Storia del ponte di Passo fonduto, tra Campofranco e Casteltermini
(Con note autobiografiche)
di Salvatore Panepinto
5
Ottenuto il permesso dal Maggiore, un Reparto di formazione doveva scendere a Passofonduto.
Il Tenente Tiscari, nel suo diario, continua:
"Decido
di parlare ai soldati che non sanno nulla, dicendo loro che non sarà
una gita, in quanto il nemico è sul suolo sacro della Patria. Siamo
soldati! Faremo il nostro dovere a qualsiasi costo. Devo scegliere 48
volontari. E' la volta di Angelo, il mio attendente, che chiede di
venire con me. Gli dico: "No, tu sei figlio unico, hai precisi doveri
verso i tuoi genitori! Io ho bisogno di te qui alla tenda. In questo
foglio c'è l'indirizzo di mia madre e quello della mia fidanzata; è un
tuo dovere e voglio fidarmi di te. Riferisci loro questa mia partenza,
e che stasera, 13 luglio, alle ore 20, sto bene in salute, penso a loro
con affetto, ma compio il mio dovere e parto sereno verso il mio
destino. Credo che tutti voi, nei prossimi giorni, ripiegherete su
Palermo. Raccogli le mie cose nella cassetta e affidala, se sarà il
caso, al Ten. Berardinelli. Segui gli ordini ed il reparto: voglio la
salvezza. Hai 20 anni e la vita davanti. Non sarà così se ti porto con
me".
Lo lascio con gli occhi rossi. Sono già pronti due Lancia R0.
Chiedo ad Auci (Tenente più anziano) cosa abbiamo di casermaggio, di
munizioni e di viveri. La risposta è: "Nulla;
ogni soldato ha due caricatori. Niente di
nient'altro". Ripeto a me
stesso in silenzio: "Nudi, alla meta». E di fronte a
noi c'è il più potente esercito del mondo, la più potente marina, la
più potente aviazione!
Tutti sono
al loro posto; chiedo all’autista del camion:
“Sai dove andare?”. E quegli risponde:
“Signorsì, a fondo valle oltre Passofonduto,
dove sono le case del Barone Petix ed una piccola Chiesa: è lì la sede
del Comando Gruppo".
Auci e Peracchi (quest'ultimo è altro tenente
meno anziano) sono ciascuno in una cabina di guida. Saluto Mario
Berardinelli, il solo Ufficiale presente alla partenza da
Casteltermini. Mi chiedo dove sono gli altri. Dove è il Maggiore
Comandante. Salgo sul cassone del primo Lancia fra i soldati e faccio
cenno all'autista di andare; nella cabina c'è Peracchi. La scena è
irreale; il silenzio ed il buio della sera, l'assenza del
Sig. Maggiore Comandante, il campo ormai vuoto, sono più
atroci di ogni grido? Attorno gente del paese. Gli uomini si tolgono la
coppola nel saluto antico, le donne piangono; chi rimane saluta
agitando la mano.
Mi accorgo che Angelo è il solo fermo sull'
attenti, la mano alla fronte; rispondo nello stesso modo, a lui solo
per tutti, e faccio fatica a frenare un
nodo alla gola. Rimango
così sin quando tutto è azzerato dalla
distanza e dalla notte, poi dico di sedere sul cassone e ne do
l’esempio. Siamo stretti l'un l'altro; non vi è un appiglio, la strada
è in discesa con molte curve, non incontriamo una casa, il paesaggio è
cancellato, il cielo a Sud è tutto rosso, il rombo delle cannonate non
è monotono ma modulato dai calibri. L'autista è a fari azzurri, a
fessura; procede a passo d'uomo, forse non conosce la strada e segue il
chiarore dello sterro perché non vi è asfalto.
Dopo un'ora il
camion si ferma in una radura; sento acqua scorrere, è il Platani
vicino, c'è un gruppetto di case, quasi una fattoria; vedo contro il
cielo la croce di una Chiesetta ed un piccolo campanile. "Siamo
arrivati" dice l’autista; scendiamo dal camion, incontro Auci che va in
uno dei casolari e dice di attendere. Vedo alle spalle l’ombra di un
149/13; mai vistone uno così da vicino! Attorno, accosciati
al suolo sono dei soldati. Un giorno, nel
libro “Il cielo è rosso”, Giuseppe Berto il caro amico di lunghi
anni, avrebbe detto: “Uomini attorno seduti aspettavano con stanca
pigrizia!".
