; per la precisione, la tassa si chiama didramma, cioè la moneta che equivale a due dramme. In Mt 17, 23-26 si trova questo curioso episodio che segue, si badi bene, l’annuncio della passione; ovvero, Gesù annuncia che sarebbe stato consegnato agli uomini; cioè, condotto in un tribunale.

Volendo trovare un significato allegorico alla vicenda, si può interpretare il didramma come simbolo della duplice natura di Cristo Gesù, egli vero Dio e vero uomo si offre come vera moneta di riscatto per il tempio santo. Essere consegnato ad un tribunale civile vale come l’obbligo che si corrisponde al tempio. Ecco, il santo tributo.

Il verbo chiave è in greco paradìdōmi che significa: consegnare, rendere qualcosa a qualcuno, nonché consegnare nelle mani degli uomini; e in senso teologico l’azione che corrisponde in modo equo al volere di Dio Padre è solo quella del Figlio. È Lui che può essere consegnato per rendersi giusto il rapporto con Dio Padre.

L’azione può avere anche un significato giuridico; cioè, assolvere ad un obbligo; ma, è anche vero che Gesù sulla croce, reclinato il capo, consegna lo Spirito alla Chiesa (Gv 19,30). Questo è il senso spirituale della consegna; si parla pure di una teologia della consegna per esprimere che tutta la vita di Gesù è proiettata, come compimento finale, nella consegna a Dio Padre. Solo la sua azione è degna di corrispondere all’azione del Padre.

Nel brano di Matteo segue che Gesù risponde alla domanda dei suoi interlocutori; Gesù manifesta di non essere assoggettato a nessuna tassa, perché Egli è di origine divina, anzi è Re. E poiché le tasse da un re vengono riscosse presso i sudditi, ne deriva che i figli diretti del re non sono soggetti ad alcun pagamento. Il ragionamento di Gesù ha pure qualcosa di paradossale, perché si smarca dall’obbligo formale di pagare la tassa per il tempio, ma pure induce l’apostolo Pietro a saldare il debito per entrambi.

Qui si coglie l’annuncio del martirio per l’apostolo, principe della Chiesa; egli prende un pesce dal fiume e paga anche per Gesù. Pietro è considerato il capo della Chiesa, ma sarà crocifisso a testa in giù. Egli è inferiore al maestro di Nazareth, ma nei suoi successori sarà paragonato ad un sovrano. Gesù Cristo assolve con il suo sangue ad ogni tributo che l’umanità corrisponde alla divinità, sicché l’apostolo Pietro beneficia del sangue versato dal Figlio di Dio. Gesù “versando” la sua vita una volta, riscatta tutte le volte che occorre assolvere dal peccato; Pietro e i suoi successori con il loro servizio “versano” ogni volta a Roma il “contributo” che può liberare e sciogliere, come pure assicurare e legare.

Per chiudere, estrapolo un passo da una carta d’ufficio del XVIII secolo; il tono dell’attestato ci può lasciare increduli - e ognuno può trarne il suo libero commento. In ogni caso è segnale di una certa mentalità regalista. I canonici di una Cappella palatina, rivolgendosi al Re, offrono liberamente un tributo; compiono un’azione verso il monarca che «qual Padre nulla lascia d’agire, e con previdenza operare in nostro prò, onde tutto fosse in perfetto ordine, e pronto al bisogno, se occorre difenderci da un nemico che insidia la nostra vita, il nostro onore, e la nostra santa Religione, le nostre sostanze».

Salvatore Falzone sac.