Percorsi letterari in Sicilia n. 6
Gesualdo Bufalino: alla ricerca del tempo perduto
Il potere della memoria, che guida Bufalino all'artificio dell'invenzione, lo porta a trasformare il ricordo in fiaba come in Diceria dell'Untore, opera nata " in sdegnosa solitudine" come ricerca di evasione e triste esperienza autobiografica di malato, vissuta in un sanatorio vicino Palermo, dove convivono alcuni singolari ed emblematici reduci di guerra, che rappresentano il dramma della coscienza infelice del mondo offeso, e che riemergono nella memoria di Bufalino, ormai guarito, come maschere nel palcoscenico speciale, quello della vita e, a un tempo della negazione della vita, incalzati da un pressante sogno di fuga.
Ed è proprio dall'incontro tra sogno della memoria e scrittura che nasce la sola possibilità di una qualche felicità per l'uomo sul quale incombe l'inesorabile destino di precarietà e di morte.
Nel romanzo-diario Argo il Cieco, Bufalino mettendo a nudo il proprio cuore, cerca di rintuzzare l'assedio dell'angoscia senile, foriera di sinistre sensazioni, risalendo con la memoria che lo aiuta ad amare " l'inverosimile vita "„ ad un'antica e felice stagione della propria esistenza in un angolo della Sicilia , " un'area triangolare di sasso che galleggia sulle onde dei millenni , attiva, estroversa, che ama l'iperbole e l'eccesso, capace di inventarsi febbrilità senza numero , con quel mare e quel cielo resistenti, con i vulcani in fiamme, con le miti colline, con le leggende che fioriscono sulle labbra in un'aria di mito, nel mare più glorioso e fatale del mondo ".
La Sicilia, dove tutto è mischiato ha due lusinghe contrarie: una celeste che parla di gelsomini d' Arabia, letizie di luna, spiagge simili a guance dorate; l'altra, scura, " infera con mezzogiorni ciechi a picco sulle trazzere e sangue che s'adagia ai piedi di un vecchio ulivo". Nel rapporto tra queste due voci, nel loro incontro e scontro," sta il segreto doloroso e la ricchezza della nostra storia".
In Bufalino ha molto peso la memoria a cui è dedicata un'organica raccolta di prose tra realtà e mito della Sicilia; in special modo egli guarda con occhi bambini, come in una lanterna magica, Comiso, il paese natio che " è una creatura vivente, che nasce, cresce, invecchia, muore e rinasce, secondo l'alternarsi delle stagioni, dove sono le nostre pietre, bionde com'era il miele degli alveari iblei cari a Virgilio ". Pensando al suo paese " di ieri e avant'ieri ", egli si volge attorno a cercare luoghi e volti scomparsi, notando che qualcuno o qualcosa ha stravolto tutto che " è eguale e diverso, come uguale e diverso sono io, con la mia faccia lavorata dagli anni ".
I ricordi che traboccano " da una tazza troppo piena" e che sono un pellegrinaggio amoroso nella memoria brillano come fiabe, risalgono al tempo dei lampioni, dei lumi a petrolio, alle botteghe artigiane, Esempi della bravura individuale, dove il rispetto del lavoro vigeva con la maestà e l'energia di un sacramento inviolabile.
La civiltà delle botteghe, luoghi sociali e storici, dove si accendevano liti fugaci o si narravano storie, regni dove il re si chiamava " mastro ", è ormai traviata in forme utilitarie e robotiche. Bufalino, sempre affascinato dalla parola scritta e dai libri consumava i suoi giorni " più a leggere che a vivere", perché per lui " la vita si recupera e si redime scrivendo ".
La sua scrittura densa, raffinata, colloquiale, tramata di metafore, richiami d'autore, preziosi arcaismi e sprezzanti neologismi è caratterizzata da una ricca invenzione stilistica.
Egli così scriveva: "il registro alto, lo scialo degli aggettivi, l'oltranza dei colori, mi pare il modo che ci resta per contrastare l'ossificazione del mondo in oggetti senza qualità e per restituire ai nostri occhi ormai miopi il sangue forte delle presenze e dei sentimenti".
Lucio Bartolotta