Mi guardo attorno; vedo socchiusa la Chiesetta, è poco
più di una stanza, sporca per il disuso e per il guano dei colombi che
nidificano nel tetto sconnesso. Apro il mio
zaino preparato da Angelo, trovo
una coperta che stendo a terra sotto il gradino dell'Altare, ed uso il
gradino per guanciale con "La rivolta ideale" come sempre. Mi sistemo
in attesa dell'alba, vedo che non sono solo, auguro buona
notte con la richiesta di
svegliarmi al bisogno. Ma il sonno tarda a
farsi strada, tra mille pensieri.
Uno di questi riguarda gli Sherman;
pesano 25 tonnellate, con equipaggi di
professionisti, già veterani d'Africa, ed io ho accanto ragazzi
con una baionetta, un fucile Mod. 91 con 12 colpi ed un
cuore di vent'anni.
E' questa
la piccola Chiesa delle "Case Petix", ubicata dentro la "Baronia" di
Fontana Fredda, nei pressi della Stazione Ferroviaria di Campofranco.
I
nostri militari, fra cui il Tenente Triscari in prima
persona, perlustrano la zona tenendo sotto controllo l'andamento del
nemico, che, a sua volta, sta per circondare la zona di Passofonduto e,
con essa il relativo Presidio Militare. Ecco come racconta parte
di alcuni servizi:
"Scelgo la posizione di marcia, in linea di fila,
io in apertura, poi 4 uomini, poi il Sergente, poi gli altri 4,
sempre sotto il costone della collina o fuori strada quando siamo allo
scoperto; sotto attacco dei caccia, aprirsi a ventaglio cercare a
terra un riparo, ponendo le mani e le braccia sulla testa contro le
schegge dei sassi, perché non abbiamo elmetto; guardare sempre attorno,
vicino e lontano, e gridare subito per qualsiasi cosa sospetta
urlando prima la direzione, secondo orologio, tenendo le ore 12
su Milena. Trovo il paese vuoto, irreale; chiedo al Brigadiere dei
Carabinieri: "Novità? Dove sono gli abitanti?”. Mi risponde: "Sono
tutti serrati dentro. Attendono gli americani; e purtroppo sarà una
festa. La Patria, l'Italia invasa, non c'entrano affatto! Molti di loro
sono stati per anni in America e vi hanno fatto fortuna; una loro
generazione è rimasta laggiù e tra le truppe sanno di attendere i
loro nipoti! Se va oltre verso Bompensiere, faccia attenzione. Ci sono
jeep in perlustrazione armata dovunque, anche con l'appoggio
di carri leggeri. Chiamano jeep le
loro macchinette scoperte, a 4 ruote motrici; guidatore, navigatore e
uno dietro con la mitragliatrice. Noi abbiamo l’ordine di restare qui
in ogni caso. Buona fortuna".
Altro: "La mia convinzione é che
abbiamo di fronte pattuglie leggere in ricognizione su camionette
armate, ma non vi sono carri o cingolati. Il Sergente e 4 uomini
dovranno attestarsi su entrambi i lati della strada nascosti meglio che
è possibile nelle cunette. Più in basso ancora saranno altri 3 uomini,
sempre nelle cunette o in solchi profondi. Io mi fermerò dopo la curva,
ancora più in basso a Km. 1,5 dal fiume, con un soldato. Gli ordini
sono: non tradire assolutamente la propria presenza, farsi sorpassare,
l’allarme sarà dato da me quando la jeep sarà poco oltre al mio
traverso, in modo che la sorpresa di un attacco alle spalle e
l'eventuale azione dei bersaglieri dal fiume li costringa ad una rapida
retromarcia, forse senza reagite. Sparare ed aumentare la confusione,
se non si tratta di una sola jeep, ed in ogni caso in fase di ritirata.
C'è
un primo allarme alle 16; una camionetta scende veloce ma ha la
svastica: è tedesca; mi butto sulla strada, non
si ferma; sono due soldati ed uno mi
fa un cenno indietro;
Forse sono inseguiti. Sto ancora più all'erta, nella
cunetta dove sono. Appare a distanza un'altra camionetta, va molto
piano; il sergente è già superato, anche il secondo gruppo, attendo che
il motore mi sia a fianco, poco oltre, alzo la testa, sul cofano la
stella bianca americana. I tre uomini guardano avanti, un ufficiale è
accanto ad un graduato
che guida, un altro è alla
mitragliatrice; il colpo è in canna
e sparo in rapida raffica alcuni colpi. La
sorpresa è riuscita; una frenata immediata, marcia indietro sino alla
curva, e poi prima, seconda, e subito terza, velocissimi in avanti,
quarta. Attendo a monte la reazione dei due gruppi, ma è ora il cannone
a sparare, un colpo ogni 20 secondi, e la zona di tiro è proprio nel
nostro settore".
Dopo alcuni giorni di pattugliamenti in tali
ccondizioni ambientali , il Ten. Triscari, mettendosi a rapporto
col Colonnello Thaon di Revel, gli fa presente che il pericolo
per il suo Gruppo non è da Campofranco nè da Milena perché le
strade sono strette e sterrate, con curve altrettanto strette per gli
Sherman e per i grandi carri. I cingoli fermi, per esempio, a perno
nella curva, tra grossi sassi e rocce allo scoperto, potrebbero
sganciarsi ed un carro fermo su queste strade, bloccherebbe una intera
colonna.
Inoltre lo informa che un Carabiniere gli aveva parlato
di grossi zatteroni anfibi che una volta a terra si muovono su sei
ruote gommate, tutte motrici, con buona velocità. Sono chiatte
semoventi che, sbarcate le truppe su qualsiasi tipo di spiaggia,
si trasformano in camion di media grandezza. Il Tenente conclude col
dire che la Galleria e il Ponte dovrebbero saltare quella notte,
cosa che avviene realmente tra il 18 e il 19 luglio. Il Colonnello gli
fa presente che il suo rapporto è saggio, ma lui, avendo ormai pochi
uomini, ha deciso di lasciarlo libero la stessa sera, per
tornare al Comando di Casteltermini.
In procinto della fine
dell'esistenza dell'Esercito Italiano, paragonabile ad una catastrofe
dovuta allo sbarco in Sicilia del nemico più potente del mondo, ecco il
Tenente Triscari come racconta le ultime ore trascorse in divisa:
"Della
decisione del Colonnello, ne parlo al collega Peracchi che rimane
sorpreso quanto me. Informai pure il Tenente Auci che comanda la
Compagnia e che mi ordina di riunire gli uomini per far ritorno a
Casteltermini, a piedi. Mi ordina pure di fare distruggere
le armi, anche le pistole, subito. Partenza fra un'ora".
Il
Tenente Triscari, per nulla d'accordo, reagendo
d'istinto, risponde: "Non darò mai quest'ordine. Siamo ancora un
Reparto Operante in Zona di guerra". Poi, rivolgendosi a lui
personalmente, soggiunge: "Se ordini di sciogliere il Reparto,
consegneremo le armi ai Carabinieri di Casteltermini. Non consegnerò
mai la mia pistola". Quindi raduna gli uomini e gli presenta la forza.
Il
Tenente Auci, rimanendo nel suo proposito, comunica l'immediata
partenza e ripete l'ordine per i fucili e per le pistole. Gli uomini
guardano in silenzio. Il momento è gravissimo, da
ammutinamento. Il Ten. Triscari, dovendo obbedire, a questo punto
rivolgendosi agli uomini, dice loro: "E' un ordine
del Comandante! Eseguite". Quindi tiene in evidenza
la fondina con la Beretta d'ordinanza. Gli chiedono come fare.
Dice loro di togliere al fucile l'otturatore, smontarlo, gettare i
pezzi nel fiume, spezzare il calcio, picchiandolo a forza sulla roccia,
sotterrare o buttare nel Platani il resto. Eseguono di mala voglia.
Poi
continua: "Aspetto che il buio sia più completo, andiamo di corsa a
valle lungo il Platani, incontriamo altri e, nell'ora che segue,
galleria e Ponte della Ferrovia, saltano. Torniamo al Reparto. E’
ancora notte, un poco di sonno, e quando il cielo é appena chiaro siamo
già in cammino, in fila su tre colonne, con largo intervallo. La strada
per i campi è più breve ma più faticosa, assolutamente allo scoperto
senza alcun riparo, con l'ordine di attenersi alla solita tattica se i
caccia in attacco sono monoposto.
Ora il paese é chiaro, a poca
distanza; ci hanno visto. Da ogni finestra, da ogni balcone spuntano
tovaglie ricamate e coperte dai mille colori; gente saluta con
bianchi fazzoletti ed urla per la gioia battendo e mani. I soldati non
capiscono e rispondono al saluto, Peracchi mi chiede:
"C'è la festa del Santo, oggi in paese?"
“No,
Pino; c'è soltanto una vergogna! Non hanno compreso chi siamo; non ci
hanno riconosciuti! Per loro siamo "i miricani" in arrivo; la guerra è
finita, arriva il benessere!"
Non riesco a controllarmi; gente
muore sulle spiagge, la Grecia è un disastro, la Libia è perduta, le
nostre case distrutte, la Patria è invasa, noi stessi viviamo alla
giornata! Estraggo la pistola e sparo in alto alcuni
colpi. Scompare tutto, coperte, tovaglie, per paura o per codardia,
vengono chiuse le finestre. Che vergogna!
Il paese appare vuoto e la
poca gente per la strada ci é attorno, ci commisera. Tutti offrono
qualche cosa da bere o da mangiare. Al campo troviamo il Ten.
Berardinelli e alcuni soldati; ci informa che il Reparto non esiste
più, il Comando non ha dato alcun ordine, ma ha fatto circolare
la voce tra i soldati di raggiungere Palermo ciascuno per conto suo, o
di agire secondo coscienza.
Il Maggiore Caccamo e gli
Ufficiali sono ricoverati all'Ospedale per malattia; verranno tutti
catturati. Il Ten. Auci scompare; ci fa sapere attraverso un civile
che, in abiti borghesi lui stesso, scende a valle in una campagna di
amici per poi raggiungere la famiglia a Licata. Catturato,
finirà in Tunisia. D'accordo con Pino e Mario, parlo ai soldati
che abbiamo accanto con grande amarezza; sento responsabilità per
loro. I pochi siciliani, sono già tutti via verso casa, portandosi
ciascuno qualche amico.
Agli altri dico la verità, non vi sono nei
dintorni reparti a cui aggregarsi; non abbiamo armi, non abbiamo
munizioni, ed il dovere è di sottrarci alla cattura. Consiglio di
togliersi dalle strade e di raggiungere, a gruppi di due o tre, i
casolari isolati nelle campagne verso San Biagio Platani, offrendo ai
contadini lavori nei campi in cambio di un momentaneo riparo e di un
vecchio pantalone.
Gli americani non vengono come nemici e la
popolazione, con molti ex emigrati negli Stati Uniti, è tutta
favorevole a loro, ma non è contraria a noi. Segnalare la propria
temporanea presenza ai Carabinieri. Fidarsi dei parroci. Tenere i
reciproci contatti in qualche modo per dare e ricevere notizie ed
aiutarsi a vicenda.
Si sparpagliano subito e non mi sembrano
scoraggiati; ho appreso dopo che quasi nessuno di tale Gruppo ha subito
la prigionia, mentre questa toccò a diversi del Gruppo precedente che,
approfittando della vicinanza del loro paese, si diressero a casa.
Chiedo
a Berardinelli notizie di Angelo Conzadori; mi risponde che lo vide il
16 sera; aveva già trasportato a casa sua quanto era mio e
di Seracchi; aveva lo zaino in spalla, baionetta e fucile; gli disse
che al campo ciascuno agiva in proprio, ma lui era diretto alla sede de
Rgt. a Palermo perché questo era stato un mio ordine. Rimase
sull'attenti quando l'ha abbracciato e voleva indicata la strada fra i
campi. Fatto prigioniero andò a finire in un'isola delle Hawai,
nell'Oceano Pacifico, da dove tornò dopo 5 anni.
In gara con il
tempo, telefonò ai Carabinieri a cui mandò le radio e gli accumulatori,
bruciando brogliacci e codici. Accanto non c'è più un soldato e corre
voce che il nemico abbia superato a guado (acqua bassa) il Platani con
forze leggere, ed è in salita per Casteltermini. Dai balconi rispuntano
le coperte, l'aria è di festa, suonano a distesa le campane. La guerra
è finita, ci sono gli americani, ed in alcuni balconi tra le coperte,
c'è anche qualche bandiera tricolore con lo stemma dei Savoia.
Ad un
certo momento, il Tenente Mario, che abita in Piazza con
la famiglia, lo raggiunge e con ad altro
tenente, li ospita in casa, facendo in tempo di
chiudere il portone perché le prime
jeep, i grossi mezzi da sbarco carichi di soldati, si ammassano in
Piazza Duomo.
Da una stanzetta al secondo piano, persiane chiuse,
barrette aperte a metà, li vedo defilare verso Acquaviva; è truppa
fresca, serena, armatissima, salutano tutti, anche loro più sorpresi
che spensierati. Niente stivali, niente fasce, scarponi leggeri, divise
comode, camicie con maniche corte, radiotelefoni, armi automatiche ed a
tiro rapido, mitra poco più lunghi di pistole con almeno 24 colpi, a
giudicare dai caricatori. "Se questa colonna fosse stata ieri sulla
strada di Milena, nessuno di noi sarebbe rientrato alla
base!", pensa mentre guarda con Pino e Mario, sgomenti ed avviliti.
Mario,
abilissimo nel disegno, traccia schizzi con particolari interessanti e
si ripropone di portare tutto al Comando d'Armata, nel caso di un loro
ripiegamento.
Mario, abilissimo nel disegno,
traccia schizzi con particolari interessanti e si ripromette di portare
tutto al Comando di Armata, nel caso di un loro ripiegamento.
L'esercito
invasore giunge alle porte di Casteltermini, silenziosamente. Della
presenza, gli abitanti se ne resero conto la mattina di buon'ora,
quando dalle finestre o dai balconi, lo videro accampato nella parte
Sud del paese, in località "Costa". Anch'io, quando mi alzai dal
letto e mi affacciai al balcone di casa scoprii, con una certa
emozione, a meno di 500 metri, il "campo pieno di veicoli
militari".
Sul tardi fece l'ingresso in Piazza
Duomo, sostandovi un bel po'. In poco tempo la Piazza si riempì
di gente curiosa, titubante ma anche tranquilla, come se la cosa
fosse del tutto normale, infatti era attesa da vari giorni. Dalle
torrette dei cingolati, i soldati lanciavano caramelle e
cioccolatini, che venivano accettati.
Pure io,
giovanotto di 15 anni, ero lì a guardare la loro presenza, che ispirava
fiducia, pur essendo in assetto di guerra coi loro mastodontici
veicoli: uno spettacolo anomalo rimastomi impresso come una fotografia.
Ritornando alle avventure del Tenente Triscasri, dopo due mesi
di stare nascosto, con la complicità dei cittadini di Casteltermini, da
lui definita "Omertà buona", si convince di uscire allo scoperto,
raccontandolo nel modo seguente:
"Ai primi
di settembre prendo la grande decisione. Esco di casa, cerco la sede
del Comando Americano e mi presento. Sono un tecnico minerario,
addetto alla Miniera di Cozzo Disi, giù a valle; la miniera ora è
chiusa da tempo, non posso fermarmi alla sorveglianza volontaria dei
macchinari, non ho più denaro, vorrei raggiungere la mia famiglia
sfollata in un paesetto dei Nebrodi, verso Messina. L'impressione è che
l'Ufficiale che mi ascolta sia ben disposto al mio caso; mi
chiede notizie sulla miniera, posizione, materiale estratto, cicli di
produzione. Non ho alcuna difficoltà a rispondere perché invento
tutto, mai vista Cozzo Disi, e bado solo a non contraddirmi. Il
Maresciallo dei Carabinieri presente alla scena, fa il distratto perché
mi conosce benissimo ed è lo stesso che aveva ricevuto da me le radio e
il resto. Un'ora dopo con in tasca un "Travel Permit" torno a
casa di Mario;
bacio Luisella, un abbraccio
a mamma Elena, a Rosetta, al buon papà Matteo,
a Franco e sono pronto; una stretta di mano a Mario ed a Pino.
Anche loro, dopo alcuni giorni, partiranno per Palermo. Dico con tutto
il cuore: Non vi dimenticherò mai".
Ed ecco il "Lasciapassare", ("Travel Permit") rilasciato dal
Comando Militare Americano al Ten. Triscari, per raggiungere casa sua.
La firma (autografo) apposta sul "Travel Permit" riconosciuta da
me dopo 67 anni, è quella del Maresciallo dei CC. di
Casteltermini, Gravanese, che nel 1954 io ebbi come Comandante di
Stazione Territoriale a Taranto, Città Vecchia, nella qualità di
giovane Carabiniere. La mia fu una felice scoperta, al pensiero di
poter constatare che, il medesimo Maresciallo, nel 1943, nel periodo
dell'invasione americana, era delegato a firmare "documenti con
l'intestazione del "Comando Militare Statunitense" e compilati alla
presenza dell'Ufficiale Superiore, che aveva preso posto nell'Ufficio
della Caserma.
Il timbro in cui si legge
"Stazione Carabinieri Reali di Casteltermini", apposto alla sinistra di
quello del "Comando Militare Alleato", serve a legalizzare
l'originalità del "Documento", il cui stampato è scritto in doppia
lingua: inglese ed italiano.
Quando a Taranto,
nel 1954, entrai nel suo Ufficio (proveniente dalla Marina
Militare della medesima città, dove avevo prestato 2 anni di servizio
sempre da giovane Carabiniere) egli, pur avendo lette di già le mie
carte, volle creare una certa "sceneggiata" chiedendomi: "Di dove
sei?!" Io risposi: "Siciliano". Ma lui
mi rifece la medesima domanda: "Ti ho chiesto
di dove sei?!". E io risposi:
"Della provincia di Agrigento". Non soddisfatto
delle mie risposte, per la terza volta, sempre in tono imperativo,
replicò: "Ti ho chiesto di dove sei?!". A questo punto, avendo capito
il senso delle sue domande, risposi: "Di Casteltermini". A
questo punto, cambiando tono, esclamò: "E ci voleva tanto per dirlo?".
Poi continuò dicendo che lì gli era nato un figlio, che a Casteltermini
si trovava durante l'invasione Anglo-Americana, che quello fu un
periodo molto critico, per cui, superato il primo impatto, avvalendosi
della qualità di Maresciallo dei Carabinieri, quale unica Autorità
Costituita Affidabile e responsabile, in grado di garantire
l'Ordine Pubblico in Paese, approfittando dell'esistenza di un
importante Stabilimento Pastificio, chiese ed ottenne dai Dirigenti,
che la razione giornaliera di pane, prevista dalla Tessera Annonaria,
dai 150 grammi venisse elevata a 300. I vari tentativi di minacce o di
corruzione, non servirono a nulla, perché la cosa venne realizzata da
subito.
Per i cittadini di
Casteltermini fu come una manna calata dal Cielo, un dono del
Signore, grazie a quell'uomo magrolino, muscoloso, di media altezza, il
quale nel raccontare l'accaduto, parlava con orgoglio e con lo stesso
tono di voce imperativo, con cui si era espresso e fatto valere in quei
giorni di confusione!
Forse furono in pochi i
castelterminesi che ebbero modo di apprendere questo fatto, pur di
particolare importanza, perché da parte mia, non ricordo di averne mai
sentito parlare in paese.
Anche la
"contravvenzione" elevata a mio fratello dalla "Pattuglia"
per il mancato certificato di affidamento della
giumenta, non fatta pagare a mia madre da lui, fu un gesto di
nobiltà che dimostra la serietà e la correttezza di un uomo che
(guarda un po' il destino) ebbi il piacere di apprezzare da giovane
Carabiniere a Taranto Città Vecchia, per averlo avuto come mio
Comandante di Stazione.
Alle sue dipendenze
rimasi un paio d'anni, durante i quali ricevetti diversi elogi
per come me la cavassi nei lavori d'Ufficio. Anche per le poesie che
avevo scritte era contento, specialmente di quella riferita ad una
"motonave dal destino ostile" che facevo palare come una persona
umana.
Dopo 60 anni da quel dì, grazie alla
scoperta del Computar, tutti i miei scritti abbinabili li ho riuniti in
due distinti volumi intitolandoli: "La "Rima" e "La Prosa", del
cui contenuto mi dico oltremodo "soddisfatto", metrica a parte.
Per quanto riguarda altri scritti considerati rilevanti, ne faccio singoli libri coi dovuti riguardi.
Una poesia in particolare, la trovo interessante perché credo
"rispecchi" un'epoca del recente passato, in cui parlo del
"compare" e degli "amici venuti a ballare", insomma si tratta di
una festa genuina in famiglia, conclusasi sottoforma di sceneggiata
comica.
Sperando che sia di gradimento anche a coloro che la dovranno leggere, la riporto di seguito:
5-continua
(Le
precedenti puntate sono state pubblicate sui numeri: 483, Maggio -
Giugno 2015; 484, Luglio - Agosto 2015; 485, Nov.-Dic. 2015; 486,
Genn-Febbr. 2016)